.Orchidea elvetica – settima parte.

“MALOCCHIO!MALOCCHIO!!HAHAHAHAHA!!!” questa lapidazione verbale era l’afflizione cui Franco detto “Malocchio” veniva assoggettato ogni giorno, sin dai tempi delle elementari.
Il suo soprannome derivava dallo strabismo exotropico di cui era affetto e non tolleravo le angherie cui era sottoposto: considerando che era piccolo e gracile, era una facile preda da parte degli altri.
Durante la ricreazione, vidi un bambino di qualche classe sopra, prenderlo di mira: costui era Emanuele detto “Lelefante” per via della struttura fisica imponente; il terrore che gli altri scolari nutrivano nei suoi confronti lo rendeva il soggetto regnante dei corridoi scolastici.

“Allora Malocchio, caccia la merenda o te le caccio. Tanto considerando che il panino lo vedi doppio, se te ne prendo uno non sarà un problema, no?”
Franco, che solitamente era piuttosto taciturno, stavolta aprì bocca e la nerbata dall’accento pugliese che ne uscì fu un semplice: “Vaffanculo, fijo di puttana. ”
Il suo persecutore non replicò verbalmente, ma le sue mani furono piuttosto eloquenti: prese subito il malcapitato per i capelli scrollandolo come un polipo appena peshito; tutt’ intorno un gruppetto di piccole iene, si godevano la vista del leone che sbrana la gazzella.

Per il dolore causato dalla trazione ai capelli, Franco perse il panino e il bulletto esclamò “Sei un sfigato, hai fatto cadere il mio panino al salame!”.
La situazione era pessima e quella prepotenza puzzava di merda; avvertii il mio amico Pasquale che passava di lì e gli dissi: “Pasqui, quelli della terza B stanno rompendo il cazzo a Franco”.
Procedemmo verso di loro per dividerli e Lelefante iniziò a strattonarsi con Pasquale; Lelefante gli mollò uno sganassone e lo spinse contro il muro; io sfruttando la distrazione, cintai la testa del ciccione e Pasquale dopo essersi rialzato, iniziò a prenderlo a pugni sulla schiena.

I pugni sulla schiena provocano un dolore impensabile e non lasciano segni visibili di colluttazione come quelli in faccia, per cui se un rivale dava la schiena, non potendo rifilare un classico castagnone in pancia, si mirava alle spalle.
Lelefante era malfermo sulle gambe e quando cadde, non esitammo a prenderlo a calci sulle gambe e sulla schiena: frequentare la piazza e vedere come i grandi risolvevano le questioni, ci aveva ben addestrato.

Ci contenemmo comunque, perché se gli avessimo timbrato un occhio un pugno, una sospensione con relativa fila di calci in culo da parte dei nostri genitori sarebbe arrivata sicura come la dissenteria per un turista occidentale in India.
Finimmo di dargliele quando un mio compagno di classe che faceva da palo, ci avvertì che il prof. di matematica stava per passare di lì. Giusto il tempo di rimettere il coglione in piedi, intimargli di mordersi la lingua con i professori e levarci dal cazzo lesti come dardi.

Al termine dalla tempesta, domandai a Franco se stava bene e lui replicò: “Potevo sfangarmela a cazzi miei senza che vi metteste di mezzo” e si infilò in aula dietro al suo banco.
Pensai che fosse un bastardo irriconoscente, ma anni dopo afferrai perché questa introversa pulce dall’ indole di granito, si comportava in questo modo.
Franco era figlio di un pezzo grosso della mala foggiana e terminate le medie inferiori, seguì il padre nella terra d’origine e dopo il liceo scientifico, frequentò un' università ottenendo una doppia laurea in scienze economiche e in spaccio e sfruttamento della prostituzione.

La parola “debolezza” in un ambito simile, era qualcosa da depennare se si voleva sopravvivere in mezzo a tante bestie feroci.
Franco mantenne il soprannome per propria scelta, modificandolo in “Occhiatura”che meglio si adattava al contesto di provenienza ; “Occhiatura” era temuto e pericoloso, freddo e violento, carico di una crudeltà non comune. Una sola curvatura verso il basso della sua arcata sopraciliare poteva sgomentare anche il più spavaldo dei suoi bravi.

