Tramonto

Camminava sempre più lentamente sul marciapiede selciato fino a fermarsi sulla soglia di un vecchio portone. Si guardò attorno, strada semi deserta, le uniche facce che vide erano anonime. Suonò al campanello con il nome sbiadito, senza neanche provare a leggere la targhetta. La serratura shittò un attimo dopo, spinse la pesante anta di legno con la vernice che cominciava a scrostarsi dal basso ed entrò.
L'atrio era nella penombra con solo il lucernario ad illuminarlo, senza curarsi di accendere la luce prese a salire le scale.

Sarebbe dovuta essere in palestra a quell'ora, pronta per la lezione di yoga ed invece era lì… non c'entrava nulla il rapporto con suo marito, che amava profondamente, non era neanche un'evasione dai suoi figli… era entrata in quel sito per gioco, per curiosità, semplicemente per un desiderio che aveva dentro e non era mai riuscita a far uscire a parole ed ora, ogni due settimane, saliva quelle scale fino all'ultimo pianerottolo.
La porta era socchiusa, rimase un attimo in ascolto per eventuali rumori poi entrò richiudendosi l'uscio alle spalle.

Anche il corridoio disadorno e silenzioso era nella penombra, cominciò a spogliarsi riponendo le sue cose nella cesta lì affianco. Era accaldata per i cinque piani saliti a piedi e la sua pelle era ricoperta da un leggero strato di sudore ma si sentiva piena di energia. Presto fu nuda, completamente nuda, in qualunque altro posto si sarebbe sentita a disagio, ma non lì.
Controllò che tutto fosse in ordine nella cesta ed entrò nella prima porta a destra.

La stanza sgombra era adornata solo dall'armadietto basso poggiato contro il muro, si mise in ginocchio sul parquet, poggiò i dorsi delle mani sui talloni e si sedette sopra i palmi bloccando completamente la possibilità di muovere le braccia.
Erano passati diversi minuti, non troppi dato che le gambe non si erano ancora intorpidite, il suo respiro lento le ghiacciava quel sottile strato di sudore sul petto mentre lei si concentrava solo sulla luce che entrava quasi orizzontale dalle fessure delle tapparelle.

Un forte dolore al centro della schiena, come centinaia di aghi, proprio sotto la scapola, le fece inarcare all'indietro la spina dorsale
“Stai dritta!”
Era arrivato! Finalmente… di soppiatto, come al solito. Le bruciava dove era stata colpita e sentiva la pelle pulsare. Raddrizzò per bene la schiena e guardò fisso davanti a sé, sentì il frustino cadere a terra, era nella giusta posizione ora. Lui le passò oltre come non accorgendosi che lei fosse in ginocchio al centro della stanza ed andò all'armadietto, estrasse una matassa di corda e tornò da lei, che sempre immobile nella giusta posizione lo seguiva con lo sguardo.

Indossava i soliti pantaloni leggeri e comodi, la sua muscolatura forte ma non eccessivamente gonfia delineava il torso nudo. Lo guardò disfare la chiusura della matassa e cominciare ad allungare la corda sul pavimento, proprio davanti ai sui occhi, lo guardava sognante ed immobile mentre le riaffiorava alla mente la sensazione che quella corda ruvida le lasciava sulla pelle per giorni interi. Sentiva già il calore crescerle in grembo.
Le prese il mento con due dita e la fece alzare, lei sapeva che doveva farlo nella maniera corretta, altrimenti sarebbe stata punita di nuovo.

Stavolta riuscì a mettersi in piedi senza toccare con le mani a terra e finalmente i loro occhi erano allo stesso livello.
“Mani dietro la nuca. ”
Il corpo le si mosse senza controllo cosciente facendole portare una mano sull'altra alla base della nuca proprio dove i suoi capelli a caschetto terminavano riuscendo a sfiorare appena la pelle del collo. Lui le andò alle spalle ed iniziò ad avvolgerla con la corda di canapa.

Un passaggio, un altro passaggio, le sfiorava la pelle solo se necessario mentre lei sentiva solo la ruvidezza e la fermezza di quelle spire intorno alla sua gabbia toracica. Due dita si infilarono sotto la corda e tirarono con un movimento continuo i due capi, poi uno strattone contro la mano aperta e ferma che le poggiava sulla schiena per chiudere il nodo.
“Abbassa le braccia. ”
Con un movimento fluido ma veloce eseguì, lui le passò la corda su una spalla e le andò di fronte, le fece scorrere tutta la lunghezza rimasta della corda sulla pelle tra i seni come se non fosse attualmente la zona più recettiva del corpo di lei e poi passando sopra l'altra spalla le tornò dietro.

Il respiro di lei aumentò di ritmo, avrebbe voluto respirare più profondamente per calmarsi ma ogni volta incontrava la resistenza della corda che le impediva di respirare a fondo.
La sua mente era annebbiata dalla sensazione di febbre che aveva dentro, abbassò lo sguardo.
Shinju – perle –
Solo questo le passò nella testa vedendo come la corda marrone stretta intorno al suo busto contornava ed esaltava i suoi seni bianchi e dignitosamente piccoli.

