la donna schiava

Non mi sfugge l’assurdità della mia situazione. Ma ora che il gioco è cominciato, mi sembra impossibile tornare indietro. E’ il mio corpo che si è svegliato dal torpore e non vuole tornare a dormire. Sento la trama del legno imprimersi nella schiena nuda. E’ un lungo tavolo da dodici posti, di legno massiccio, forse noce o quercia. E’ fresco e profuma di cose antiche. Le braccia sono stese sopra la testa, i polsi legati da un nastro di seta come l’altra volta, e nello spazio lasciato libero tra i gomiti è stato sistemato un candelabro di ottone a tre bracci, con lunghe candele rosse accese.

Non posso cambiare la posizione, perché se sollevassi le braccia, mi brucerei sulle fiammelle. Sul mio corpo nudo sono stati disposti alcuni cibi: valve di ostrica con il loro sapido contenuto, fragole, sul pube un grappolo d’uva nera, fiori di salmone che coprono pudici e maliziosi i capezzoli già turgidi. A rendere il tutto più difficile, un calice di vino bianco in precario equilibrio all’altezza dell’ombelico. Nessuno mi ha detto niente, ma indovino che devo mantenere la posizione e restare immobile.

So che quel bicchiere, lucido e gelido, è la mia spada di Damocle, la prova da non fallire se non voglio deluderlo. Mi guardo attorno cercando di non rovinare l’ardita composizione di cibo che costella il mio corpo, i seni, la pancia, le gambe e che m’impedisce qualunque movimento. La sala da pranzo, se così si può definire, è molto ampia. Alle pareti posso intravedere dei ritratti e dei quadri a tema bucolico, forse ottocenteschi, nelle loro elaborate cornici.

Sopra di me un lampadario di cristallo pende trasparente e luminoso, un pezzo di antiquariato pregiato. Dall’altra parte intuisco la forma della mensola di un camino e alcune porte chiuse.
Sono al centro del tavolo, quasi a rappresentare la portata principale, o un’offerta sacrificale. Le pareti sono di un colore scuro, forse una carta da parati damashita o una vernice molto pastosa. L’atmosfera è fumosa, ovattata, una sorta di ventre caldo e sospeso nel mondo.

Non percepisco rumori esterni o presenze di alcun tipo. In fondo ai miei piedi, rigorosamente accostati per non far cadere le fragole che adornano le cosce, percepisco la presenza di un candelabro gemello a quello che mi blocca le braccia. Un secondo nastro di seta mi chiude le caviglie e si annoda attorno alla lumiera. Sono inerme, legata e immobilizzata a quel tavolo e attendo.
Il cuore mi batte più forte, immagino quale bizzarro spettacolo devo apparire dall’esterno, quale mente morbosa potrebbe studiare un piano così accurato per trattenermi? La condensa sul bicchiere si raccoglie in grosse gocce d’acqua gelide, che scivolano lungo lo stelo e cadono sulla mia pelle, già molto sensibile per l’attesa e la tensione.

Sento freddo e allo stesso tempo mi pare di bollire. La goccia prosegue il suo percorso lungo il fianco, la pelle s’increspa per il freddo e devo attingere a tutta la mia forza per non farmi sopraffare da un brivido. Come l’altra volta, mi sembra una tortura deliberata, creata ad arte per accendere ogni mio recettore. Avverto la ruvidezza del guscio delle ostriche, che gratta la superficie. Avverto la rotondità degli acini d’uva che coprono il mio sesso e allo stesso tempo lo adornano.

Avverto la serica consistenza delle fragole, il loro profumo dolce, la freschezza delle roselline di salmone, che solleticano le mie areole. E il calice di vino, che si erge come un trofeo sul morbido incavo dell’ombelico. Combatto contro l’istinto di alzarmi e cerco di adattarmi alla situazione, di estraniarmi dal mio corpo. Lentamente i brividi si acquietano. Ho trascorso questa settimana in una sorta di limbo, attendendo con ansia questo giorno, ansiosa di sapere cosa mi sarebbe toccato e non avrei mai immaginato questo.