Quando decise di acquistare il palazzo dove abito insediandosi all’ultimo piano, la quiete mortifera del quartiere fu sconvolta dal suo arrivo e nemmeno i balordi locali tentarono di contestare l’instaurarsi della sua monarchia criminale.
All’ultimo piano l’anziana signora M*nell*, fu sfrattata dal proprio alloggio e con la complicità di un medico di base corrotto, fu spedita in una Residenza Socio Assistenziale.
Ella non ebbe mai il coraggio di denunciare, perché Franco “Occhiatura” le spiegò velenosamente che ci avrebbe messo poco a prelevare la sua giovane nipote ex-tossica dalla comunità, farle una pera e costringerla a lavorare per lui ai confini della città.

Il palazzo iniziò a svuotarsi , lasciando spazio alle “protette” di Franco: l’andirivieni di cocainomani in cerca di qualche riga di ebbrezza nasale e di puttanieri dalla patta indurita, era insopportabile.
Poi qualche giorno fa, una mora mozzafiato dall’aspetto sudamericano elevata da un paio di sandali con tacco da vertigini, mi blocca mentre torno dal bar e mi chiede: “Salve, potrebbe darmi una mano che ho forato una gomma e non so come cambiarla?”.

In un misto di altruismo, ormoni in agitazione e un ignorante senso di superiorità automobilistica maschile, mi faccio condurre dalla bella fata smarrita verso la sua auto.
L’auto in questione non era un catorcio come quella del sottoscritto, ma un bolide sportivo rosso scarlatto da abbinare a rossetto e smalto, che non immaginavo nemmeno di veder posteggiato nei pressi dell’arida distesa suburbana dove vivo.
Mi inginocchiai vicino al pneumatico a terra notando che non c’è un foro da oggetto appuntito, ma un taglio largo da lama sul lato esterno.

“Ha beccato una bella ciopponata da qualche vandalo bilioso” pensai.
L’ aspetto magnifico della ragazza deconcentrava le mie riflessioni di detective fai-da-te: la pelle bronzea, i capelli ricci e corvini che a cashita precipitavano fin sulle spalle, contornavano un viso di una delicatezza tale, che non avrei avuto nemmeno il coraggio di sfiorare con le mie rudi zampe di falegname.
Il suo corpo era un tortuoso curvare di forme che sembrano l’opera di un ispirato scultore classico impegnato a dedicare una statua alla più bella delle dee dell’olimpo.

L’aspetto procace e il suo profumo gradevole di cui polsi e collo erano intrisi, mi stordivano e intravedevo sotto la maglia, dei capezzoli molto sporgenti pizzicare il tessuto ribellandosi al reggiseno.
L’idea che sotto i jeans stretti non indossasse lingerie, destò il mio sesso che prometteva da un momento all’altro di slanciarsi al di fuori dei confini di tessuto in cui i boxer lo relegavano.
Riacquistando le facoltà mentali, esclamai: “Ok, tiro fuori il necessario dal baule e sistemiamo tutto” e come aprii il cofano dell’auto, sentii schiudere le portiere di due vetture parcheggiate a pochi metri da noi.

Ne sbucarono cinque energumeni dall’aria scarsamente pensante ma inquietante, i cui fisici XXL credo faticassero a restare chiusi in un’auto che non fosse un Suv: considerando la rapidità con cui saettarono fuori dagli abitacoli, qualcosa mi diede da intendere che sono stato io ad innescare la circostanza.
Invero, iniziarono a convergere verso di me e tra loro spiccava un sesto elemento in versione pocket dai capelli ricci neri che fisicamente ricordava Nino Davoli, ma con un occhio strabico e dallo sguardo da far impallidire perfino Gengis Khan.

Fulminai con la mente “Cristo, è Malocchio!” e non potei nemmeno sgattaiolare, perché oltre ad aver prorogato inutilmente la condanna di qualche ora, l’avrei fatto incazzare di più.
L’ imboshita subita mi candidò al Nobel per l’idiozia : servirsi di una bella adeshitrice per compiere un delitto, era un trucco vecchio come la novella di Sansone. Sfiga vuole però, che non possedendo la forza di quest’ultimo, non potevo far altro che deglutire saliva e ostentare ai miei boia una parvenza di coraggio.

“Allora kumbagnë, dopo una vita ci si rincontra! Hai visto che pizz di ciann che tò mandat,eh?! Ascoltami: quel palazzo è mio e tra un po’ anche il quartiere, tanto che questa via potrebbero chiamarla via Franchino Occhiatura. L’unico inquilino rimasto nel palazzo a rompere il ciddone sei tu e considerando che quell’immobile me lo son comprato, mi dispiace dirti che qui non si affitta più e che ti conviene cercarti un altro alloggio.