Sentì di nuovo le dita di lui prenderle il mento ed alzarglielo fino a quando i loro occhi si incontrarono. Da così vicino, anche se in penombra, si vedeva quanto fosse giovane, più giovane di lei che cominciava ad avere il viso segnato dalle prime rughe, ma era lui l'esperto, lei la novizia con l'espressione di una bambina gioiosa per il suo nuovo vestito.
In pieno viso sentì la sensazione del ghiaccio che prima è freddo e poi si tramuta in bruciore.

Non capiva, il duro sguardo di lui la paralizzava, sentiva le lacrime ammassarsi agli angoli degli occhi. Era stato uno schiaffo… l'aveva schiaffeggiata in pieno viso…
“Stai dritta!”
La fissò per qualche istante, lei tenne gli occhi spalancati a forza per evitare che il battito delle ciglia facesse cadere inesorabilmente le lacrime sulle guance ed umiliarla ulteriormente. Lui si voltò ed andò verso il muro, lei riuscì a calmarsi un minimo sentendo anche che le lacrime non sarebbero colate.

Tornò da lei con un bastone con due asole alle estremità ed altra corda, le si inginocchiò dietro
“Divarica le gambe. Di più. Ancora. Basta così. ”
La distanza tra i suoi piedi era molta di più dell'apertura delle sue spalle, la posizione era scomoda e faticosa da mantenere. Lui iniziò a legarle una caviglia, lei non osava guardare in basso, sentiva il respiro di lui scorrerle sulle gambe, era completamente esposta ma non le importava, sentiva di essere su un mondo a parte, completamente sicuro.

Da una caviglia passò all'altra solo dopo aver fatto scorrere la corda nei due occhielli opposti sul bastone. Ultimato il secondo nodo, anche volendo, lei non avrebbe più potuto chiudere le gambe.
Lui prese un'altra corda più corta e standole di fronte le chiese fermamente
“I polsi. ”
Lei distese le braccia fino quasi a toccare i suoi addominali, lui con calma le diresse i palmi verso il basso e cominciò a legare.

Una spira, due spire, tre spire. Una più del solito… Strinse il nodo ed ora le sue possibilità di movimento si erano ridotte ulteriormente, ma non aveva comunque nessuna voglia di farlo. Lui andò verso la finestra, alzò un braccio ed afferrò con tre dita un grosso anello di metallo che pendeva da una corda spessa. Era sempre stato lì? Contraendo i muscoli del braccio e del torso lasciò che l'intero suo peso tendesse la corda che lo sostenne senza fallo.

Lei rimase immobile mentre guardava il corpo di lui, così forte, così curato ed essenziale, la luce che lo illuminava da dietro aggirava il profilo passando tra duna e duna dei suoi muscoli tesi.
“Avvicinati. ”
Si mosse titubante, aveva paura che le avesse letto la mente sentendo il suo desiderio per quel corpo giovane, istinto puramente veniale. Provò ad avanzare, era davvero dura con il bastone che le teneva le gambe costantemente aperte ma riuscì ad arrivargli così vicino da sentire il suo respiro sulla pelle.

Lei ribolliva, sentiva ogni lembo della sua carne bruciare. Quando lui le afferrò la corda ai polsi e le alzò senza cura le braccia al soffitto non fece altro che attizzare quella fiamma. Nello slancio i capezzoli di lei toccarono il petto di lui. Gemette. Si vergognò. Era rossa in viso, lo sentiva, non voleva che lui la vedesse in quello stato, voleva coprirsi ma le mani rimasero verso il cielo. Guardò su, era legata a quell'anello, completamente distesa, un millimetro in più ed avrebbe cominciato a staccare i piedi da terra.

Guardò lui, aveva un ghigno sul viso e i suoi occhi che le guardavano attraverso: aveva capito, ma per lei ora era troppo tardi per nascondere quella sensazione che le vibrava dentro. Abbassò lo sguardo per timidezza, lo rialzò impaurita di un altro schiaffo ma lui non era più davanti a lei, era tornato all'armadietto e stava tirando fuori varie cose.
Tornò da lei, con lentezza iniziò a calzare un preservativo su un vibratore nodoso, lo stesso che aveva usato la volta precedente.

La fissava in volto mentre lei era concentrata sulle sue mani, lei sapeva cosa sarebbe successo, già anticipava le mosse successive e quei movimenti così lenti la innervosivano e la caricavano ancora di più. Le portò il vibratore verso la bocca, lei odiava il sapore amaro ed aspro del lattice e lui lo sapeva e lo faceva apposta, arrivato a sfiorare le labbra lei aprì la bocca inerme, senza neanche provare a resistere. L'aprì e chiuse gli occhi.

