Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio

Storia di un ragazzo dagli occhi di ghiaccio ( che sono io )

Una luce abbagliante e delle urla sono gli unici ricordi che ho di quando ero bambino e non ricordo nient’altro della mia infanzia fino all’età di dieci anni. Erano i miei primi ricordi, poco chiari e offus**ti sempre più dagli anni che passavano e che lentamente facevano sbiadire da questa immagine ogni dettaglio, particolare dopo particolare.

Spesso mi chiedevano come fosse possibile che io non ricordassi niente, ma io rispondevo dicendo che neanche io riuscivo a comprendere. Quando provo a ricordare qualcosa , faccio un grande sforzo che non viene minimamente ripagato dai quei piccoli frammenti che riporto alla memoria. Ho scoperto che non ha più alcun senso provare a riportare alla memoria qualcosa in più, perché le immagini che riesco a vedere sono sempre le stesse e mai se ne aggiunge una nuova o si disegna più chiaro un particolare.

Sarei felice anche di un solo ricordo in più, che mi possa fare capire chi sono o un odore che mi riporti indietro nel tempo, facendomi rivivere un’emozione passata, o una foto s**ttata quando ero più piccolo, o un oggetto che avevo ricevuto in dono. Ma , purturoppo, niente di tutto ciò è mai successo e tutto ciò che riesco a vedere del mio passato, non molto chiaramente è una casa in condizione decadente, circondata da mura alte e grigie, fatte in cemento armato e l’unica via d’uscita era un insormontabile portone in ferro.

Di ciò che vi era all’interno non ricordo pressoché niente: solo un prato, dove spesso vi erano bambini che correvano e giocavano, miei coetanei, ma mai posso dire di aver visto sul loro viso l’accenno velato ad un sorriso. Gli alberi erano quasi sempre spogli e i cespugli quasi incolti, poiché venivano potati e sistemati solo quando era necessario. Le maestre ci tenevano sempre sotto controllo, sembrava quasi che non volessero che noi ci divertissimo.

Infatti quando qualcuno faceva qualcosa di divertente, che potesse far provare lui un poco di gioia, loro lo chiamavano in disparte e lo sgridavano come se avesse fatto qualcosa di tremendamente sbagliato, un reato imperdonabile. In realtà il bambino aveva solo espresso la sua personalità, che qui doveva essere repressa, come sembra dai fatti, e non c’era miglior modo di reprimere l’individualità che fare un completo lavaggio del cervello. Crescevamo come automi e la fantasia era solo un’utopia irraggiungibile, poiché ogni strada ci veniva sbarrata: ogni volta che disegnavamo o scrivevamo qualcosa ci venivano strappati i fogli e non era minimamente ammesso cantare, né ascoltare musica.

Non sapevo nemmeno cosa fosse la televisione, né ero a conoscenza dell’esistenza dei cartoni animati o dei videogiochi, cose di uso quotidiano nella vita di un bambino normale. La formazione del nostro carattere ci era negata e infatti, molto spesso, non sapevamo come comportarci in situazioni differenti da quelle scolastiche.
Inizio ad avere ricordi più chiari e nitidi dal momento in cui una coppia mi venne a prendere e mi portò via da quel posto così triste.

I loro nomi sono Ella e Martin e ricordo bene il momento in cui mi fecero entrare nella loro macchina, una Ford Fiesta vecchio modello. Mi chiesero se avessi preso tutto, poiché non sarei mai più tornato in quel posto ed io feci un semplice cenno con la testa che stava a indicare che ero pronto ad andare e a lasciare quel luogo, che per anni era stata una torutra mentale. Per la timidezza non mi uscì un filo di voce, la sentivo bloccata in gola e le guance mi si colorarono di rosso.

Li avevo già visti altre volte in quel luogo , anche prima che mi venissero a prendere. Parlavano spesso con le maestre e con la direttrice, e portavano sempre con sé molti fogli. Ricordo che una volta, mentre tornavo dalla lezione di matematica, li vidi uscire dalla mia stanza accompagnati dalla direttrice che diceva loro
– Questa è la stanza dove alloggia. -.
I visi, quindi, non mi erano nuovi, né sicuramente il mio era nuovo a loro, poiché una volta, mentre correvo nel prato mi scontrai con Ella e lei con tranquillità mi sorrise dicendomi che non era successo niente, ma la maestra continuava a rimproverarmi e io con lo sguardo basso andai lentamente via.

Mentre andavamo verso casa , la strada era lunga e la meta lontana, mi chiesero quale fosse il mio nome. Ero sicuro che lo conoscessero, mi sembrava una scusa per iniziare una discussione, poiché non avevo parlato durante tutto il viaggio. Non la avevo fatto per ineducazione, ma solo per timidezza. Infatti prima ebbi paura e non risposi, ma dopo qualche minuto cercai in me il coraggio di rispondere e dissi sicuro
– Io sono Kyle e ho dieci anni.


Proprio in quel momento Ella, che non era impegnata nella guida, spense la radio, che trasmetteva delle canzoni bellissime che non avevo mai sentito, si voltò verso di me e vidi per la prima volta qualcuno sorridere. Con la mano mi spostò i capelli che mi coprivano gli occhi e disse
– Ciao Kyle, io sono Ella. – e guardandomi fisso negli occhi continuò – Anche se i tuoi
capelli lunghi ti coprono gli occhi, sono troppo chiari e li lasciano trasparire.

I tuoi occhi sono grandissimi e raccontano tutto di te. Sembra che ti si possa leggere dentro e quello, certamente, non deve essere un bel posto… Si vede che sei molto spaventato, ma allo stesso tempo felice, perché i tuoi occhi ancora tristi, sono inumiditi da lacrime di gioia, che forse riesci appena a trattenere, ma sono visibili. –
Scavando in profondità nella mia memoria, quei pochi ricordi che mi rimanevano, mi fecero rendere conto che era proprio così: quel posto è austero e invivibile.

Come ciò si potesse evincere dai miei occhi, non riuscivo a capirlo ma avevo ipotizzato due spiegazioni possibili : Ella aveva una sensibilità maggiore rispetto a tutte le altre persone che avevo conosciuto fino a quel momento oppure ciò che provavo non era più al sicuro sotto la combinazione grigio ghiaccio-azzurro chiarissimo dei miei occhi, un colore più unico che raro. Come aveva ben visto Ella erano appena umidi e luminosi, poiché trattenevo appena le lacrime di gioia, che non lasciavo libere per paura di sembrare debole.

Per niente al mondo volevo apparire debole agli estranei, e infatti celavo tutto dietro una corazza durissima, ma penetrabile, dal momento che Ella era riuscita a capire tutto di me: cosa provavo e quali erano le mie paure.
-Io ho ventisei anni, mentre Martin ne ha ventotto. Abitiamo a Londra, dove siamo nati e conduciamo una vita piuttosto normale. I nostri genitori non abitano più a Londra: i miei si sono trasferiti da circa sei anni a Dublino, mentre i genitori di Martin non ci sono più.

Io non ho sorelle, né fratelli mentre Martin ha un fratello che è andato via di casa ad appena sedici anni per andare a vivere in Australia, a Sydney. Io sono un’insegnante di una scuola elementare della città perché amo i bambini, anche se spesso mi fanno impazzire. Martin lavora invece allo Starbucks vicino casa nostra. Non sono grandi lavori ma grazie all’aiuto economico che i nostri genitori ci hanno lasciato e con quel poco che riusciamo a guadagnare possiamo condurre una vita abbastanza agiata.

-.
Mentre Ella parlava, io immaginavo come da lì a poco la mia vita sarebbe cambiata. Speravo di vivere una vera vita, ricominciando da quel momento e stabilendo un distacco con il passato. Non volevo essere ancora comandato e oppresso, volevo far capire a tutti chi fossi realmente. Vedevo tutto da una prospettiva diversa e per la prima volta pensai che il sole brillasse anche per me, forse anche perché era la prima volta che lo vedevo nella mia vita da una posizione esterna a quel cancello.

Era bellissimo vedere come tutto fosse diverso qui fuori. Il sole illuminava le colline e i le verdi distese di prato che scorgevo appena dal finestrino della macchina mentre che eravamo in autostrada. I corsi d’acqua scorrevano veloci e limpidi e le rondini volavano libere in cielo, dove le nuvole non erano minacciose, ma sembravano bianchi e morbidi cuscini. M
Mentre io osservavo tutto ciò Ella riprese
-Abitiamo in una casa abbastanza grande. Ovviamente c’è una stanza anche per te.

Era la casa dei miei genitori, ma loro la hanno lasciata a noi non appena trasferiti. Io sono cresciuta lì, ma ora è totalmente diversa da quando io avevo la tua età. I miei genitori avevano iniziato a renderla più bella e ad aggiungere qualche piccolo dettaglio. Poi sono partiti e noi abbiamo fatto il resto- continuò Ella fino a quando Martin non la interruppe dicendo
– Ora che sai molto di noi, anche se non sappiamo niente di te, passiamo ai tuoi doveri.

– sorrise a Ella, le fece l’occhiolino e poi si voltò verso di me e continuò – gli unici doveri che hai è quello di mantenere il rispetto nei nostri confronti e di andare a scuola, impegnandoti con tutti i tuoi mezzi a dare il massimo. Per il resto…-
Non lo lasciai neanche terminare e, per la gratidune, mi uscì dalla bocca, quasi involontario
– Prometto che non sarò disobbediente- e dopo ciò iniziò a spiegarmi tutto dicendomi
– Ok.

La scuola è vicino casa nostra e ogni giorno prenderai l’autobus alle sette e mezzo. A che ora eri solito svegliarti la mattina ?–
– Alle sei e un quarto poiché le lezioni iniziavano alle otto meno un quarto quindi non sarà un problema. L’unica cosa che mi spaventa sono i nuovi compagni e soprattutto le nuove maestre. Non sono molto bravo a fare amicizia, perché lì avevamo degli amici “costretti” e soprattutto sono molto timido.

Ho quasi sempre paura di sbagliare e non è raro che io mi senta a disagio, anzi succede piuttosto spesso. –
Mi rassicurò dicendomi che i compagni sono sempre felici di avere un nuovo amico ed essendo ancora bambini non c’era alcun motivo di preoccuparsi, poiché non c’era ancora in loro la rivalità che si potrebbe creare contro un nuovo arrivato in una scuola di persone più adulte: i ragazzi delle scuole medie e i liceali hanno la tendenza a screditare tutto e tutti, anche gli amici, per affermare la loro superiorità nella scuola.

Poi chiesi delle maestre con tono preoccupato ed Ella lo avvertì. Si mise in agitazione, poiché aveva paura che mi trattassero male nella vecchia scuola e perciò chiese con tono preoccupato
–Come ti trattavano lì?-
– Vuoi davvero sapere come mi trattavano lì? Non è una bella storia, però sembri una signora simpatica e perciò te la racconto. Durante la settimana, dal momento che la mattina non avevo quasi mai voglia di alzarmi, gli educatori mi costringevano a scendere giù dal letto con la forza, mentre il sabato e la domenica non venivano nemmeno a svegliarmi, poiché non figurava niente nei compiti da svolgere durante la giornata e quindi la mia presenza nei corridoi o nel giardino era solo superflua e fastidiosa.

Così si comportavano anche con gli altri bambini. La colazione era un pasto velocissimo, che spesso saltavamo se non riuscivamo ad essere in tempo nel salone grande, poiché le lezioni iniziavano subito dopo e non ci era concesso di perdere nemmeno un minuto. A scuola i maestri erano molto severi e non ci era permessa la minima distrazione: con una bacchetta in legno colpivano le nostre mani quando ci comportavamo male o disturbavamo le lezioni e quando non avevamo svolto il grande carico di compiti che ci avevano assegnato il giorno prima la punizione era ancora più dolorosa perché ci davano colpi sulla schiena e sulla pancia.

A pranzo ci riproponevano sempre la stessa cosa e qualora noi non volessimo mangiare, saremmo andati incontro a due punizioni : erano soliti spingere la nostra testa dentro il piatto con violenza oppure ci mandavano via senza pranzo e ci facevano lavare i piatti. Durante il pomeriggio dovevamo studiare e quindi ci portavano in biblioteca, ma non vi era la luce elettrica e di conseguenza studiavamo con la luce di una candela: non cambiavano la candela finché tutta la cera non si fosse sciolta e quindi la candela si fosse spenta da sola.

Se non studiavamo e parlavamo ad alta voce, ci picchiavano a mani nude o con una cintura, poiché quello era il posto dove si poteva solo studiare e accrescere la cultura: spesso uscivo dalla biblioteca con i lividi. Era un posto pieno di libri di ogni genere ed era diviso in varie sezioni ma noi bambini avevamo il libero accesso solo ad alcune, mentre le sezioni “ proibite” erano protette da un piccolo cancelletto in ferro chiuso a chiave, come se dietro quella porta vi fosse nascosto qualcosa che non doveva essere scoperto: c’erano solo delle scritte che le identificavano, come “ Corrispondenza” o “ Archivio”.

Era molto raro che un bambino finiva i compiti prima che il sole tramontasse e l’unica luce che potevamo scorgere, solo dalla finestra e furtivamente era quella della luna. Era la mia unica e vera amica: l’unica con cui riuscivo a parlare e confidarmi. Spesso lei era lì ad ascoltarmi e anche se alcune volte andava via per qualche giorno e non si faceva vedere, tornava subito dopo con le risposte che io chiedevo.