Non è stato facile affidarmi all’ignoto e sottostare a una richiesta tanto insolita e specifica, eppure sono tornata, eppure sono qui su questo tavolo, vestita solo di piccoli aperitivi, inerme nelle mani di un uomo che non conosco. Sono immersa in questi pensieri, quando percepisco un cambio nell’aria, quella sensazione impalpabile e seducente che colpisce proprio allo stomaco. Una porta si è aperta e impercettibilmente il mio naso si tende per sentire il suo odore.

Sapone, sale, qualcosa di selvatico e ombroso come il muschio. E’ lui. Mi stupisco di me stessa, dell’immediata reazione del mio corpo. Le mie terminazioni nervose sono in tilt, un calore diffuso apporta sangue a ogni centimetro, sento il viso caldo e arrossato, così concentro la mia attenzione sul bicchiere di vino che ondeggia pericolosamente. Trattengo il respiro, mentre si avvicina al tavolo.
Mi si affianca, indossa sempre pantaloni scuri ed è a torso e piedi nudi.

Non indossa la maschera stavolta. Ci guardiamo negli occhi. Comincia a girare lentamente attorno al tavolo, forse a giudicare l’operato. Avverto un tintinnio di ghiaccio, da qualche parte c’è un cestello forse per la bottiglia di vino. Sento che è dietro di me, dalla parte delle braccia.
Fa scivolare un cubetto di ghiaccio nel palmo della mia mano, poi all’interno del polso e poi molto lentamente sul braccio. Lascia una scia ghiacciata sulla pelle e mi fa rabbrividire.

Mantenere il controllo precario sul mio corpo diventa sempre più difficile. Il cubetto prosegue il suo viaggio, nell’incavo dell’ascella, sul fianco del seno destro. Si sofferma. Vedo la sua bella bocca piegarsi in un sorriso, si avvicina alla rosellina di salmone che nasconde il capezzolo, l’afferra delicatamente con le labbra e la mangia, senza mai toccare la mia pelle. Dolorosamente, trattengo un gemito di desiderio, mentre il cubetto fa un cerchio completo sull’areola, rendendomi ancora più sensibile e umida.

Fa scorrere il cubetto alla base del collo, la mia pelle si tende e vibra. Passa tra i seni, si piega di nuovo e raccoglie una fragola tra i denti e me la porge.
Socchiudo le labbra e do un piccolo morso, sento la consistenza polposa del frutto che scivola in fondo alla gola e inghiotto senza nemmeno masticare, tanta è l’agitazione. Prende un’ostrica con due dita e la sorbisce. La sua bocca imprime un bacio salato al centro della pancia.

Il ghiaccio si è ormai sciolto e sento l’acqua gelida scorrere ai lati del collo.
Si allontana per prenderne un altro e proseguire la tracciatura del mio corpo. Stavolta è dall’altra parte, sul lato sinistro. Senza fretta prosegue la sua ispezione, percepisco il suo sorriso divertito nel vedere come il mio corpo reagisce naturalmente al suo gioco. La testa si piega sull’altro capezzolo e stavolta oltre a raccogliere il salmone, la sua lingua si sofferma sulla punta rosea e aguzza.

Non riesco a trattenere un gemito di doloroso piacere, subito acuito dal ghiaccio che solletica le mie terminazioni nervose. Il bicchiere ha un altro ondeggiamento. “Non farlo cadere” sussurra, imprimendomi altri baci sul corpo mano a mano che raccoglie il cibo e lo raffredda subito dopo con il cubetto. Sto impazzendo in un’estasi sensoriale e non riesco nemmeno a godermi quelle sensazioni. Le braccia e le gambe mi formicolano e la tensione di tenere in equilibrio il bicchiere è fortissima.