Gusto orrendo che adesso lui cercava di spingere ancora più verso la gola, lo sentiva battere contro il palato molle, cercava di respirare con il naso per evitare i conati ma la corda le impediva di inspirare a fondo, aveva le lacrime agli occhi sentendosi al limite della sopportazione. Un istante dopo la bocca era vuota. Riaprì gli occhi, quel sapore disgustoso non la lasciava e lo sentiva pervaderla dal dentro, venne sciolto, inglobato, accolto solo dal calore che le bruciava in grembo.

Lui la guardava conoscendo esattamente i pensieri di lei ma senza la voglia di lenirli od aumentarli, lasciandola da sola col suo animo a far crescere il desiderio. La guardò con sguardo freddo, spietato come un assassino che accoltella la sua vittima, le affondò senza esitazione il vibratore nella morbida fessura tra le gambe. L'istinto di lei fu di serrare le ginocchia ma trovò il bastone ad impedirglielo, lui sorrideva per essere riuscito a prenderla alla sprovvista, lo spinse fino in fondo, fino a toccarle con la mano la pelle calda del sesso.

Lei respirava a fatica, le corde non le permettevano di prendere abbastanza aria per calmarsi e se ci provava più intensamente le sentiva mentre le segnavano la pelle. Con lui era sempre così, la prendeva sempre impreparata, non riusciva mai a seguire il suo ritmo e nel momento in cui pensava questo sentiva il suo corpo bruciare di desiderio.
Lui iniziò a legarle un cordoncino morbido intorno alla vita, lo fece passare tra le gambe e le andò alle spalle, fece aderire il suo corpo a quello di lei che fremette lasciva al contatto, con una mano la cinse e mentre con l’altra tirava il cordoncino, quella davanti lo aggiustava, indugiando sulla vagina, in modo tale da fissare il vibratore.

Come un soffio d’aria fresca lui si staccò dalla pelle calda e madida di lei e si preoccupò soltanto di legarle saldamente anche l’ultimo nodo.
“Apri la bocca. ”
Eseguì senza esitazione. Una bacchetta di legno le occupò lo spazio tra i denti, poi lui gliela bloccò in quella posizione con un laccio dietro la nuca.

Il respiro di lei passava indifferentemente dal naso e dalla bocca che non poteva chiudere, si sentiva esposta, profondamente ed inesorabilmente in mostra, inerme, impossibilitata a muoversi e svuotata da qualsiasi energia per ribellarsi.

Finalmente aveva raggiunto quello stato che agognava per giorni interi, col cuore che batteva forte ed il respiro affannato, bloccata e legata com’era poteva finalmente lasciar uscire quella parte di sé che aveva dentro e che nessun altro poteva conoscere.
Lui azionò il vibratore con il telecomando e lei chiuse gli occhi per lasciarsi andare ulteriormente, per arrivare a quell’orgasmo fratello di tutti gli altri avuti in quella stanza e presi su appuntamento.

Dopo qualche minuto la sua eccitazione le pervadeva l’intero corpo, la saliva, che non riusciva più a trattenere in bocca le scendeva sul collo e si fermava sulle corde, si sentiva sporca ed ancora più eccitata al solo pensiero che anche l’interno delle sue cosce si stava bagnando copiosamente.
Un rumore esterno la svegliò da quello stato. Lui aspettò che lei lo trovasse con lo sguardo e poi ricominciò a tirare la cinghia della tapparella facendo entrare una buona porzione di luce nella stanza che andò ad illuminarle il ventre.

Lei sbarrò gli occhi dalla paura, cercò di muoversi ma l’unico effetto fu una leggera oscillazione con la fune alla quale era appesa
“Nnnnn…. !”
non riusciva a dire altro e lo guardava con occhi disperati. Lui sorrise, prese il telecomando ed aumentò l’intensità della vibrazione, troppo per lei che non riuscì a resistere, le gambe le cedettero lasciando che il suo peso fosse retto solo dal gancio a cui era appesa e lasciò uscire un mugolio.

Sul suo mondo parallelo stava per aprirsi una finestra ed essere vista così completamente esposta e l’unica cosa che lei faceva era godersi quella fiamma che dal basso ventre la scaldava, si sentiva sporca, orribile, indegna di appartenere al mondo normale che ad ogni trazione alla cinghia della tapparella da parte di lui si mescolava sempre di più a quel luogo che lei pensava separato dalla realtà. Strinse con forza le palpebre per non vedere il resto del mondo che la giudicava ma sentiva la luce sul suo corpo nudo, sulla sua saliva che continuava a rigarle il collo e sugli umori inarrestabili della sua vagina arrivati alle caviglie, ma continuava a godere, godere di sentire che ad ogni respiro profondo la corda intorno alla gabbia toracica andava più a fondo nella pelle, godeva di non avere il controllo del suo stesso corpo e sentirsi ondeggiare lentamente appesa com’era al soffitto, godere di essere sporca del suo piacere inebriante.

Una lunga intensa scossa del piacere ultimo la percorse più volte.
Sentì la mano di lui che teneramente le alzava il viso, lei dischiuse titubante gli occhi. Di fronte a sé quella finestra aperta, la vista libera fino all’orizzonte ed il cielo colorato di rosso dal tramonto.

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