Per andare a giocare fuori nel giardino occorreva che tutti i compiti fossero stati portati a termini in modo corretto e che le maestre avessero la pietà di farti uscire fuori : spesso le supplicavi di portarti fuori ma loro, con aria superba, facevano finta di non ascoltarti e se ti lagnai troppo ti portavano nella stanza della detenzione, dove dovevi stare quando eri in punizione. Era una stanza senza finestre, dove una maestra ti obbligava a scrivere su un foglio determinate frasi in relazione alla punizione che avevi fino a quando le mani non iniziavano ad essere doloranti.

Ricordo che entrai solo poche volte in quella stanza, due o tre al massimo, ma ne rimasi traumatizzato. A cena si ripeteva quasi sempre la stessa storia del pranzo ma con una piccola differenza: dovevamo mangiare obbligatoriamente e spesso ci ingozzavano loro. Dicevano tra di loro che erano obbligate a farlo perché non ci potevano lasciare morire di fame. Ci facevano lavare ogni sera con l’acqua presa dal pozzo, che raccoglieva l’acqua piovana, e ci mandavano a letto.

Se non volevamo dormire ci picchiavano oppure ci chiudevano in una stanza buia. –
– Ma è una tortura- urlò Martin e continuò – tranquillo che da adesso non sarà più così. –
Ciò mi rassicurava molto e con un sorriso continuai il mio racconto
-Ricordo solo di una persona in particolare, forse perché era l’unica che cercava in ogni modo di aiutare noi bambini. Era una delle suore che stava in cucina, ma era diversa dalle altre.

Se durante la cena si accorgeva che qualcuno non mangiava, di notte e di nascosto gli portava un pezzo di pane con un bicchiere d’acqua. Quando finiva il suo turno di lavoro controllava i nostri compiti e ci aiutava affinchè le maestre non ci picchiassero. Facendo così rischiava molto infatti ricordo che una volta la direttrice la cacciò fuori dalla sua stanza dicendole che non le avrebbe mai permesso di portarci fuori da quelle mura per visitare e conoscere il posto dove vivevamo.

Si avvicinò a me, che stavo vagando per i corridoi, e mi sussurò con voce dolce e bassa, come se mi stesse confidando un segreto, che non sopportava la direttrice perché era così difficile da persuadere e non faceva niente per permettere a noi bambini di provare un po’ di gioia, giusto per allontanare i brutti ricordi che ci riempivano la mente. La suora, che si chiama Laura se la memoria non mi inganna, era l’unica che proponeva questo genere di attività e che la domenica ci portava in giardino.

Per queste ragioni fu cacciata da quel posto qualche mese fa: si esponeva troppo a favore di noi bambini e ciò non piaceva né alle suore, né alle maestre, né soprattutto alla direttrice. –
Quel giorno per me iniziava una vita nuova, avevo una nuova speranza di tornare a vivere, lasciandomi tutti i brutti ricordi alle spalle. Avevo molti brutti ricordi e li trascinavo dietro ma avevo capito che adesso era arrivato il momento di lasciare quel pesante fardello e andare avanti senza alcun rimorso, né alcun timore.

Erano passate più o meno tre ore da quando eravamo saliti in macchina e perciò chiesi a Martin se mancasse ancora tanto prima di arrivare perché avevo molta sete. Ella mi passò una bottiglietta con l’acqua ma prima che io iniziassi a bere Martin disse:
– Siamo arrivati!- e proprio in quel momento urlai
-WOOW!-. Lui mi chiese cosa fosse successo e io con il cuore in gola ed eccitato per felicità risposi
– Va tutto bene, per la prima volta.

La casa era bellisima già a prima vista, mi sembrava di vivere in un sogno. Era una villetta a due piani con un enorme giardino dove vi era una piscina. Il giardino era verde con molte aiuole e gli alberi rigogliosi, vi erano anche un altalena per bambini e un’amaca. Poco più in là vi erano una depandance e una tettoia, solo dopo avrei scoperto che nella depandance vive il mondo di Ella e della sua vena di pittrice , mentre sotto la tettoia Martin dava libero sfogo alle sue passioni, il pianoforte, la chitarra e la musica in generale.

Dietro la casa i genitori di Ella fecero costruire uno spazio adatto per fare barbecue e Martin mi disse che spesso invitavano amici, soprattutto nelle calde sere d’estate per magiare un po’ di carne cotta alla brace e poi stare insieme e divertirsi grazie alla musica, che lui ritiene unico metodo per unire i cuori.
Scesi dalla macchina e continuando ad esprimere la mia felicità, correndo e saltellando caddi per terra e mi sbucciai un ginocchio.

Non avvertì nemmeno il dolore, ma Ella mi portò dentro e mi medicò: mentre disinfettava la ferita, questa bruciava un po’ ma sopportai il dolore sorridendo. In quel momento la abbracciai, come segno di riconoscimento, ma subito dopo averlo fatto ritrassi indietro le braccia e mi allontanai, poiché non volevo che nessuno fosse capace di leggere le mie emozioni, interpretarle e quindi sapere ciò che provavo. Mi guardò stranita e mi disse di seguirla, perché mi avrebbe fatto vedere la mia stanza.

Siamo saliti al piano di sopra e la seconda porta a sinistra era la mia stanza. Era diversa dalla quella che avevo prima : questa era piena di colori ed era mia. Avevo un armadio tutto mio, pieno di vestiti puliti della mia taglia ( non so come facevano a conoscerla ) un letto con le lenzuola che profumavano di ammorbidente con un cuscino morbido e soffice. Accanto al letto vi era un orsacchiotto enorme, ma non lo usai mai e col tempo lo feci sostituire con un comodino.

Appeso alla parete vi era un canestro e nella parete opposta una finestra da cui si poteva vedere la piscina. Il sole entrava da quella finestra la mattina tardi, verso le dieci: infatti successivamente presi l’abitudine di alzarmi dal letto di domenica solo quando venivo raggiunto dalla luce del sole. Avevo anche la televisione nella mia camera e tutto ciò mi sembrava molto strano perché non l’avevo nemmeno mai vista. C’era una libreria con accanto una scrivania su cui vi erano una divisa scolastica estiva, una invernale, dei libri e tutto il materiale che mi sarebbe servito per andare a scuola.

Scesi di nuovo sotto e Martin mi chiese
– Come va con il ginocchio? Tutto bene? –.
Io lo avevo già scordato e quindi gli feci capire che andava bene. Poi gentilmente chiesi
– Sono molto stanco, e preferirei andare a letto anche se non ho ancora mangiato. Domani inizia la scuola e mi piacerebbe essere carico d’energia il primo giorno. Se per voi non è un disturbo Signori Davis- Ella mi interruppe dicendo – Ok Kyle, vai a dormire! Domani sarà sicuramente una giornata impegnativa.

Sicuro che non vuoi niente? Ho preparato della pizza. –
– No, grazie. Vado a letto. Buonanotte e grazie Signori Davis- e mi diressi verso le scale. Mentre le salivo Martin urlò – Noi non siamo i Signori Davis! Siamo Ella e Martin!-
Entrai nella mia stanza e mi misi a letto ma non presi subito sonno. Ricordo infatti che dopo qualche minuti Ella entrò nella mia stanza, mi rimboccò le coperte, mi diede un bacio sulla fronte e se ne andò via.

Ero felice e per la prima volta pensavo di poterlo essere per sempre: finalmente avevo trovato che qualcuno si preoccupasse di me. Avevo apprezzato molto il gesto di Ella e mi era ancor più gradito poiché sapevo che lì dove stavo prima, mai nessuno lo avrebbe fatto.
La mattina dopo, venne Ella a svegliarmi dicendomi – Il sole si alza e tu devi fare lo stesso. Devi andare a scuola e non c’è tempo da perdere.

Vedrai che ti piacerà. –
Mi alzai di s**tto e la salutai con un bacio sulla guancia e un abbraccio. Subito dopo andai a lavarmi e mi misi la divisa. Una volta pronto per andare a scuola, scesi in cucina dove incontrai Martin che mi disse
– Buongiorno campione! Dormito bene?-
– Sì! Benissimo-
– Cosa vuoi per colazione? Latte e cereali vanno bene?-
– Sono perfetti, grazie. –
– Ok! Aspetta due secondi seduto lì che vado a prepararti la colazione.


Mi preparò la colazione e mentre mangiavo velocemente disse
-Prendi questa busta e mettila dentro lo zaino. Ci sono un pacchetto di patatine e una merendina per quando farete pausa. –
– Grazie, poggiali lì, per favore. Non appena finisco di fare colazione li sistemo nello zaino. –
Era tardi e per questo, dopo aver sistemato le ultime cose, salutai di fretta Ella e Martin e mi diressi verso la fermata del bus, che si trovava ad appena cento metri da casa mia, giusto alla fine della via.

Arrivato, vidi alcuni bambini, potevano essere una decina, che aspettavano l’arrivo dell’autobus come me e iniziai a parlare con uno di loro , che sembrava avere la mia età. Iniziai dicendo
– Ciao! Io sono Kyle e tu?-
-Ciao Kyle! Io sono Ben. Sei nuovo di qui? Non ti ho mai visto a scuola e di solito le facce le conosco tutte, vivendo nello stesso posto dalla nascita e frequentando la stessa scuola per 5 anni consecutivi.


– Hai ragione! Sono nuovo, appena arrivato! La famiglia Davis mi ha preso con sé appena ieri. –
– Sei un ragazzo fortunato. La famiglia Davis è una famiglia perfetta e sono anche giovani. Hanno tutte le carte in regola per essere una buona famiglia e poi sembrano gentili e disponibili. –
– Lo sono e ne sono felice. Guarda l’autobus è arrivato! Saliamo. –
– Ok! Andiamo- rispose Ben.
L’autobus ci portò diretti a scuola, con qualche breve fermata.

Guardavo attentamente la strada mentre continuavo a parlare con Ben, poiché non volevo pertermi il più piccolo dei dettagli delle cose e dei paesaggi che stavano scorrendo davanti ai miei occhi. Vedevo tutto quello che non avevo visto mai: donne con un passeggino, ragazzi che passeggiavano i loro a****li e molto altro ancora.
La scuola sembrava molto più bella di quella che frequentavo prima. Era in condizioni migliori e non sembrava isolata dal resto del mondo, poiché era circondata da grandi costruzioni, dal momento che si trovava quasi al centro della città.

Mentre stavamo scendendo dall’autobus Ben mi chiese se questa scuola somigliasse minimamente a quella che frequentavo e ovviamente io risposi di no, in quanto questa sembrava diversa e anche nell’aria si respirava più tranqullità. Nella mia vecchia scuola tutto, anche la cosa più bella, poteva diventare una tortura da un momento all’altro, anche se tu non avevi fatto niente per peggiorare la situazione. Tutto era nelle mani degli educatori, che ti muovevano come marionette e tu dovevi sottostare ai loro ordini.

Per un loro sbalzo di umore potevi passare anche ore ed ore chiuso nella stanza della detenzione e per una loro incomprensione potevi anche essere punito.
Non appena attraversata la soglia della scuola, Ben mi chiese
– Sai già in che classe sei ?-
– Sì, so che sono in quinta. –
– Volevo chiederti se tu sapevi già la sezione perché ci sono molte quinte. –
– No, questo non lo so.

Vieni con me in presidenza prima che inizino le lezioni? Andiamo a chiedere. –
– Sì, ma dobbiamo affrettarci. Sai, possibilmente saremo compagni di classe, perché nella mia classe ci sono meno alunni. –
– Non so dove sia la presidenza, mi accompagni?-
– Seguimi!- e dopo avere percorso alcuni corridoi e salita una rampa di scale siamo arrivati alla presidenza.
-Eccocci arrivati! Ora bussa e parla. – disse Ben
– Ok!- bussai e mi aprì una signora, un poco avanti con gli anni, con le rughe che gli tagliavano il viso ma con lo stesso sorriso che potrebbe avere anche una quindicenne, carico di energia e voglia di vivere.

– Come posso aiutarti, giovanotto?- mi disse la signora ed io risposi
– Sono appena arrivato in questa scuola, la mia domandina d’iscrizione era stata già presentata per me. Volevo sapere quale fosse la mia classe. –
– Io non mi occupo di ciò. Guarda lì, vedi quella porta?- mi disse mostrandomi una porta all’interno del suo ufficio
– Quella è la porta della presidenza. Entra lì e la preside Howell ti darà tutte le informazioni di cui hai bisogno.


-Grazie, signora. –
– Di niente, figliolo. –
Detto ciò, con Ben che stava sempre un passo dietro me, mi feci strada nel suo ufficio , che sembrava piuttosto in disordine poiché era pieno di fogli, carpettoni, moduli e s**tole, e arrivai alla porta della presidenza. Bussai e chiesi
– Posso entrare?-
– Sì, certo!-
Non appena la preside vide due ragazzini entrare nel suo ufficio chiese
-Posso aiutarvi? Non trovate la classe?- ed io risposi
– In effetti no.