Non ha fretta, vuole che ogni centimetro sia sollecitato e rapito dalla sua perversa fantasia. Il ghiaccio segue la linea sinuosa del fianco, lo sento percorrere l’interno della vita, proseguire lungo il bacino e poi soffermarsi sulla coscia, mentre con la stessa delicatezza raccoglie altre ostriche e altre fragole. Alcune me le offre, dividiamo i frutti a metà e questo mi sembra incredibilmente erotico, molto più di essere nuda e immobilizzata.
Percepisco le contrazioni dell’utero, sento il clitoride turgido e umido.

Non so come riesca a portarmi a un tale livello di eccitazione senza praticamente toccarmi. Finalmente arriva al grappolo d’uva. Sento la sua guancia ispida graffiarmi la carne delle cosce, avverto il suo naso che respira i miei umori, mentre stacca un chicco e me lo porge. Posso quasi sentire il mio odore sul frutto, la dolcezza dell’acino mescolata all’asprezza della mia eccitazione. Ha il sapore di cose proibite. Affonda le labbra nella mia intimità e stacca un altro chicco, lo mangia.

“Delizioso” mormora. Sono sulla corda e non so cosa aspettarmi. Molto delicatamente inserisce il cubetto di ghiaccio tra le grandi labbra, ed è impossibile trattenere un sussulto di sorpresa a quel contatto gelido con il calore del mio sesso. Lo sento che si fonde impregnandomi di acqua e lascia una sensazione elettrica di dolore misto a piacere. Sono molto sensibile e sovraeccitata e quasi è sufficiente questo a farmi venire. Finalmente afferra il calice, il sollievo mi pervade e posso rilasciare i muscoli.

Ne sorbisce un sorso, poi risale lungo il mio corpo e riversa il vino su di esso, leccandolo con maestria. Sospiro di desiderio. Riempie l’ombelico e beve da esso, poi la sua lingua risale lungo la pancia e lascia impronte alcoliche sulla mia pelle, si sofferma sul capezzolo sinistro e i miei sospiri salgono di intensità fino a diventare veri gemiti. “Non ti fermare” supplico. Ma ovviamente si ferma e prosegue, sulle spalle, le braccia, i gomiti e i polsi legati.

Tutto il mio corpo è cosparso di vino e della sua saliva. Perdo la cognizione del tempo e dello spazio, mentre continua scendendo dall’altra parte fino ad arrivare alle caviglie. Sono libera dal cibo, ma non dai nastri né dalle candele che continuano ad apparire minacciose e sensuali carceriere.
Sento la sua mano che scivola dal ginocchio e risale la coscia per poi infilarsi tra le gambe chiuse. Rilasso i muscoli per permettergli di trovare la strada più agevole.

Accarezza il monte di venere e con un dito titilla il clitoride. E’ sufficiente questo breve contatto per farmi esplodere in un orgasmo intenso e travolgente. Sono troppo eccitata per trattenermi e posso avvertire la vulva pregna di questa intesa eccitazione. Il dito prosegue ed entra, accarezzando le pareti interne. Non riesco a controllarmi e alcune gocce di cera cadono sulle caviglie, ma il dolore è molto lontano e acuisce le mie percezioni e stimolazioni.

Estrae il dito e me lo porge, lo lecco e lo guardo. Lo desidero e lui lo sa. Il mio sapore è aspro e dolce allo stesso tempo. Mi slega le caviglie e le accarezza togliendo la cera che si sta rapprendendo, tiro le ginocchia verso il bacino. Risale e mi slega anche i polsi. Mi siedo sul tavolo e ci guardiamo. Non resisto oltre, devo averlo. Così senza distogliere gli occhi gli sfilo i pantaloni e libero la sua incredibile erezione.

Si è eccitato guardandomi e ora vuole essere dentro di me. Circondo i suoi fianchi con le gambe e lo avvicino al mio sesso, lo afferro per il pene e comincio a massaggiarlo con la mano, sfregandolo contro le grandi labbra umide, per lubrificarlo. Si piega leggermente verso di me appoggiando le mani al bordo del tavolo. La sua testa è nella curva tra la spalla e il collo e geme. Forse anche lui ha tirato troppo la corda e sta per venire.