Visto che, quando eravamo ragazzi, mi hai aiutato contro quell’infame che cercava di farmi il panino, ti concedo gratis ‘sta ciann per un’ oretta e tra una settimana ti voglio fuori da casa. Ti conviene farlo Kumbagne, perché la prossima volta che ci vediamo, non ti mando una ragazza, ma uno di questi qua dietro a romperti il didietro, mi sono stato spiegato?”
Le gambe raggelate erano segno che mi ero lasciato una pennellata Bruno Van Dyck nelle mutande; nel paiolo delle mie sensazioni terrore, debolezza e irritazione, erano le tre (dis)grazie che a turno martellavano la mia mente.

La bella protetta di Franco esclamò: “Allora, saliamo da te o preferisci in motel?” e io le risposi con un timido “D-da me, seguimi…” ,voltando le spalle a quel moderno Don Rodrigo, alla fuoriserie e ai due sgherri intenti a sostituire il pneumatico sabotato.
Il forte malessere procuratomi in quel frangente, non fu d’aiuto alla mia libido: avevo voglia di far sesso quanto d'esser chiuso in una gabbia con un Grizzly affamato.

Mi sentivo come una moglie pestata a sangue cui il marito chiede scusa donando dei fiori: il mio orgoglio leso per via di quella prevaricazione, non era sanabile nemmeno con il più prezioso dei doni.
Disgraziatamente non potei declinare il regalo, perché l’elementare ottusità di quelli come Franco era piuttosto prevedibile e se avessi rispedito quella prostituta da dove era venuta, avrei abbreviato di parecchio sia la mia permanenza in casa, che la mia vita.

Buona sorte vuole che nel mio appartamento di neo-single tutto era in ordine , ma fino a un giorno prima era una steppa di polvere, libri, fumetti e dischi mal impilati su ogni superficie. Tutto questo scompiglio fu una sorta di rivolta mentale alla compulsiva mania dell’ordine di Stefania che per anni mi aveva crocifisso.
Lei si guardò attorno smarrita, presumibilmente avvezzata a tutt’altro target di clientela e gli occhi le restarono inchiodati su un disco dei Big Bad Voodoo Daddy, per cui esclamò: “ vudù…è qualcosa tipo magia nera ,bestie di Satana o quelle cose là?”.

Di fronte a cotanta genuina dabbenaggine, arginare una risata fu impossibile e il riso mi scardinò la mandibola tuffandosi fragorosamente fuori dalla mia bocca.
Lei sorrise un po’ e io guardando i suoi magnifici occhi scuri, le dissi : “ No, non c’è nulla di diabolico o simile, fanno solo swing in modo un po’ moderno. Hai presente Duke Ellington o Benny Goodman?”
E lei “Chi? Ehm, io ascolto Nek ,Neffa,Ramazzotti…” e di fronte a tanto analfabetismo musicale, decisi di inserire il CD nel lettore dando il PLAY.

La sezione fiati nel pezzo di apertura “Jumping Jack” esplose dalle casse acuta e arrogante, supportata da un pestaggio sul timpano della batteria che lascia pregustare la frizzante epilessia neo-swing dell’orchestra Californiana.
La musica e i suoi sorrisi mi rincuorarono un po' e lei restò ad ascoltare attentamente la musica, poi guardandomi e piegando la testa su un lato esclamò: “Beh, mi piace non la conoscevo…io ti piaccio però? Non mi hai nemmeno sfiorata in ascensore…”.

Io non le dissi niente, le palpai un seno baciandola e lei senza esitazione, sbottonò i miei jeans ed estraendone il contenuto, si ingoiò dopo un paio di sù e giù, il mio pene fino alla base.
Una volta in fondo, pennellò lo scroto con la lingua e un leggero filo di saliva, discese sui testicoli. Io le tenni ferma la testa e iniziai a muoverle il pene dentro la sua gola e dopo un paio di colpetti, la lasciai andare.

Lei sollevandosi perse un eccitante filo di bava dalle labbra ed eccitatissimi, ci baciammo impetuosamente.
Una domanda mi attraversò la mente e fu: “Una dea con un corpo simile, con un posteriore tanto perfetto, gradirà fare sesso anale?”(continua).

Keine Kommentare vorhanden


Deine E-Mail-Adresse wird nicht veröffentlicht. Erforderliche Felder sind markiert *

*
*

(c) 2023 sexracconto.com