Non so nemmeno in che sezione sono stato ammesso. I miei genitori hanno compilato il modulo d’iscrizione quest’estate. –
– Come ti chiami?-
– Kyle Davis-
– Ok. Trovato la tua classe è la VA. Questo è la tua tabella degli orari, mentre queste sono le chiavi del tuo armadietto è il numero AV19. La combinazione è questa ma ovviamente puoi cambiarla. –
– Grazie per le informazioni. Ora vado prima che le lezioni inizino.


-Ok. Ci vediamo presto. –
Ben, che aveva aspettato fuori dalla porta, non appena fui uscito mi chiese
– Sezione?- ed io risposi
– A –
Subito mi diede il cinque e mi disse
– Siamo nella stessa classe, amico. –
Io e Ben eravamo compagni di classe e sarebbe anche diventato il mio migliore amico, con il passare del tempo.
Era appena suonata la campanella quando Ben mi disse
-Dobbiamo andare nell’aula di Mrs Schwarz, la nostra insegnante di Inglese, Storia e Geografia.

Questa è la lezione della prima ora. Gli altri insegnanti che oggi conoscerai sono Mr Jones, l’insegnante di Educazione Fisica e Mrs Haynes, l’insegnante di Matematica e Scienze. Gli unici professori che non conoscerai oggi sono Mrs Wade, docente di Arte e Disegno, Mr Newman, docente di Informatica e Mrs Coyle, la nostra insegnante di Musica e Teatro. L’ultima che ho nominato è la migliore perché riesce a farti sognare e le sue ore di lezione sembrano volare.


La giornata è passata velocemente e arrivata la fine delle lezioni chiesi a Ben
– Torni a casa con l’autobus?-
– Certo! Perché i miei lavorano. Tu?-
– Sì. Ti siedi accanto a me?-
– Certo. Perché no? In questo modo possiamo continuare a parlare. –
Sull’autobus parlammo di molte cose e mi resi conto di quanto fosse divertente: sapeva giocare con l’autoironia e le sue battute facevano sempre sorridere, almeno un po’.

Arrivati alla fermata gli dissi
– Ci vediamo domani-
. -Certo! A domani. –
E io andai verso casa mia mentre lui andava verso casa sua.
Il primo giorno di scuola non è stato per niente pesante: forse perchè era il primo o forse perché nell’altra scuola ero abituato a lavorare molto di più. Le maestre erano giovani e simpatiche e i compagni molto solari e amichievoli, ma ora ricordo i nomi di quelli che mi sono stati accanto: Robert, Will, Josh, Laura e Emily.

Tornato a casa raccontai tutto a Ella, perché le si leggeva in volto la voglia che aveva di sapere tutto e così feci.
-Come ti è sembrata la scuola?-
– Molto più grande di quella che frequentavo prima. L’altra aveva al suo interno anche le stanze dove noi dormivamo e proprio per questo le aule erano molto più piccole. –
Anche Martin quando si rientrò a casa da lavoro, anche se stanco, volle sapere tutto nei minimi particolari.

Mi sentivo strano perché per la prima volta c’era qualcuno che voleva sapere di me, di ciò che avevo fatto durante la giornata, qualcuno disposto ad ascoltarmi. Era un’emozione che non avevo mai provato e devo ammettere che mi piaceva trovarmi al centro dei discorsi. Mentre Ella cucinava mi sedetti a vedere alcuni programmi televisivi, soprattutto cartoni animati, poiché ero ancora un bambino. Stavo disteso sul divano ,quando Martin mi alzo la testa e la pose sulle sue gambe: avevo capito che voleva pormi ancora qualche domanda.

Allora mi alzai , spensi la televisione e mi misi in ginocchio sul divano e ricordo che Martin mi chiese
– Come hai trovato i tuoi compagni di classe? Sono stati carini con te?-
– Certo! Soprattutto uno. Si chiama Ben e vive molto vicino a noi, Bradford Road se non ricordo male. Si è seduto vicino a me sull’autobus e a scuola, mi ha chiesto molte cose e soprattutto ha ascoltato con interesse la mia storia.


– Bradford Road, eh? Il suo cognome è Sellen?-
– Sì, proprio così. Come fai a saperlo?-
– I suoi genitori sono nostri grandi amici. Suo padre era un mio compagno di liceo, mentre sua madre è insegnante e lavora nella stessa scuola in cui lavora Ella. Se vuoi, puoi farlo venire quando vuole. Strano che non ti abbia detto nietne di noi, siamo stati molte volte a casa sua e lui diverse volte è venuto a casa nostra con i suoi genitori.


– Mi ha detto che siete delle ottime persone, molto simpatiche e disponibili. Per quanto riguarda il fatto di venire a casa nostra glielo dirò domani stesso. –
Il telefono squillò e Martin dopo aver ascoltato la mia risposta corse a rispondere. Io mi alzai dal divano e andai in camera a sistemare lo zaino per il giorno dopo. Qualche minuto dopo Ella mi invitò a scendere perché la cena era pronta, e mi avvertì che se non mi fossi sbrigato si sarebbe freddato tutto.

Spensi la televisione, mi chiusi la porta dietro di me e andai in bagno per lavare le mani. Subito dopo scesi in fretta le scale e mi misi a tavola con Ella e Martin. Ella aveva cucinato lasagne al forno con pesto, come secondo un semplice filetto di carne e come contorno un insalata di lattuga, mais e pomodoro. Era tutto molto buono e mentre cenavamo Martin mi disse che aveva chiamato Drew, il padre di Ben e che sarebbero venuti a cena qualche giorno dopo e Ben sarebbe rimasto a dormire a casa nostra.

Fui molto lieto di ricevere questa notizia poiché mi piaceva l’idea di passare del tempo con Ben, la sua famiglia e soprattutto Ella e Martin. Lui mi faceva ridere tantissimo e proprio per questo desideravo passare con lui più tempo possibile. Finita la cena andai a dormire e come il giorno precedente Ella sistemò coperte e lenzuola e mi diede la buonanotte. Questa volta anche Martin mi diede la buonanotte con un bacio sulla fronte proprio come Ella.

Il giorno dopo andai a scuola regolarmente e finalmente conobbi Mrs Coyle, la docente di Musica e Teatro. Quello che Ben mi aveva detto in precedenza era vero: è un’ottima professoressa. Il tempo sembra volare durante le sue lezioni e ogni minimo sforzo che richiede viene subito ripagato. Oggi ha cantato per noi un brano di Celine Dion : il titolo è My Heart Will Go On. La sua voce mi ha stregato e sembrava possibile vivere i sentimenti celati dietro le parole di quella canzone che tutti i miei compagni idealizzavano in un film che io non avevo mai visto : il Titanic.

Mentre cantava, la sua voce veniva accompagnata dal suono armonioso e melodico del pianoforte che lei stessa suonava. Poi ci ha raccontato una storia, quella del Titanic che io non conoscevo e rimasi colpito da questa storia d’amore, quasi impossibile. Il suo racconto era quasi giunto alla fine quando suonò la campana: mentre andavamo via ci disse che avremmo visto il film la lezione seguente.
Quella sera, ritornato a casa, chiesi a Ella di raccontarmi la storia di quel transatlantico perduto negli abissi dell’Oceano Atlantico e lei me la raccontò nei minimi dettagli, capace di farmi rivivere tramite le sue parole tutte le emozioni provate da ogni personaggio: dalla paura alla gioia, dall’amore al disprezzo.

Me la raccontò mentre stava cucinando e vedendo sul fuoco più pentole del solito chiesi
– Perché ci sono tutte queste pentole? Cosa stai cucinando?-
– Vedo che non ti sfugge nulla. Ci sono molte più pentole sul fuoco perché oggi non siamo soli a cena. Vengono a farci visita Drew e Marta, i genitori di Ben, e si fermano per cena. –
– Veramente? –
– Sì!-
– Sono molto felice. Vado a prepararmi.


Corsi di fretta in camera e mi sistemai per l’arrivo dei Sellen. Fatta una doccia, indossai una camicia bianca con un paio di pantaloni blu. Non appena avevo finito di allacciare le scarpe suonarono al campanello e Ella mi invitò ad aprire la porta. Lo feci volentieri e appena visti Ben lo abbrcciai. I suoi genitori si salutarono con i miei e poi mi dissero
– Ciao Kyle. Ben ci ha raccontato molto di te.

Tieni questo è per te. Martin sa come usarla e ti aiuterà. –
– Grazie signori Sellen. –
Mi diedero un pacco che scartai immediatamente. Dentro vi trovai una chitarra acustica.
Cenammo velocemente e poi io e Ben andammo in camera mia a vedere un po’ di cartoni, mentre i nostri genitori rimasero sotto a parlare.
Si fece mezzanotte e i genitori di Ben andarono via mentre lui rimase a dormire da me.

Il giorno dopo venne Ella a svegliarci, poiché dovevamo andare a scuola. Scesi in cucina, abbiamo trovato la colazione già pronta, che consumammo in fretta poiché era tardissimo. Per prendere l’autobus abbiamo fatto la strada correndo perché mancavano appena due minuti al suo passaggio, ma arrivati a scuola iniziammo le lezioni normalmente, senza un minuto di ritardo. Sebbene le lezioni diventavano sempre più complesse e i ritmi sempre più accelerati la mia vita di studente continuava tranquillamente.

Il tempo passava veloce e il mio rapporto con Ben migliorava sempre più. Quest’anno scolastico era quasi giunto al termine e si avvicinava la data del mio compleanno, il 7 giugno e mancava più o meno un mese alla fine della scuola. Ella e Martin avevano deciso di organizzare una festa e avevano deciso di invitare tutti i miei compagni di classe. Avevo contribuito in minima parte ai preparativi, poiché volevano fare tutto loro.

L’unica cosa che ho fatto è stato spedire gli inviti e fare finta di non capire alucne discussioni fra di loro, in particolare quelle in cui parlavano del regalo. L’unico aiuto che richiesero fu per scelta degli addobbi e infatti qualche giorno prima vennero a prenderemi a scuola alla fine delle lezioni per andare a comprarle.
Con noi venne anche Ben, che mi aiutò nella scelta dei festoni. Ho scelto qualcosa di molto sobrio, per niente legato al mondo dei cartoni animati, benché Ella e Martin fossero accondiscendeti.

Preferivo qualcosa che non mi catalogasse nel mondo dei bambini e perciò avevo completamente escluso il mondo dei cartoni animati. Stavo per compiere undici anni e quindi era già abbastanza crsciuto. Giorno 6 Ben era rimasto a dormire a casa mia perché voleva essere il primo a farmi gli auguri appena sveglio. Quando il mattino seguente mi svegliai Ben mi aveva preparato una sorpresa. Un video in cui diceva quanto mi voleva bene anche se ci conoscevamo da così poco tempo.

Quando lo vidi, lo ringraziai per il video ma non ebbi il tempo di parlare poiché entrarono Ella e Martin nella stanza e volevano farmi gli auguri anche loro. Ci dissero di scendere in cuicina poiché la colazione era pronta : una torta-gelato solo per noi. Poi più in fretta che abbiamo potuto ci lavammo e appena pronti ci avviammo verso la fermata dell’autobus.
La giornata a scuola è stata fantastica, mi sentivo quasi un re.

Anche Mrs Coyle aveva intonato la canzone del “ Buon Compleanno ” per me e tutti la seguirono cantando. Finite le lezioni Ella venne a prendere me e Ben con la macchina, poiché non avevamo molto tempo per preparare le cose. Arrivammo a casa e dopo due ore tutto era pronto : la festa poteva iniziare.
Non ricordo mai di aver festeggiato il mio compleanno, non sapevo neache l’esistenza di questa ricorrenza e ricordavo il giorno in cui ero nato solo perché nell’orfanotrofio ci dividevano per età e ogni 7 giugno io cambiavo stanza.

Dove vivevo prima era un giorno come tutti gli altri, niente di speciale: non ricevevo né un dolcetto, né una carezza in più. Avevamo deciso di fare la festa nel giardino, in modo da avere più spazio per giocare e non soffrire il caldo dentro casa.
Martin aveva pensato a tutto quello che riguardava la musica, mentre Ella aveva pensato al le bevande e alle cose da mangiare: aveva fatto anche la torta.

Ho ricevuto molti regali: i signori Sellen mi regalarono un comupter, i miei compagni di classe un telefono cellulare, ma il regalo più bello è stato quello di Ella e Martin. Verso le otto e mezza di sera si è fermato un piccolo camion davanti casa nostra ed Ella mi disse
– Vai a prendere il tuo regalo. –
Ci spostammo tutti dall’altro lato del giardino e aperta la s**tola vidi la cosa più dolce che avevo mai visto: un cucciolo di Labrador che poteva avere massimo due o tre mesi.

Sembrava affettuoso e appena mi ha visto mi è saltato addosso. Decisi di chiamarlo Sean.
Alla fine della festa tutti andarono via e rimase solo Ben, che saerbbe rimasto da noi anche per la notte. Ben era già andato in camera mentre io mi ero soffermato un po’ a parlare con Martin ed Ella che mi chiesero
– Ti è piaciuta la festa?-
– Certo! E anche molto. Non avevo mai festeggiato il mio compleanno.


– Da oggi e per gli anni a venire lo festeggerai ogni anno. –
– Davvero? Grazie. Ora sono un po’ stanco, oggi è stato una giornata abbastanza impegnativa. Vado a riposarmi. Ben aspetta zitto zitto che io arrivi per farmi uno scherzo, come se non lo sospetto. –
-Ok, piccolo. Vai a dormire. Domani non c’è scuola quindi non vi sveglierò presto. –
– Ok. Buonanotte mamma. – dissi a Ella – e buonanotte anche a te, papà.