E infatti non ci mette molto a inondarmi del suo sperma bianco sul basso ventre e le cosce. Con un movimento fluido, sfruttando ancora la sua erezione, lo inserisco dentro e ci schiacciamo l’uno contro l’altra. Con le gambe seguo il ritmo del suo bacino e mi sdraio con la schiena sul tavolo. Le sue mani vanno al mio seno e lo afferrano, mentre lo sento ormai completamente dentro di me, fino ai testicoli.

Si libera dalla mia presa e porta le gambe sulle spalle. La penetrazione è molto profonda e intensissima, tanto che comincio a urlare. Mi afferro al bordo del tavolo per potermi puntellare, il suo ritmo è quasi rabbioso. Affonda dentro di me come un coltello, preciso e doloroso, eppure piacevole. Vedo la sua espressione concentrata e desiderosa, le sue mani stuzzicano i miei capezzoli rigidi, amplificando le sensazioni. Mi afferra una mano e me la porta sul monte di venere.

“Toccati per me, voglio guardarti” la sua voce è roca e sensuale, e quelle parole mi sciolgono di desiderio. Abbasso le gambe in modo da offrirgli lo spettacolo di noi due fusi uno dentro l’altra e del mio clitoride esposto. Continua a penetrarmi. Porto due dita prima attorno alle grandi labbra, avverto il suo sesso turgido dentro di me che mi possiede fino in fondo, lo accarezzo alla base e inumidisco le dita. Lui aumenta il ritmo e mi guarda rapito.

Risalgo sul clitoride e comincio a stimolarlo con le dita, inarcando la schiena, mentre con l’altra mano mi torturo un capezzolo. “Sei bellissima, ” sussurra lui. Allungo le dita umide verso la sua bocca e lui le succhia, i colpi sono sempre più continui e forti. Sto arrivando all’apice e riprendo la mia stimolazione, mentre la punta del suo pene raggiunge l’utero e occupa ogni centimetro di me. Il movimento delle mie dita è ormai frenetico finché l’orgasmo non sopraggiunge quasi togliendomi il fiato.

Con un colpo di reni deciso anche lui si svuota dentro di me, sostenendosi sulle braccia per non cadermi addosso. Sento il suo sesso pulsare e contrarsi dentro e poi ritirarsi lentamente. Si solleva e mi afferra da sotto i glutei, sollevandomi dal tavolo. Siamo ancora incastrati, mi sostengo a lui con le gambe, mentre scende a terra.
Il pavimento è in parquet, fresco e liscio. Sono a cavalcioni sopra di lui, mentre lui ha la schiena a terra.

È la prima volta che sono in una posizione dominante. Lo guardo mentre muovo il bacino lentamente per rinvigorire la sua erezione, lo sento gonfiarsi dentro di me e darmi un brivido, poi mi fermo. Le mie mani accarezzano il suo petto, mi chino e faccio scorrere la lingua sul suo collo, è accaldato e ha un sapore aspro ma gradevole. Ha delle belle spalle, le mie mani scorrono su di lui, questa volta sono io che voglio esplorarlo.

Saggio le braccia, la pancia, il petto, è un contatto intimo e privato, qualcosa che non credo abbia mai concesso alle donne prima di me. Passo le dita sulla mascella, accarezzo le labbra sottili, il naso e l’arcata sopraccigliare. La mia lingua scivola dentro la sua bocca, ma solo per un istante, poi scende sui capezzoli già rigidi. Geme mentre le mie labbra si schiudono su di loro e succhiano, mi piace la loro consistenza dura, mi piace eccitarlo con la mia bocca.

