Saga familiare 1

Tutti avevano cominciato a chiamarlo “il nonno” una ventina di anni prima, quando Davide cominciava ad articolare le prime parole e a distinguere le persone.
Ma Luca non si sentiva e non era affatto “un nonno”: di lui si sussurrava che conoscesse il pelo naturale delle donne del paese più della levatrice (perché molte che aveva visto bene non avevano mai partorito); e senza dubbio aveva un bel percorso alle spalle… e non solo.

Proprio per questo eccesso di fiducia in se stesso, era incorso nel più banale degli incidenti: una scala che scivola, nessuno a sostenerlo (non lo avrebbe mai permesso) e le clavicole che si spezzano.
Per fortuna, all’ospedale lo avevano messo bene in sesto: solo, restava letteralmente
“inchiodato” ad una bardatura di gesso leggero che gli impediva l’uso delle braccia e delle mani.
Quando lo riportarono a casa, restai di sasso, perché sapevo che in ospedale dovevano ass****rlo in tutti i gesti, anche i più semplici; ma Antonio mi assicurò che sarebbe venuto un infermiere e che si sarebbe trattato solo di poche ore: l’indomani era previsto che gli togliessero la bardatura.

La mattina seguente, trovai Antonio sveglio alle prime luci: si preoccupava per suo padre ma doveva andare a un appuntamento decisivo.
Mi chiese di ass****re “il nonno” fino all’arrivo dell’infermiere; lo rassicurai e andò via sereno.
Scesa al pianoterra, trovai Luca in grande agitazione: seduto sul letto, bestemmiava e malediva sottovoce.
“che succede” “fatti miei…” “posso aiutarti?”
“nessuno può aiutarmi…” vidi che si contorceva e un sospetto mi colse immediato: “Devi andare in bagno?” attimo di silenzio “Sii … maledizione.

Neppure a pisciare riesco da solo!!!”
Mi venne da sorridere “Dai, non fare il bambino … ti aiuto io”. Mi guardò stralunato “Davvero lo faresti!?!” “Certo… vieni” e lo presi per il braccio bloccato in alto.
Mi seguì docile come un bambino; in bagno, l’imbarazzo era evidente, quando mi toccò abbassargli i pantaloni; ma fu ancora maggiore la sorpresa quando vidi il bastone di carne che gli scendeva tra le gambe: adesso capivo uno dei motivi che gli avevano assegnato tanto successo con le donne; al suo confronto, il cazzo di Antonio era un grissino.

Superato il momento, mi diedi da fare per accostarlo al water e gli presi il cazzo tra le dita per orientare il getto; quando ebbe svuotato la vescica, accennai a scrollare le ultime gocce … e il cazzo partì in una erezione improvvisa e irresistibile: mi trovai tra il pollice e l’indice una mazza di 25 centimetri al tempo stesse affascinante e spaventosa.
“Ricordati la barzelletta sui monaci: la terza scrollata è considerata sega” ironizzo il nonno; gli feci un gestaccio con la mano e lo spinsi sul Adv
bidet.

Qui fui obbligata a lavarlo accuratamente e, inevitabilmente, i miei massaggi diventarono carezze che fecero crescere all’infinito la tensione di quel cazzo straordinario.
Cercando di apparire disinvolta, nonostante il fiume di umori che già mi scorreva tra le cosce, lo obbligai a farsi asciugare; se ne stette docile, ma il suo cazzo vibrava autonomamente e, ad ogni tocco più diretto, sembrava scoppiare.
“Perché non gli dai la terza scrollata?” non mi sembrava più che scherzasse; o, forse, ero io adesso che volevo fare sul serio.

Senza rispondergli, cominciai a fargli una sega, la più sapiente che mi riuscisse di fare: con un mano gli tenevo i coglioni – due prugne grosse, rugose e gonfie ricoperto di una peluria fitta e ancora nera – e con l’altra mandavo la pelle del cazzo su e giù a scoprire e ricoprire la cappella che si era fatta viola, tanto era tesa; scivolavo poi delicatamente lungo l’asta e la stringevo, soprattutto alla base.

Non volevo però servire solo il maschio: abbandonai le palle e mi infilai la sinistra tra le cosce; cercai con il medio il clitoride e cominciai a tormentarlo: lo accarezzavo e roteavo intorno il polpastrello, infilavo in figa due falangi e le riportavo sulle piccoli labbra.
Muovevo la destra sul suo cazzo con voluta, esasperata lentezza, per farlo durare a lungo, per avere il tempo di sborrare anch’io.
Sentivo l’utero contrarsi e pulsare mentre umori liquidi scivolavano via tra le mani e lungo le cosce: chiusi gli occhi e mi beai in estasi di quel duplice contatto che mi inebriava; lo sentivo contrarsi e ansimare mentre il piacere gli pulsava nell’asta che vibrava nella mia mano.

Quando lo vidi tremare sulle gambe e irrigidirsi allo spasimo, capii che stava per sborrare: accentuai il ritmo di sollecitazione del clitoride ed avvertii l’orgasmo che mi montava dall’inguine verso la figa.
Mentre esplodevo nella sborrata più bella e intensa che ricordassi, diedi alcuni colpi più veloci e decisi alla sua mazza e lo sentii grugnire in maniera a****lesca, mentre sparava un immenso fiotto di sborra contro la tavoletta alzata del water.

Sborrammo tutti e due per alcuni secondi, scaricando ognuno tanta voglia repressa e tutto l’entusiasmo per un’emozione inattesa e imprevedibile.
Mi ci volle qualche minuto per riprendermi, prima di trovarmi con il suo cazzo svuotato, ma non moscio, nella mano destra e con la sinistra inchiodata sul mio pube, impregnata totalmente della mia sborrata.
Dovetti rilavarlo e accompagnalo a letto; e poi pulire la tavoletta inondata della sua sborra.
Il tutto, senza una parola.

Quando lo ebbi riposizionato sul letto, mi guardò con un affetto che non gli avevo mai visto: “Grazie Loretta” mi disse quasi con tenerezza “sei stata meravigliosa!” “Anche tu” ribattei “non sapevo che avessi un cazzo così bello; è stato un vero piacere aiutarti a svuotarlo …”
“Verrai ancora ad aiutarmi?” mi chiese sornione; feci spallucce, ma la sensazione di quel cazzo tra le mani era ancora troppo viva, troppo forte, troppo stimolante.

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