– dissi a Martin.
– Come ? Ripeti …. – e entrai di corsa in camera. Ben stava stranamente dormendo, ma non aveva messo il lenzuolo, così lo sistemai io e dopo mi misi a dormire. Ma non presi subito sonno, benchè fossi molto stanco : pensavo a ciò che avevo detto. Avevo chiamato Ella e Martin mamma e papà, anche se sapevo per certo che non lo erano. I miei non c’erano più, non li ricordo nemmeno.

-Ben, fermati. – queste sono state le prime parole che ho pronunciato al risveglio. Ho ritrovato Ben nel mio letto che tentava in tutti i modi di svegliarmi e alla fine mi ha buttato un bicchiere di acqua fredda in faccia.
Lui rideva e anche se ero arrabiato mi misi anche io a ridere.
Dopo aver fatto colazione ci preparammo per andare a fare un’escursione. Non ricordo esattamente il posto, ma ricordo le emozioni che provai, intense e cariche di felicità.

Alla fine della giornata non ero per niente stanco, anche se avevo camminato per diverse miglia : ero ancora pronto a vivere milioni di emozioni, tutte quelle che non avevo provato negli anni precedenti. Accompagnato Ben a casa, anche noi tornammo a casa, dopo aver fatto un salto al negozio di a****li perché dovevamo comprare da mangiare per Sean. Appena arrivati lasciammo Sean libero nel giardino, mentre noi andammo a fare una doccia.

Erano quasi le otto di sera ed eravamo pronti per cenare quando Martin mi dice di seguirlo in giardino. Io non indugiai e gli andai dietro, come se fossi la sua ombra. Mi portò nel capannone dove teneva tutti i suoi strumenti musicali e anche se ero entrato varie volte in quel posto, ogni volta mi sembrava la prima e mi emozionava sempre più: non è possibile capire quanto mi piacesse quel posto, perché neanche io so spiegare cosa provavo quando entravo lì dentro.

– Vieni, avvicinati. – mi disse Martin
– Cosa devi farmi vedere?-
– Vieni qui! Chiudi gli occhi e apri le mani. –
In quel momento, mi poggiò qualcosa sulle mani, piccolo e di forma triangolare e mi disse
– Apri gli occhi-
Non appena lo vidi e realizzai cosa fosse gli dissi un po’ deluso
-Un plettro? E a cosa dovrebbe servirmi se non so nemmeno suonare la chitarra?-
– Questo non è un plettro, ma è il primo plettro che io ho ricevuto in regalo.

Sono passati molti anni dall’ultima volta che l’ho usato, perché avevo deciso di conservarlo. Ora, voglio regalarlo a te, perché è un oggetto a cui tengo molto. Non importa se non sai suonare perché da domani ti insegnerò qualcosa. –
– Wow! Il primo plettro con cui hai suonato? Vuoi realmente regalarmelo?-
– Sì e adesso è tutto tuo. –
Subito dopo rientrammo in casa ed Ella ci chiese cosa avessimo fatto fuori e Martin le rispose, strizzandomi l’occhio
– Segreti da uomini!-
Ella sorrisee disse
– Ah ok! Allora non mi intrometto.


Dopo qualche minuto andammo a cenare e finita la cena, abbiamo visto sul divano un film piuttosto divertente.
Il giorno dopo mi svegliai sul divano. Guardai l’orologio ed segnava già le nove meno venti. Mi alzai di fretta e andai a fare colazione. In cucina trovai solo Ella che mi salutò e mi domandò per quale ragione fossi già sveglio alle nove circa del mattino quando di domenica di solito non mi alzo mai prima delle dieci.

Mentre mi preparava la colazione io le risposi dicendo che ero troppo felice poiché Martin mi aveva detto che quella mattina avrebbe iniziato ad insegnarmi qualcosa di chitarra.
-A proposito… Dov’è Martin?-
– Martin è nel capannone. Mi aveva detto di dirti che ti aspettava lì. –
– E perché non me lo hai detto prima?-
Divorai velocemente la colazione e corsi da Martin.
– Buongiorno campione, dammi il cinque! Hai portato il plettro?-
– Sì, certo.

Eccolo qui. –
– Dammelo! Ne creerò una collana, in modo che tu non lo perda. –
Non ci mise più di due minuti e appena aveva finito disse
– Sei pronto?-
Ed io risposi
-Non aspettavo altro. –
In un giorno avevo appreso tutte le scale naturali ed alterate delle varie note musicali, sia normali che minori. Potevo leggere nel suo viso quanto fosse orgoglioso di me e ciò non mi dispiaceva affatto.

Mi aveva anche detto che avevo una voce abbastanz buona, doveva solo essere perfezionata ed educata ( la voce si educa al canto o almeno così diceva Martin ).
Siamo stati sotto la tettoia tutto il giorno, avevamo saltato anche il pranzo benchè Ella ce lo avesse portato.
Rientrati a casa, feci vedere a Ella quanto avevo appreso e rimase molto colpita.
Diventavo sempre più bravo e grazie all’aiuto di Martin la mia voce era stata corretta.

Suonare e cantare erano diventate le mie passioni, perché solo cantando o suonando riuscivo ad esprimere tutto ciò che avevo dentro ed era l’unico metodo che funzionava quando avevo bisogno di distendere i nervi e rilassarmi, lasciandomi alle spalle tutte le preoccupazioni.
A scuola tutto andava bene e non avevo alcuna insufficienza, i professori erano molto contenti di me, in particolare Mrs Coyle che in occasione degli incontri scuola-famiglia diceva sempre ai miei genitori adottivi che io possedevo un talento ed era da sciocchi non accorgersene.

Durante le sue lezioni mi sentivo nel mio mondo e pregavo affinchè durassero il più allungo possibile.
Finito il mio primo anno scolastico a Londra, tutto cambiava. Dall’anno seguente noi alunni eravamo obbligati a studiare solo inglese, matematica e scienze e poi avevamo la possibilità di scegliere 6 o 9 materie. Io durante gli anni successivi scelsi sempre :Teatro, Storia della Musica, Chitarra, Pianoforte, Disegno, Francese, Spagnolo e Storia. Alcuni corsi erano difficili da seguire, ma affrontandoli con passione ed energia non ho mai avuto alcun problema.

Ben era sempre presente nella mia vita, ma frequentavamo corsi diversi, poiché lui non amava affatto la musica, né le lingue, preferiva le scienze e la tecnologia. Anche se a scuola avevamo orari diversi e ci vedevamo solo la pausa o a pranzo, stavamo incollati lo stesso perché quasi ogni giorno veniva a casa mia, o io andavo a casa sua.
Proprio in questi anni conobbi una ragazza che era mia compagna di corso nelle ore di Spagnolo e Francese.

Il suo nome è Nicole e ricordo che mi piaceva molto. Ci frequentammo e uscimmo insieme per qualche mese, fino a poco prima che io compissi sedici anni.
Tralasciando la fine di questa relazione, avvenuta in modo pacifico, tutto sembrava andare bene, ma presto sarebbe cambiato qualcosa.
Avevo appena compiuto sedici anni quando una sera , mentre stavamo cenando, Ella e Martin mi dissero che dovevamo traslocare. Proprio in quel momento mi cadde il mondo addosso.

Non ero pronto a lasciare quel posto e avevo solo quattro settimane di tempo per abituarmi all’idea.
– Andremo via di qui- disse Martin
– Come? Lascieremo questo posto?-
– Sì, Kyle. Dobbiamo andare via. Mio fratello ha trovato un posto di lavoro per me a Sydney e non penso che rifiuterò l’offerta. Guadagnerei molto di più e potrei essere vicino a l’unica persona della mia famiglia che mi rimane. –
– Certo, papà.

Ma ora guarda la situazione dal mio punto di vista. Io sono arrivato qui da sei anni circa e solo ora mi sento pienamente appartenente a questo posto. Non voglio cambiare né scuola, né casa, né abiutidini. E poi Ben, come faccio io senza potergli più parlare? Senza vederlo più piombare in casa nostra? Senza più picchiarlo? Senza più piangere insieme a lui? Senza più dormire nella stessa stanza e svegliarsi la mattina in modi più o meno bizzarri? Senza litigare con lui? Come potrei mai separarmi da questo posto? Non penso di farcela, il distacco sarebbe per me troppo traumatico…-
– Non c’è scelta da fare, è già stata presa.

So che sarà difficile affrontare un mondo completamente a noi nuovo, ma ci riusciremo se restiamo uniti come una famiglia. –
Mi alzai di s**tto dalla tavola buttando il bicchiere a terra e entrato nella mia stanza chiusi violentemente la porta. Ella stava per raggiungermi in camera ma Martin la bloccò, e lei si limitò solo a prendere il bicchiere che avevo fatto cadere e ad asciugare l’acqua che si era riversata sul pavimento.

Era la prima volta che mi capitava di arrabiarmi con Ella e Martin, di trovarmi in disaccordo con loro e la sensazione che provavo era molto strana. Dovevano sentirsi molto confusi anche loro, poiché non mi ero mai comportato in quella maniera e sicuramente non sapevano nemmeno loro come comportarsi. Ero indeciso tra tornare indietro subito per chiedere scusa dell’azione che avevo commesso o aspettare che fossero loro a fare il primo passo.

Pieno di dubbi, adesso ero nella mia stanza illuminata da un argenteo raggio di luna che entrava pallido dalla finestra, sdraiato sul mio letto e pensavo a tutto quello che era successo da quando avevo lasciato l’orfanotrofio fino a questo momento ed ero molto spaventato, perché non sapevo ancora quello che mi sarebbe successo in una trentina di giorni. Certezze oramai ne avevo poche, ma una era proprio quella di non avere l’intenzione di perdere Ben.

Ben era il mio migliore amico e condividevamo tutto: piangevamo insieme e la gioia di uno era la gioia dell’altro, eravamo sempre in contatto e sembravamo telepatici, poiché bastava uno sguardo per capirci. Ci siamo conosciuti in un modo così banale che non avrei mai immaginato che sarebbe diventato il mio migliore amico, ma invece da quel momento è sempre stato presente nella mia vita, l’unico che conosce ogni minimo dettaglio e a cui dicevo realmente tutto senza aver paura di dover omettere qualche particolare, perché lui accettava i miei punti di vista e mi consigliava che scelte fare.

Le nostre idee erano spesso in contrapposizone, ma trovavamo alla fine una soluzione che accomunava entrambi i pensieri , ma era difficile arrivare a questa conclusione e spesso stavamo anche ore a discutere. Litigavamo spesso, ma non ero mai arrabbiato con lui, né portavo dietro rancore perché era come un fratello per me e gli volevo realmente bene. Confuso, decisi di liberare un po’ di emozioni scrivendo

“ Cara luna,

Sono fermo qui, ad osservarti dalla finestra della mia stanza e il tuo bagliore è l’unica luce che illumina il mio volto.

Solo tu riesci a vedere la lacrima che mi taglia il viso e solo a te voglio dire ciò che provo in questo momento. Mi rimani solo tu, perché a Ben non so come dire che sto per andare via.
Sono confuso e non so cosa fare. Meglio dire tutto a Ben o lasciare che passi ancora un po’ di tempo? Meglio tagliare i rapporti in modo che nessuno soffra o godersi questi ultimi momenti?
Non mi piace mentirgli, e non l’ho mai fatto.

Mi piacerebbe trovare una risposta a tutte queste mie domande, ma nessuno è capace abbastanza.
Mi chiedo perché proprio adesso, che tutto sembrava andare bene, il destino abbia deciso di giocare con il mio umore.
Sono molto triste e non so cosa fare. Per la prima volta mi sento realmente solo perché anche Ella e Martin sono contro di me.
Vorrei solo chiudere gli occhi e sperare che questo fosse tutto un incubo, ma so che non è così.

Non appena ebbi finito di scrivere quella lettera, essendo stanco e abbastanza sconvolto, mi misi sotto le coperte e iniziai a dormire.
La mattina seguente tutto sembrava diverso. Ella e Martin mi avevano appena salutato, ma in modo molto freddo: si vedeva benissimo che non sapevano cosa fare, né cosa dire. Ella si tratteneva a stento dall’abbracciarmi, mentre Martin era molto sulle sue. Io avevo appena ricambiato quel saluto, sentendomi quasi costretto a ricambiare quel saluto, ma non avendo alcuna voglia di farlo.

Lasciai casa silenziosamente e mi diressi verso la scuola. Camminavo per la strada: jeans a vita bassa di un blu non molto scuro, snickers bianche con lacci blu, maglietta bianca disegnata la bandiera degli Stati Uniti , felpa con zip e cappuccio, rigorosamente indossato e occhiali da sole decorati a tema USA. Visto dall’esterno sembravo un ragazzo normale che stava andando a scuola ( non indossavo più la divisa in quanto ero già alla Sixth Form ), ma solo io sapevo che il peso delle parole portavo dentro era difficile da sostenere.