Il suo sesso è gonfio e rigido e m’impala su di lui, mentre il mio corpo comincia a muoversi, avanti e indietro, su e giù. Accompagna il movimento con il bacino, dando dei brevi colpi verso l’alto che mi entrano dentro con un sussulto.
E’ un amplesso più lento, più profondo di quello di prima. Ho il mio ritmo e lui mi segue con dolcezza, tenendomi per i fianchi. Le sue mani risalgono sul seno, lo stringono ma senza l’irruenza di prima, ne saggiano la morbidezza e la consistenza con il palmo aperto, poi si portano sul sedere e lo stringono con più forza, accentuando il movimento ed entrando ancora più in profondità nel mio sesso.

Arriva in punti che prima d’ora non sapevo di possedere, mi fa sentire completamente piena, il piacere si espande a onde dal basso ventre per poi risalire nello stomaco. I nostri umori mescolati aumentano la lubrificazione, lui s’inumidisce le dita e risale tra i glutei, cominciando a solleticare l’ano. Sento il polpastrello che bagna il contorno del buchino e lo forza leggermente solo con la punta. E’ ancora molto rigido e avverto fastidio.

Nel frattempo il mio bacino si schiaccia sul suo, mentre tutto il mio busto si porta avanti e indietro sulla sua asta. Aiutato dalla mia eccitazione, l’indice riesce a entrare un po’ per volta nell’ano, e comincia muoverlo dentro, stimolando lo sfintere. Gemo molto forte, mi sento incredibilmente eccitata e piena. Mi afferro a lui, piegata dal piacere, mentre i colpi sono serrati e il suo pene sbatte nelle pareti interne, e il dito aumenta la sensazione di pienezza e piacere.

“Continua” sussurro. Mi schiaccio col seno sul suo petto, mentre contraggo i muscoli dell’utero per amplificare la frizione. Il dito spinge la punta del pene e crea uno sfregamento intenso. Urlo e lui aumenta i colpi, mentre il movimento dei miei fianchi diventa ormai frenetico. Il clitoride è compresso nella presa e molto sensibile. L’ennesimo orgasmo mi travolge, la vulva si contrae attorno al suo membro, quasi a imprigionarlo, mentre il suo dito esce lentamente dal mio sfintere.

Sento che è ancora rigido dentro di me e non credo sia venuto, ma sono esausta e ormai troppo lubrificata per sentire altro. Esce e il suo pene svetta lucido di umori e ancora energico. Scivolo più in basso e lo prendo in bocca, leccandolo dalla base fino alla cappella scoperta e bagnata. Sa dei nostri umori mescolati. Lo vedo portarsi le mani sotto il collo e sollevare la testa per guardarmi. Mi concentro, sento le vene che lo solcano sul palato, mentre la mia testa si spinge sempre più in giù, per avvolgerlo completamente, per poi risalire e affondare nuovamente, con movimenti precisi.

Mi piace dargli piacere, ricompensarlo per le sensazioni che mi regala. La mia lingua lo accarezza, sormonta la punta e la succhia con dolcezza, poi scende fino ai testicoli e succhia anche quelli. Lo vedo contorcersi, mi prende la testa e la schiaccia sul suo membro fino a farlo sparire interamente nella mia bocca, mentre aspiro con forza. Mi aiuto con la mano e comincio a percorrere su e giù la sua asta, tenendo solo la cappella sulla lingua.

Afferra anche lui il pene, sulla mia mano e comincia a masturbarsi dentro la mia bocca. La mia lingua sa come eccitarlo e ben presto sento il caldo liquido uscire dalla cima e scivolare dentro di me. Afferro i testicoli e li stringo delicatamente. Con un gemito mi schiaccio sul suo pene e inghiotto il suo orgasmo denso. Sono esausta e mi sdraio per terra, asciugandomi col dorso della mano. Restiamo in silenzio per un istante, in cui comincio a scivolare nel sonno.

In qualche angolo della mente percepisco che si riveste, che mi aiuta ad alzarmi e mi accompagna da qualche parte, forse una camera da letto. “Alla prossima settimana. ” “Sì ” dico semplicemente, prima di addormentarmi.

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