Ascoltavo un po’ di musica con il lettore Mp3 ma ero distratto dall’eco rimbombante delle parole che avevo sentito e dai mille pensieri che avevo in testa: cercavo di trovare un modo per scappare da quella situazione infernale e non riuscivo a trovarlo. Ero molto spaventato perché pensavo di non poter riuscire ad affrontare Ben non credendomi capace di potergli dire tutto, ma presto o tardi lo avrebbe scoperto.
Vedere ogni giorno Ben a scuola era una tortura: dovevo trovare il modo di dirgli quello che stava succedendo, ma ogni volta che se ne presentava l’occasione, io dissimulavo.

I giorni passavano rapidamente e mancava una settimana alla mia partenza. Stavo studiando per gli ultimi test quando mi arriva un messaggio da parte di Ben

“ Per quanto tempo ancora vuoi continuare a fingere che vada tutto bene? Che non hai niente da dirmi? Io mi sono stufato di questo gioco.
Grazie di tutto. ”

L’aveva saputo. Ma chi aveva potuto dargli questa notizia se io stesso ne ero talmente turbato da non averne fatto nemmeno un piccolo accenno con nessuno? Potevano essere stati i miei genitori ?
Ne dubito perché era quasi un mese che Ben non veniva a stare un po’ a casa mia, nemmeno per studiare.

Non mi interessava minimamente come aveva potuto saperlo, ma mi preoccupava il fatto di non sapere come risolvere la situazione. Gli mando un messaggio che diceva

“ Te lo avrei detto prima, se avessi saputo come farlo senza farti stare male. Scusa.
Se mai volessi parlare, vieni a casa mia. ”

La risposta non arriva subito, tarda di qualche minuto. Ma appena arriva non tardo nemmeno un secondo ad aprire il messaggio e leggo

“ E secondo te è stato meno doloroso saperlo così? Sapere che tu lo sapevi ma continuavi a mentirmi… A me? Ti consideravo come un fratello e giuro che se penso ancora oggi a me, vedo la tua figura perché ormai eravamo una cosa sola e non avrei mai pensato che tu fossi capace di nascondere una cosa di così grande importanza.

Stai per andare dall’altro lato del mondo e non penso che tornerai mai. Scusa amico, ma non posso accettarlo. Prova a vedere la situazione dal mio punto di vista. ”

“So che ho sbagliato, sono pienamente cosciente di ciò. Ma già lo sapevi? Da quanto tempo? Chi te lo ha detto?”

“ So tutto da più o meno quattro settimane ho aspettato fino a questo momento per dirtelo perché speravo che fossi tu a dirmi tutto ( e anche perché fino all’ultimo non ci volevo credere e speravo che tu non partissi ).

“ Come fai a saperlo da quattro settimane, se io l’ho saputo 20 giorni fa ? L’hai saputo prima di me!! In questo periodo non sei neanche venuto a casa mia. ”

“ I tuoi genitori mi hanno detto tutto e mi hanno anche chiesto di allontanarmi da te in modo che tu avvertissi meno dolore al distacco. Io li ho ascoltati perché pensavo fosse la cosa giusta. Vederti ogni giorno a scuola mi fa stare sempre più male.

“ Vieni a casa mia! ORA! Penso che sia arrivato il momento di parlare. ”

“ I tuoi non mi lasciano entrare e lo sai!”

“ Non ti preoccupare di ciò, aprirò io la porta. ”

“ Ok, sto per uscire di casa. Fra dieci minuti sarò da te. ”

“ Ok. Ti aspetto.. Non tardare!”

“ Mi dai il tempo di levarmi il pigiama e indossare una maglietta e un paio di jeans o vengo in pigiama?”

“ Ah ah! Non scherzare e sbrigati =)”

Aspettavo con ansia il suo arrivo ma non riuscivo a capire cosa mi stesse prendendo.

Il momento in cui aspetti qualcuno è secondo me l’attesa più lunga che puoi provare nella vita e il tempo non sembra passare e ogni secondo che passa ti fa pensare sempre più al peggio. Tutto ciò mi metteva ancor di più in agitazione, considerando quello che stava succedendo. Questi dieci minuti sembravano non passare mai. Tra un monologo e un altro ( sembravo un cretino mentre parlavo da solo nella stanza ) dalla finestra lo vedi camminare lungo il vialetto, fermarsi davanti alla mia porta un attimo a pensare e poi suonare.

I miei aprirono la porta, visto chi era e la chiusero subito ancor prima che io arrivassi sotto per aprire. Sento solo Martin che pronuncia la frase – allora non hai capito – e poi la chiusura brusca della porta.
Appena arrivato sotto chiesi
-Chi è ?-
– Nessuno!- risponde Martin
– Ah ok! Apro io la porta e vedo chi è-
-Cosa intendi dire?- mi chiese Martin con aria sospettosa e io nemmeno risposi.

Mi diressi verso la porta e dopo averla aperta mi resi conto che non c’era veramente nessuno, era andato via.
Chiusi la porta con violenza ed entrai in camera. Non riuscivo a capire come mai era andato via.
E allora gli mandai un messaggio

“ Perché sei andato via? ”

“ Sono andato via perché tuo padre ha aperto la porta e mi ha cacciato. Sapevo che sarebbe finita così.

Non capiscono proprio. ”

“ Se solo avessi aspettato tre secondi in più, sarei arrivato io ad aprire la porta e saresti ancora qui. ”

“ Scusa. Non lo sapevo! Ma tuo padre mi ha cacciato, quindi sono andato via. ”

“Ok. Va bene! Ne parleremo a scuola”

Ma purtroppo questi ultimi sei giorni passarono velocissimo e così arrivai al giorno prima della partenza senza ancora avere chiarito nulla con Ben, poiché tra verifiche e molto altro non avevamo avuto nemmeno il tempo di vederci.

Il pomeriggio appena rientrato a casa ricevo un messaggio

“ Domani parti. Addio”

“ Non mi dire tutto ciò. Non essere così freddo con me. Non me lo mertio perché sai che non voglio partire. Se dipendesse da me, resterei qui, poiché mi trovo bene e soprattutto non voglio lasciare né le mie abitudini, né tanto meno le persone. ”

“ Anche se non vuoi farlo le tue parole restano solo intenzioni che rimangono in contraddizione con ciò che stai facendo, Kyle! Renditene conto! Stai andando via e io sto per rimanere solo.

“ Lo so Ben ! Lo so ! Pensi che non sto già abbastanza male? Anche io rimarrò solo, in un mondo a me completamente sconosciuto. Pensi che la mia situazione sia migliore?”

“ Non lo so, ma penso che devi venire a casa mia stasera. Voglio stare con te un ultima volta… e questa volta penso proprio che piangeremo ( forse anche per l’ultima volta insieme )”.

“ Ok arrivo.

Solo il tempo di preparare alcune cose e vengo. Né Ella, né Martin potranno fermarmi. ”

Metto il telefono in tasca, prendo il mio Eastpak nero e metto dentro tutto quello che può servirmi per una notte.
Scendo giù e incontro Ella che mi chiese dove stessi andando e io risposi
-Vado da Ben! Dormo a casa sua perché vogliamo passare quest’ultima notte insieme dato che non ci rivedermo mai più! Se ti va bene, perfetto! Se non ti va bene e cercherai in tutti i modi di bloccarmi a casa, sappi che ti sarà impossibile.

Non rinuncerò a passare l’ultima notte con il mio migliore amico e finigere un mezzo sorriso nei vostri confronti. –
– No, vai pure tranquillo. Non ho alcuna intenzione di fermarti. A Martin penso io. –
Avevo dedotto che neanche a lei piaceva l’idea di traslocare, quindi era tutta una costrizione di Martin. Mi abbracciò, non lo faceva da molte settimane, le uscì una lacrima e mi lasciò andare.
Mentre camminavo per la strada pensavo a come mi sarei dovuto comportare una volta trovatomi faccia a faccia con Ben.

Dopo dieci minuti di camminata, che equivalevano a dieci milioni di dubbi, arrivai a casa di Ben e proprio Ben aprì la porta. Mi abbracciò come non ha mai fatto in sei anni e mi disse
– Finalmente sei arrivato! Non sai quanto è brutto attendere qualcuno a cui tieni, l’attesa sembra infinita. –
– Vedi? Siamo telepatici! Quando l’altro giorno sei venuto a casa mia e Martin non ti ha fatto entrare ho detto la stessa cosa!-
– Entra!-
Chiuse la porta dietro sé e mi fece salire in camera.

Quella casa la conoscevo ormai come se fosse la mia. Erano più o meno le sei del pomeriggio e il sole al tramonto era l’unica luce di cui avevamo bisogno. Dava un atmosfera più accogliente rispetto al neon e quindi avevamo deciso di non accendere la luce fino a quando non si sarebbe fatto buio. Ben indossava una magliettina bianca a maniche corte e poi una tuta azzurra che gli cadeva molto larga. Non aveva scarpe ma solo calzini e portava in una mano il guanto senza dita che avevamo comprato insieme.

Nell’altro polso, quello sinistro, aveva un polsino interamente nero. Io indossavo invece un paio di jeans larghi, una maglietta con cappuccio e alcuni bracciali in plastica. Non appena avevo tolto le scarpe ci sedemmo sui letti e io iniziai a parlare.
– Prima di iniziare a parlare di qualsiasi cosa, della mia partenza o altro voglio che tu sappia una cosa e infatti ora inizierò a raccontarti una storia. All’inizio cercherai di capire ma ti sarà impossibile e allora aspetterai che io finisca tutto il racconto.

Abitavano una volta a Brighton una coppia che si amava tantissimo. Si chiamavano James and Katie ed erano sposati dall’età di 18 anni. Si erano conosciuti a scuola e i loro genitori erano sempre stati contrari a questo amore, ma alla fine si dovettero adeguare alla situazione. Katie, subito dopo il matrimonio concepì un figlio e l’attesa della nascita di quel bambino aveva riempito di gioia quella famiglia. Il padre, quando ogni giorno rientrava da lavoro, portava qualsiasi cosa che potesse servire al bambino che stava per nascere : un ciuccio, un orsacchiotto, un biberon e molto altro.

Anche i nonni volevano essere resi partecipi della nascita di questo bambino e infatti il padre di James, che era un falegname, aveva costruito per il nipote la più bella culla in legno che era mai stato capace di fare. Per tutta la gravidanza Katie non aveva avuto alcun problema, ma allo s**ttare del settimo mese tutto cambiò tremendamente. I primi di giugno Katie diede alla luce il suo primo figlio, anche se la nascita era prevista per la metà di luglio.

Katie non vide mai suo figlio e al figlio fu tolta la madre dal destino.
Durante il parto, che i dottori fecero d’urgenza, la pressione della madre si era alzata talmente tanto da provocare un’emorragia interna, benchè fosse sotto effetto di anestesia totale. Katie è passata dalla vita alla morte senza nemmeno accorgersene, ma il bambino non seppe mai il significato della parola mamma. Crescendo, egli veniva trattato dal padre e dai nonni come un principe ed era sempre felice, o così sembrava essere.

Nessuno ha mai capito quanto gli facesse male non avere una madre come tutti gli altri. All’età di otto anni però successe una cosa che distrusse quest’equilibrio familiare, che si era creato con molta fatica, come se risalendo da un burrone, quasi impossibile da scalare, scivoli di nuovo giù quando sei quasi arrivato in cima e riesci già a rivedere la luce. Anche James aveva sofferto tanto per la perdita della moglie e rimanendo fedele a lei non si era mai più risposato anche se aveva appena diciotto anni.

Qualche anno dopo si traferirono a York, poiché vi abitavano i nonni. Un giorno decise di dire tutto al figlio e lo portò dove la madre era sepolta. Era una giornata piuttosto cupa, il sole era sempre nascosto dietro le nuvole, il vento soffiava forte e pioveva, anche se piano. James e il bambino stavano viaggiando da York verso Brighton ma durante il tragitto una ruota della macchina slittò a causa dell’asfalto bagnato. Il bambino si rannicchiò impaurito nel sedile posteriore e sentì solo le urla di James che non sapeva cosa fare.

La macchina uscì fuori dalla strada e sbatte contro un’insegna pubblicitaria. Il bambino non si mosse, aveva troppa paura di vedere. L’ambulanza arrivò subito, ma per James non c’era niente da fare, mentre per Kyle c’era ancora qualche speranza, poiché aveva riportato solo qualche livido. Ma il trauma più grande era quello della perdita anche dell’altro genitore. –
– Kyle? Hai detto Kyle?- mi interruppe Ben
– Sì, Kyle aveva ancora una speranza.


-Kyle? Questa è la tua storia? Tu sai chi sono i tuoi genitori ? Li hai conosciuti?-
– Sì, ma non ricordo molto bene quelle immagini. –
– Avevi dei nonni, giusto? Perché non sei andato con loro? Perché ti hanno messo in orfanotrofio?-
– Il giudice riteneva i miei nonni incapaci di essere i miei tutori poiché già anziani e senza alcuna entrata economica, esclusa la pensione, non ritenuta sufficiente per la cura di un bambino della mia età.


– E quindi ti hanno costretto ad andare lì.. Ma hai mai più rivisto i tuoi nonni?-
– No! Quando ero all’orfanotrofio le maestre mi dissero che gli unici parenti che avevo erano morti e quindi non ho mai più avuto opportunità di vederli.
– Hai mai raccontato a qualucno questa storia? C’è qualcuno oltre me che è a conoscenza di questo tuo grande segreto? Ella sa qualcosa ? Martin?-
– NO! Nessuno sa niente di questa storia e non voglio che nessuno la sappia.

Tu sei la prima persona a cui la racconto, poiché persino alle maestre e alle balie dell’orfanotrofio ho sempre mentito dicendo di non ricordare niente, forse perché è ciò che voglio. –
-Vuoi davvero non aver vissuto niente di tutto ciò? Sembra veramente difficile superare tutto quello che hai passato, ma è questo che ti ha portato ad essere la persona speciale che sei ora, con il tuo carattere e con tutti i sentimenti che sai esprimere.


– Non è questo che intendevo dire! Io non rinnego il mio passato, né lo disprezzo, ma a volte desidero che tutto fosse andato in maniera differente e almeno una volta nella vita una scelta fosse facile. –
– Ti capisco. Grazie di avermi confidato questo segreto. –
– E di cosa, stupido? Sei o non sei il mio migliore amico?-
– Lo sono. E fra poco mi ritrovero solo. –
– Ah finiscila! Anche se saremo lontani, esiste il cellulare, internet, o anche le lettere.

Rimarremo in contatto, non temere e sarà come se io fossi rimasto qui. –
– Beh in realtà ora tocca a me parlare. –
– Vai, ti ascolto. –
-Sai proprio non riesco ad immaginare la mia vita qui senza te :sarebbe così noiosa e vuota. Ti prego non partire! Non sarebbe la stessa cosa anche considerando i vari modi per tenersi in contatto. –
-Sai che se dipendesse da me, io rimarrei qui.


Ben si alzò dal suo letto e si sdraiò sul mio e disse
-E allora non partire. Non mi lasciare solo!-
– Ahah! Gli occhi dolci non funzionano. E poi non è una scelta che ho preso io, ma che Martin ha fatto per me. –
E proprio in quel momento in cui non so ancora spiegarmi bene cosa sia successo e soprattutto perché sia successo, Ben mi prese la mano e le nostre dita si intrecciarono, si avvicinò repentinamente al mio viso e mi iniziò a toccare i capelli e ad accarezzarmi.

Si avvicinò ancora di più e mi baciò. Penso che quello di Ben è stato il bacio più bello che ho mai ricevuto nella mia vita, poiché era carico di emozione e vi si celavano dietro tutti i dubbi e le speranze che erano proprie del nostro futuro. Entrambi avevamo dentro la paura di perderci per sempre e non è un sentimento facile sa gestire. Appena dato il bacio, si staccò rapidamente, le gote gli si colorarono di rosso per la vergogna e disse
– Scusa, non volevo! Non so che mi è preso …-
Gli dissi – Shh.. Stai zitto, non è un problema..- e lo baciai.

Non sapevo se ciò che stessi facendo fosse giusto o sbagliato, ma stava accadendo e non mi ero mai sentito più felice prima.
La mattina dopo mi svegliai io prima di lui mi misi a sorridere vedendo la scena. La camera non era ancora illuminata dal sole: era l’alba o forse il cielo era coperto dalle nubi. Avevo freddo e quindi rimisi la maglietta e tirai il lenzuolo sopra Ben, poiché doveva avere freddo anche lui.

Niente era cambiato rispetto alle altre volte. Eravamo sdraiati nello stesso letto ma c’era un piccolo particolare in più: le mie braccia erano attorno al suo petto e lui era accovacciato tra di esse. Sorrisi ancora, gli baciai la nuca e mi riaddormentai.
Non so se fosse già passato molto tempo, ma lui si svegliò e si girò verso di me, mi baciò e mi risvegliai immediatamente, quasi di soprassalto.
– Buongiorno Kyle, dormito bene?- mi disse
– Sì, mai dormito meglio.

Sei speciale e non ti voglio perdere. –
– Pensi che io ti voglio perdere? Pensi che mi piace sapere che già fra qualche ora tu sia in viaggio per raggiungere l’altro lato del mondo ?-
– No. Suppongo di no. –
Il danno era ormai fatto: bisognava ripararlo oppure nasconderlo. E noi ovviamente scegliemmo la seconda opzione, cioè nascondemmo tutto.
Dopo aver passato ancora un po’ di tempo a parlare di quanto fosse ingiusta questa partenza, siamo scesi in cucina per fare colazione.

Mrs Coyle aveva ragione sul fatto che noi fossimo degli ottimi attori : ci siamo comportati come di solito niente di nuovo.
Dopo aver finito di far colazione, uscimmo a razzo da casa per andare verso casa mia, poiché dovevo sistemare le ultime cose prima della partenza. Per la strada ci tenemmo per mano e qualche bacio è pure scappato, volevo mantenere il contatto con lui il più a lungo possibile. Ma appena arrivati a casa, costretti di nuovo a dissimulare ritornammo a fingere, fino a quando non eravamo al sicuro nella mia stanza e avevo chiuso la porta, a chiave.

Stavo riponendo nelle valigie alcune magliette mentre Ben era seduto nel mio letto. Non ricordo cosa stesse facendo, ma ricordo che non parlava, era impegnato a fare qualcosa.
Era l’ora di pranzo e la partenza era imminente. Il volo era alle quattro meno venti e quindi era arrivato il momento di salutarci e ci salutammo con un semplice bacio, dopo il quale vidi scorrere lenti i suoi passi, e ad ogni passo che faceva il mio cuore si stringeva sempre più.

Una lacrima mi tagliò il viso e cadde dritta sul telefono che vibrò di colpo. Era un suo messaggio

“ Penso che non ci vedremo mai più e inizio a piangere. Già mi manchi.
Sei tutto quello che ho, e ora che vai via non ho più niente. ”

Era il messaggio più triste che io avessi mai letto ed aveva lasciato in me un vuoto incredibile.
Forse ciò che era successo di notte non aveva fatto che peggiorare la situazione o meglio aumentare il bisogno che l’uno aveva dell’altro.

Non appena tutto era stato preso e sistemato nei vari camion per il trasloco, Martin chiuse la casa ed il momento di andare era arrivato.
Salimmo in macchina e il viaggio era appena iniziato, ogni secondo mi sentivo sempre più insicuro, avevo sempre più paura di non riuscire ad affrontare tutto ciò che stava per accadere. Mando allora un messaggio a Ben

“ Noi ci vedremo ancora, fosse l’ultima cosa che faccio.

Verrò presto dammi solo due anni di tempo e tornerò indietro. Non voglio perderti. Per adesso devo andare perché sono minorenne e sono sotto la loro tutela, ma il giorno stesso dei miei diciotto anni tornerò indietro. ”

La risposta arriva immediatamente

“ Sono solo parole. ”

“ Credimi non sono parole! Sono emozioni e speranze. Quel bacio mi ha fatto capire quanto tu sia dannatamente importante per me e quanto io non voglia partire.

Sento già il vuoto dentro me e so che quel vuoto è il posto che tu stai lasciando. ”

“Non voglio lasciare quel posto che ho conquistato con il passare degli anni. Allora non posso che aspettare il tuo ritorno e 700 giorni passano velocemente no?”

“ Sì. Spero proprio di sì. E adesso ciao… Sto per salire in aereo. Le lacrime mi stanno tagliando il volto, sento un vuoto che non ho mai provato.

Sento il TUO VUOTO che non riesco a colmare. ”

“ Sono qui e aspetto solo te. Torna presto. Ancora non capisco perché sei dovuto andare via. ”

Avevamo fatto il check-in e raggiunto il gate. L’hostess di terra mi aveva appena chiesto la carta d’imbarco e io l’avevo mostrata. Mi sentivo come quando un condannato a morte va verso il patibolo: è cosciente di cosa sta per succedere e sa che è ciò che non vuole, ma è obbligato a farlo.

Dentro gli si s**tenano tutte le emozioni che ha provato nella vita, i ricordi saltano alla mente uno dopo l’altro, vuole scappare ma non sa come fare e alla fine affronta tutto o per coraggio o per disperazione.
E così anche feci io. Ma ero certo di aver affrontato tutto ciò non con coraggio ma per disperazione.
Presi posizione in aereo e chiusi gli occhi, mi addormentai perché ero piuttosto stanco e sconvolto.

Mi svegliai alla fine del volo, quando più o meno mancavano 30 minuti all’atterraggio.
Appena atterrato l’aereo non avevo ancora realizzato che mi trovassi dal lato opposto del mondo. Subito dopo andammo a recuperare i bagagli e lo zio venne a recuperare noi.
Lo zio Pauly sembrava simpatico e somigliava molto a Martin : aveva solo qualche ruga in più. Era il figlio maggiore, come mi avevano raccontato in passato, aveva lasciato casa all’età di sedici anni circa per inseguire il suo sogno: quello di girare il mondo.

La prima tappa fu Sydney e fu anche l’ultima : come spesso accade, si fermò qui perché aveva trovato la donna della sua vita. Con ciò non voglio dire che la amasse ma solo che Martin diventò zio più o meno un anno dopo che suo fratello fosse partito da casa. Erano ormai quasi venticinque anni che viveva lì con la sua famiglia indubbiamente numerosa: escludendo la moglie Mary rimanevano Mark che aveva ventiquattro anni, Sophie che ne aveva venti, Christopher che ne aveva sedici e le due gemelline Clara e Faith di appena cinque anni.

Vivevano in una casa piuttosto grande, simile come dimensioni a quella dove io abitavo quando vivevo a Londra e noi avremmo alloggiato nella depandance che era appena dietro la casa fino a quando non avessimo trovato casa migliore. Sistemate le valigie e saliti in macchina, ci diressimo verso casa, che non era molto lontana. Passata circa mezz’ora eravamo a casa: era piccola e non era per niente arredata. Il camion con i mobili e il resto delle cose che non entravano in valigia sarebbero arrivati solo quattro giorni dopo, quindi dovevamo aspettare e accontentarci di ciò che avevamo.

Martin sembrava sapere tutto ciò e infatti non aveva fatto traslocare altro che non fosse lo stretto indispensabile. La mia stanza era grande quanto la metà di quella che avevo in precedenza, se non più piccola e soprattutto non avevo due letti. Dopo qualche minuto mi resi conto che non avevo che farmene di due letti : ero solo con davanti una vita nuova da iniziare, mille ostacoli da affrontare e con nessuno al mio fianco.

Sistemate le prime cose, dopo aver aiutato un po’ anche Ella e Martin, decisi di conoscere la famiglia dello zio.
Suonai un paio di volte il campanello e Mary mi venne ad aprire. La prima impressione che mi fece fu positiva: mi è sembrata una bonacciona, timida che non riusciva proprio a fare un torto a nessuno. Il suo colore della pelle era molto chiaro, somigliava più ad una svedese che a un’australiana, che di solito hanno la carnagione scura.

Era bionda platino e aveva due grandi occhi azzurri.
Mi accolse in casa chiedendomi come fosse andata e mi fece accomodare sul divano. Lo zio Pauly era andato a comprare la cena, mentre i ragazzi, o meglio i miei “ cugini ” , erano ognuno nella propria camera, escluse le Faith e Clara che stavano in cucina con la mamma. Appena avvicinatomi alle bambine per salutarle, mi sorrisero e mi chiesero chi fossi e io risposi loro
-Sono vostro cugino, e sono mi sono appena trasferito qui da Londra.


– Da Londra? Deve essere una bellissima città. –
– Sì, è veramente bellissima e non volevo partire. –
– Avevi molti amici lì? –
Non risposi, ma non potevo colpevolizzare l’ingenuità delle bambine, rendendole capro espiatorio del dolore che provavo. Per fortuna Mary mi sottrasse all’obbligo di dare la risposta dicendomi
– Ora ti presenterò agli altri cugini…- e urlò – Mark … Chris…. Sophie … scendete! Sono arrivati gli zii da Londra e qui c’è vostro cugino.


Il primo che scendeva sembrava avere la mia età e perciò dedussi che egli fosse proprio Christopher. Era alto qualche centimetro in meno di me, ma avevamo lo stesso colore di capelli e anche lo stesso taglio. Indossava degli occhiali da nerd, dietro i quali nascondeva duo occhi di colore verde smeraldo. Per quello che potevo notare avevamo lo stesso stile anche nel vestire.
-Ciao Christopher. Piacere Kyle. –
– Ehi Kyle! Chiamami Chris… Come è andato il viaggio?-
– Bene, ho dormito tutto il tempo.


– Ahaha tranquillo… ora ti faccio svegliare io! In giro in città ci sono delle ragazze che …-
Allora arrivò Sophie che non lasciò che Chris terminasse la frase e si intromise nella discussione in modo piuttosto scontroso verso il fratello – Stai zitto! Sai usare quella bocca solo per dire cose insensate. Da quando sei nato non ho mai sentito uscire da quella bocca una frase che potesse minimamente avvicinarsi al concetto di un periodo grammaticalmente e sintatticamente corretto.

– e poi continuò – comunque sono Sophie e guardandoti bene sembri la fotocopia esatta di mio fratello. Meglio tornare a studiare e non perdere tempo. –
Sembrava proprio una secchiona antipatica e speravo che la prima impressione mi ingannasse.
Subito dopo arrivò Mark e devo ammettere che era uguale al fratello solo poco più alto e più muscoloso in quanto andava in palestra dal lunedì al mercoledì e i giorni che restavano, esclusa la domenica, andava ad allenarsi in piscina.

– Non ti preoccupare. Chris e Sophie litigano sempre: lei è troppo perfettina mentre lui è troppo stupido. Non troveranno mai un accordo. –
Sorrisi e lui mi chiese
– Vuoi un po’ d’acqua?-
– No, grazie. Ora vado a casa. Devo ancora sistemare alcune cose e poi vorrei fare una passeggiata in città. –
– Perché non vieni con me e Chris stasera? Usciamo con dei nostri amici. –
– Ok. Ci penserò su, sono un po’ stanco.


– Sì, ma divertirti un po’ ti farà bene. Ti si legge negli occhi che sei molto triste e hai già nostalgia. –
– Ahah! Forse è un po’ troppo evidente. Comunque ci penserò su. –
– Va bene. Se volessi venire, fatti trovare qui alle nove. –
– Ok. A dopo. –
Sono rientrato a casa e ho sistemato nei cassetti la poca roba che ho. Appena finito decisi di fare una doccia, ma resi subito conto che l’acqua calda non era ancora disponibile, perché non avevo acceso la caldaia.

Uscito dalla doccia, letteralmente congelato, mi asciugai e subito dopo cercai i vestiti adatti per uscire. Non avevo molte cose ancora e quindi presi le prime cose che trovai. Sono uscito di corsa dalla camera, pensando che fosse tardissimo, ma arrivato in cucina mi resi conto che erano appena le otto e venticinque. Ella era ancora molto indaffarata nel sistemare ogni cosa e Martin la aiutava. Dovevo chiedere loro il permesso di uscire e allora dissi
-Mamma, Chris e Mark mi hanno chiesto se mi piacesse uscire insieme a loro.

Io, sinceramente sento il bisogno di uscire da queste quattro mura e incontrare gente. Posso?-
– Certo che puoi non c’è alcun problema. Me lo avevano già chiesto e io avevo risposto di sì. Dormirai da loro stanotte. –
– Ok. Allora vado. –
– Non è un po’ presto?-
– Sì, in effetti. Sono nella mia camera per un altro po’, se non vi serve una mano. –
– No, tranquillo.

Vai. –
Rientrai nella mia camera e presi un foglio per scrivere una lettera a Ben. Non avevo ancora il computer e non volevo usare quello dei miei cugini, perché avrebbero potuto controllare tutte le mie conversazioni. Iniziai a scrivere di getto

“ Ciao Ben,

Sono Kyle e questo è il mio nuovo indirizzo: vedi quanto è distante?
Sono appena arrivato: qui sono quasi le nove di sera mentre lì il sole sta ancora sorgendo.

Ho conosciuto la famiglia di mio zio Pauly e devo dire che sono molto simpatici.
Però anche se tutto sembra normale, c’è una cosa di cui non posso fare a meno : TE.
I giorni sembrano infiniti qui, consideranto che sono qui da poche ore. Non ho nessuno con cui parlare e niente da fare: solo ora capisco quanto riempivi la mia vita.
Ora vado, stasera esco con i miei cugini per cambiare aria e per evitare di deprimermi rimanendo chiuso in queste quattro mura, davanti la televisione con una vaschetta di gelato in mano.

Spero che questa lettera ti arrivi presto e che tu risponda il prima possibile.

Kyle xoxo ”

Piegai la lettera e la ma misi in una busta, in cui scrissi il suo indirizzo: 153 Bradford Road, London.

Ora dovevo solo trovare un francobollo, ma erano già le nove meno un quarto e mi diressi verso casa di zio.
Suonai al campanello e Sophie mi aprì la porta dicendo
– Anche tu ti aggreghi alla mandria?-
Sorrisi, ma non risposi e tirai dritto verso la cucina, dove vedevo Chris seduto.
Entrai in cucina e mi accorsi che c’erano altri due ragazzi e Chris subito me li presentò
-Ah finalmente Kyle, stavamo proprio parlando di te.

Questi sono i miei migliori amici : Cody e Joey. Frequentano la mia stessa scuola e l’anno prossimo, a partire da settembre, tu sarai con noi. Non vivono molto lontano da qui, infatti sono sempre qui a casa mia. –
– Sono Kyle e ho visto che Chris vi ha già parlato di me, quindi non aggiungo niente. –
Proprio in quel momento arrivò Mark che chiese se fossimo pronti e noi rispondemmo affermativamente.

– Non è che avete dei francobolli?- chiesi io
– Posso controllare in camera, forse ne ho qualcuno. – mi rispose Mark e continuò
– Andate in macchina. Vi raggiungo subito, il tempo che controllo se ho i francobolli o meno. –
-Ok. –
Chris prese le chiavi che Mark gli aveva lanciato e in gruppo andammo verso la macchina. Saliti in macchina Cody incominciò un discorso dicendo
– E tu? Inglese? Come sono le ragazze lì? Come passavi il tempo?-
– Sono abbastanza carine.


– Che eri solito fare la sera?- chiese ancora
– Non uscivo spesso. Di solito stavo a casa mia con il mio migliore amico. –
– Che noia! Mai una serata in cerca di ragazze?-
– Quasi mai. –
– Noi, invece, quando usciamo, siamo incontrollabili. Ci piace bere nei diversi pub e spesso ubriachi ci ritroviamo a fare cose con ragazze sconosciute. Per fortuna che a fine serata Mark ci viene a riprendere e ci mette in macchina anche se siamo in condizioni pietose.

– mi raccontava Cody ma Chris lo interruppe dicendo
– E tu sei pronto a stare con noi stasera? Hai mai bevuto fino a vomitare?-
– Ma perché fate questo? Non potete divertirvi normalmente?-
– La normalità non è per noi! Noi ci divertiamo così e imparerai anche tu. –
– Ah ok. –
La nostra discussione, che sembrava degenerare verso argomenti un po’ imbarazzanti per me, fu interrotta da Mark.
– Tieni i francobolli.

Ti hanno spaventato?- mi disse
– No. Non ti preoccupare io alcune volte faccio di peggio. Penso di poter res****re. –
– Perfetto! Allora andiamo. –
Mise in moto la macchina e ci dirigemmo verso il centro della città.
La città non sembrava molto diversa da Londra: stessi blocchi di appartamenti e stessa gente che corre veloce per la strada. Ma non provavo nessuna voglia di vedere quel posto.
Ricordo solo di aver capito che non era il posto per me anche se solo a prima vista e volevo tornare indietro.

La gente parlava con un accento diverso e storpiava le parole e anche al bar mi prendevano in giro, facendo finta di non capirmi. Non parlavano in inglese, ma un dialetto derivato dall’inglese con parole e nomi diversi , pronuncia completamente diversa e grammatica più o meno simile.
Non voglio dire che non ci capivamo per niente, ma che il modo di parlare era diverso.
Posteggiammo vicino ad un pub e scendemmo dalla macchina.

– Kyle, là puoi imbucare la posta. – mi disse Mark indicandomi un bidone blu in lontananza.
– Grazie. Torno subito. –
Imbucai la lettera e raggiunsi gli altri che erano appena entrati nel pub. Volevo dimenticare tutto e andare avanti ma non so se ce l’avrei fatta. Mentre Chris, Cody e Joey si ubriacavano, Mark si sedette accanto a me. Dopo aver preso più di otto cocktail mi disse
-Ora basta! Vuoi ridurti come quei tre?-
– Mi piacerebbe svegliarmi domani mattina e non ricordarmi più niente, né chi sono, né da dove vengo.


– Non dire queste cretinate. Parlamene! Sfogati!-
– Ok! Ma non giudicarmi. –
Gli chiesi di non giudicarmi poiché è difficile comprendere ciò che in realtà provavo. Risultava difficile anche a me, perché ero cresciuto in ambienti in cui non era possibile neanche solo pensare di poter avere una relazione con una persona dello stesso sesso. Qui in Australia sembra una cosa piuttosto normale e lo stesso accade negli USA, come mi hanno riferito alcuni amici.

A Londra, dove vivevo prima, non era ancora del tutto accettato e c’erano molte persone che ti guardavano con aria di disprezzo e disgusto , ma la stituazione è di gran lunga migliore rispetto a quella che vi è in Italia. Conosco diverse persone che abitano in Italia, grazie ai vari social networks, ma quelli con cui ho più contatti sono due : Riccardo, che vive a Torino e Francesco, che vive vicino Brindisi.

Riccardo mi ha raccontato che al Nord la situazione è simile a quella londinese, ad eccezione di qualche sporadico atto di violenza nei confronti degli omosessuali. Scendendo più a Sud, come mi racconta Francesco, l’omosessualità non è per niente accettata. Francesco si è sempre battutto per i diritti degli omosessuali, anche essendo eterosessuale, e sempre è stato preso in giro, ma ha continuato questa battaglia perché detesta vedere quanto le persone siano chiuse come mentalità e come continuino a disprezzare queste persone.

Gli raccontai della mia infanzia, di quando Ella e Martin mi vennero a prendere all’orfanotrofio (ma ero già certo che lui sapesse tutto), di Londra e di Ben. Gli dissi proprio tutto. Nel frattempo avevo mandato giù altri cinque o sei bicchieri di vodka. Iniziavo a parlare in modo disconnesso e di ciò Mark si era reso conto. Il racconto lo aveva lasciato basito ma non aveva affatto l’aria di uno che intendeva giudicare.

Spezzò il silenzio dicendo
-Kyle per quanto ancora starai seduto al bancone di quel pub a bere drink? Se vuoi cambiare la situazione non bere, alzati e affronta tutti e torna indietro. Bere non servirà a dimenticare e anche se funzionasse dimenticare non serve a niente.
Io vi aspetto in macchina. Quando avete finito venite. –
Quelle parole mi fecero pensare molto, per quanto non avessi la lucidità adatta per farlo.
Le altre cose che successero quella notte non le ricordo nemmeno, perché ero totalmente ubriaco.

La mattina mi svegliai in macchina e vidi che i ragazzi stavano peggio di me. Eravamo ancora sulla strada per casa e mi telefono mi vibrò: era un messaggio di Ben che diceva :

“ In questo momento riesco a vedere la luna, una luna che tu hai già visto. Sta sorgendo ed è tanto luminosa da illuminare la mia camera. Sembra molto vicina e sembra quasi volermi dire qualcosa. Forse tu gli hai già affidato dei segreti, o un messaggio per me.

Lo stesso farò io: le dirò quanto sei importante per me. Buonanotte Kyle. ”

Non mi sembrava adatto rispondere in quel momento, perché forse avrei solo scritto un testo senza senso. Decisi di rispondere dopo.
Ritornammo a casa ed io entrai a casa , stanco e sconvolto. Le parole di Mark riecheggiavano nella mia mente e adesso ero molto pronto a prendere una decisione. Mi chiedevo perché ogni persona alla quale mi affezionavo spariva dalla mia vita.

l Avevo sofferto molto a causa della morte dei miei genitori e solo dopo anni ero riuscito a sorridere di nuovo, grazie a Ella e Martin. Mi sono affezionato a loro , ma Martin mi ha deluso per la sua prepotenza , e anche per questo ho sofferto. Mi ero affezionato a Ben e il destino ci ha voluti lontani. Perché sono sempre io quello che doveva soffrire nelle relazioni di qualsiasi genere?
Durante l’estate che mi separava dall’ingresso nella nuova scuola cambiai molto e anche Ella se ne rese conto.

Mi ero fortificato dentro, e non provavo più alcun sentimento. Non volevo più essere fragile perché avevo sofferto abbastanza e non avevo ottenuto niente. Mi piaceva vedere le persone strisciare ai miei piedi e soprattutto più mi volevano bene, più le facevo soffrire. Chi mi voleva bene era come una marionetta nelle mie mani: si muoveva proprio come piaceva a me. Chi non stava con me o era mio nemico veniva schiacciato come un insetto, insultato e portato alla esasperazione, tanto da abbandonare la scuola.

Chris, Cody e Joey mi rispettavano, come tutti ed esiguivano tutti gli ordini che davo loro.
C’era solo una persona con cui ero ancora fragile e tenero, mio fratello Zayn. Ella è rimasta incinta poco dopo del nostro arrivo a Sydney e già a Marzo dell’anno successivo Zayn era nato.
Era bellissimo e anche Ben che lo aveva visto in foto lo aveva detto. Il nostro rapporto sembrava essere uguale, come se non fossi mai partito.

La scuola era sempre più noiosa e non avevo nessuno che aveva tanto carattere da tenermi testa. Ma qualche mese dopo sei arrivato tu.
Io?- mi interruppe Josh.
-Sì. Tu mi hai aiutato in questo inferno! Ti ricordi di quando ci siamo conosciuti a scuola? Ahaahah è stato fantastico. Entrambi dal preside per aver saltato più volte le lezioni. –
– Ahaha vero!-
– E quando abbiamo bucato le gomme all’insegnante di matematica?-
– Sono stati dei bei momenti.


Mi fece segno di battere il cinque.
– Wow.. la tua storia è interessante! La mia, in confronto, è piuttosto comune. Ho sempre desiderato avere una via un po’ più movimentata. –
– Ogni storia ha i suoi particolari e ti assicuro che spesso avere una vita movimentata e piena di cambiamenti non è semplice né divertente. –
– E quindi stai per partire?-
– Sì fra un paio di giorni torno in Inghilterra.

Martin non ha venduto la casa, quindi mi lascia le chiavi. Loro non vogliono tornare ma io non riesco più a stare qui. E poi li c’è Ben!-
– Ahah! Quindi io sono stato la riserva?-
– Scemo! Io ti voglio bene… Perché non vieni con me?-
– No, grazie! Preferisco stare qui. E poi dovrei fare il terzo incomodo?-
– No! Stai qui.. la tua ragazza si offenderebbe molto se tu partissi. –
-Almeno accompagnami all’aereoporto.


– Certo che lo farò. –
Mi rimanevano appena quarantotto ore alla partenza. Avevo già sistemato tutto in valigia, avvertito Ben del mio ritorno e preso il diploma, con molta fatica. Salutare Ella, Martin e il piccolo Zayn è stato abbastanza traumatico, ma dovevo farlo.
Josh mi ha accompagnato all’aereoporto e arrivati al momento di salutarci mi ha detto
– Fratello , quando vuoi ritorna! Casa mia è sempre aperta. –
– Come se non avessi la mia! Ahaha .. Ora devo andare.


Voltai le spalle e mi diressi verso il gate. Mi urlò qualcosa come “fai un buon viaggio” , ma non ricordo esattamente le parole.
Era arrivata la fine del mio soggiorno a Sydney che anche se durato appena due anni mi sembrava essere stato lungo quanto il tempo trascorso in orfanotrofio.
Ero pronto per prendere l’aereo e a lasciare l’Australia. Era stato un bel soggiorno ma sentivo che qualcosa mi mancava e stavo andando a raggiungerla.

Gli ultimi messaggi di Ben erano sempre più freddi, sicuramente perché sono dei testi scritti dai quali non si possono evincere emozioni.
Il volo mi è sembrato molto più lungo rispetto a quello di andata, forse perché non sono riuscito a chiudere occhio.
Appena atterrato a Londra ho gridato “Finalmente a casa!”
La prima cosa che ho fatto dopo avere preso i bagagli è stata mandare un messaggio a Ben

“ Sono finalmente a casa.

Stasera non possiamo vederci perché devo sistemare un paio di cose, ma domani non appena ti svegli raggiungimi a casa. ”

“ Non so! Ho molti impegni…”

“ Cosa? Sono appena tornato da Sydney dopo due anni e tu mi dici che hai impegni e non puoi trovare un po’ di tempo per me? Il tuo migliore amico?”

“ Scusa. Ma sono davvero troppe le cose che devo fare. ”

“ Ok.

Io sono tornato quando vuoi cercami. ”

Ero un poco arrabbiato, devo ammetterlo, perché non riuscivo a capire il motivo per cui Ben fosse così schivo nei miei confronti.
Ritornai a casa con un taxi poiché nessuno poteva venirmi a prendere.
Ma mentre eravamo distanti da casa mia appena tre isolati, vidi per la strada una faccia che mi sembrava conosciuta. Ma solo qualche secondo dopo realizzai che era Ben. Decisi in fretta di voler scendere dal taxi e infatti chiesi al taxista
– Scusi può accostare?-
– Ma non siamo ancora arrivati a destinazione, manca poco, due o tre minuti.


– Mi faccia scendere, non si preoccupi. Vado a piedi perché ho bisogno di sgranchire le gambe dopo molte ore di volo. Quanto le devo?-
Pagai e scesi. Presi le valigie e me le trascinai, come fardello pesante. Avevamo avanzato un po’ rispetto al punto in cui avevo visto Ben e quindi dovetti voltare le spalle e ritornare più indietro.
Sarebbe stato meglio non avere voltato le spalle: Ben non era solo e teneva per mano una ragazza.

Che scena pietosa vista dall’esterno!
Il cuore mi si era ristretto e stavo per piangere, ma fui capace di trattenere le lacrime. Camminavano ad appena trenta metri più avanti rispetto a me e io li guardavo da dietro, come uno studipo, tenendo la mia valigia. Mi sentivo strano, deluso e tradito. Avevo riposto in lui tutti i miei sogni e il mio futuro, ma li stavo vedendo distrugersi e svanire. Avevo ancora voglia di parlargli, o forse ne avevo anche più di prima: intendevo chiarire tutta questa situazione.

Urlai, con la poca voce che mi rimaneva in gola e che riusciva ad uscirmi, una voce strozzata da un pianto appena trattenuto e stroncata dalla rabbia e delusione che provavo
-Ben!-
Si voltò di s**tto e lo stesso fece la ragazza. So per certo che non aveva capito chi fossi e per esserne sicuro si avvicinò. Lo stesso feci io. Ogni passo che facevo era sempre più marcato e ogni secondo che passava sempre più scandito dalla voglia che avevo di parlargli, di abbracciarlo, di dargli uno schiaffo e caricarlo di insulti.

Più vicini eravamo più il cuore mi saliva in gola e mi era quasi impossibile respirare. Quando ci trovammo ad appena qualche metro, mi riconobbe e lasciò la mano della ragazza di s**tto, come se non volesse che io vedessi questa azione. Si allontanò da lei, ma io avevo già visto tutto.
– Kyle! Sei tornato finalmente. –
Lo disse con un tono così spento e povero di emozioni, che mi fece rendere conto di quanto la situazione fosse oramai degenerata e che l’unico cosa rimasta del nostro rapporto fossero i ricordi.

Ben non era più la mia metà, la persona senza la quale non potevo vivere, poiché ormai, aveva sostituito la mia figura assente con quella di un’attraente ragazza e soprattutto io non ero più il suo centro, la persona che riempiva la sua vita.
– Questa è Emma. – disse con la voce così spaventata e piena di vergogna che quasi non riuscivo a sentire.
– Piacere, io sono Kyle. Ero il migliore amico di Ben.

Ci incontriamo in giro! Ora vado a casa. Sono piuttosto stanco! Ci sentiamo tramite messaggi, ok?-
Non avevo voglia neanche di sentire la risposta: con gli occhi gonfi di pianto mi voltai e mi diressi verso casa. Non sapevo che pensare: ero io lo stupido della situazione perché ero tornato indietro come gli avevo promesso o era lui quello che stava sbagliando?
Mentre camminavo non riuscivo a trattenere le lacrime perché mi passavano in mente i ricordi di tutto ciò che avevamo passato insieme.

Quantilitigi e quante riappacificazioni che avevamo passato! E anche tutto quello che era successo il giorno prima di partire, forse, per lui non contava più niente, ma per me era ancora tutto importante. Arrivato davanti alla porta di casa mia, presi le chiavi nella mia tasca e devo ammettere che rientrare a casa è stato come fare un salto nel passato. Vedevo ogni immagine ridisegnarsi nitida nei miei ricordi, ogni sorriso o ogni lacrima.

La mia mente era come una tela: lentamente prendeva colore e solo dopo aver finito il disegno di base si disegnavano nitide anche le più piccole sfumature, che erano forse i ricordi che faccevano più male. Lasciate le valigie all’entrata, faccio un giro veloce della casa e mi accorgo che ogni cosa era al suo posto: le riviste aperte sul tavolo e i bicchieri vicino al lavandino. Era come se il tempo si fosse fermato e solo ora tutto riprendesse vita.

Sembrava assurdo ma tutti gli orologi di casa segnavano le dodici e trenta, il momento in cui avevamo lasciato casa e ora le lancette avevano appena riniziato a muoversi.
Anche la mia stanza era proprio così come l’avevo lasciata, era tutto uguale: stesso letto, stesso armadio e stessa sistemazione. Ritornai per un attimo bambino, presi quel peluche che non avevo mai toccato e che era messo sopra l’armadio e lo poggiai sul letto.

Mi misi anche io sul letto e strinsi forte il cuscino. Mi accorsi di avere sfiorato qualcosa e con la mano la presi. Mi sembrò un appunto, scritto di fretta e piegato in quattro per essere più piccolo e non essere notato. Solo leggendolo mi resi conto di cosa fosse realmente

“ Kyle,
Ti scrivo questo messaggio mentre tu sistemi le ultime cose prima della partenza. Mi sembra piuttosto inutile ripeterti che non voglio che tu parta, ma è tutto ciò che mi viene in mente ogni volta che ti vedo e anche quando mi sei distante, perché ho paura di non rivederti più.

Ieri notte è stata la notte più bella della mia vita, perché per la prima volta ho provato qualcosa di veramente speciale e solo grazie a te. Mi hai aperto il tuo cuore e mi hai dato la forza di esprimere veramente quello che provo per te, che è molto più di una semplice amicizia. Con la tua storia mi hai fatto capire che non c’è motivo di nascondere chi siamo o cosa proviamo realmente, perché forse non ci sarà mai più l’occasione di dimostrarlo.

Per queste ragioni ti ho baciato, non facendo nemmeno caso al fatto che domani sarai dall’altro lato del mondo. Ho deciso di vivere quel momento solo irrazionalmente e per due minuti ho smesso di avere paure e preoccupazioni.
Averti accanto mi rende felice e l’ho capito proprio stamattina, appena sveglio. Svegliarmi e trovarmi avvolto dalle tue braccia è stato bellissimo. Anche se vai via non ho alcuna intenzione di perderti e spero nel tuo ritorno.

Anche se lontano, resterai per sempre nel mio cuore e nessuno potrà mai sostituirti.
Non so se leggerai mai questa lettera, ma voglio che tu sia a conoscenza di ciò che provo per te in questo momento: il sentimento più forte che ho mai provato.

Ben”

Questa non l’avevo trovata prima, l’aveva nascosta veramente bene.

Aveva ragione sul fatto che forse non l’avrei mai trovata , perché così sarebbe stato se non fossi tornato a casa.
Mi butto nel letto realmente stanco, confuso, perché non riesco più a capire chi sono realmente e cosa provo. Vorrei realmente capire cosa voglio: se voglio vederlo oppure scappare e non rivederlo più. Mi arriva un suo messaggio. Inizialmente ignorai il messaggio ma subito dopo lo lessi

“ Sono felice che tu sia tornato.

Ora la luna possiamo anche vederla sotto lo stesso cielo.
La vediamo insieme stasera?”

Non risposi.
In pochi minuti il telefono iniziò a squillare incessantemente, ma vedendo che era lui che chiamava non risposi, perche ciò che aveva fatto mi aveva ferito troppo e non ero ancora disposto ad ascoltarlo, né se fossero state scuse, né se fosse stato un addio.
Rifiutai la decima chiamata in modo da fargli capire che non volevo parlare con lui e subito dopo spensi il telefono.

In un decina di minuti arrivò qualcuno alla porta e suonava insistentemente il campanello. Ero più che sicuro che fosse Ben alla porta, ma scesi lo stesso.
Aperta la porta, senza nemmeno darmi il tempo di salutarlo o cacciarlo, disse
-Posso spiegarti!-
-Non voglio stare ad ascoltare te e le tue bugie. Per favore vai via. Non pensi di avermi già mentito abbastanza?-
Stavo per chiudere la porta quando la blocco con il piede e disse
-Per adesso sto resistendo col piede ma molto presto cederò, ma anche se questa dannata porta che ci separa si chiuderà alle mie spalle, starò qui dietro ad aspettare che tu mi apra.

Ricordi cosa ti ho detto? Che non ti voglio perdere e ora che sei qui non ti farò fuggire di nuovo. –
– Non mi aspettare nello stesso modo in cui hai aspettato il mio ritorno dall’Australia. Non voglio vederti davanti casa mia con quella ragazza. Andate a casa tua per fare le vostre cose. Ora leva quel piede e vai via! Non puoi nemmeno immaginare come sono stato male quando vi ho visto insieme.

Non sapevo cosa fare, né come reagire, perché ogni cosa che facevo poteva essere sbagliata. Stavo per scoppiare in lacrime perché mi sono sentito tradito. Ora vai via!-
– No! Mai… So che ho sbagliato e lei forse è solo un errore. Avevo bisogno di qualcuno che mi stesse accanto come te. Non riuscivo a sopportare la tua assenza. –
– Anche io non ti avevo al mio fianco, ma non ho cercato nessun altro.

Non l’ho fatto perché sapevo che le cose che provavo con te erano uniche e che non le avrei mai potute provare con un'altra persona. Io provavo davvero qualcosa per te e tu hai tradito me e la mia fiducia. E ora al mio ritorno tu avevi troppo da fare per venirmi a salutare… Perché non mi dicevi sin dall’inizio che stavi con lei? Non avrei perso tempo e non sarei tornato. –
– Fammi entrare! Ti spiegherò tutto.


Dibattemmo ancora un altro po’ fino a quando si arrese e levò il piede. Si sedette dietro la porta e aspettò tutta la notte. Era una notte dannatamente fredda.
Alle cinque del mattino, mi alzai e vidi dalla finestra che lui era ancora seduto dietro la mia porta. Non riuscivo a capire se fosse sveglio o stesse dormendo, ma ricordo che era vestito benissimo: quel look stramaledettissimo che mi aveva fatto innamorare.

Sotto la porta, aveva fatto scivolare un biglietto.

“ Questa è una notte dannatamente fredda e sto cercando di capire cosa posso fare per farmi perdonare. Non mi riconosco neanche io e so di aver sbagliato. Non soffro tanto il freddo, ma il fatto che il mio cuore sia vuoto, perché tu hai deciso di lasciare libero quel posto ed ora non so a chi affidarlo.
Emma? Vale meno di zero.

Ho bisogno di te per andare avanti.
Rimarrò dietro questa porta anche ore, giorni, settimane o mesi, non mi importa il tempo che passa, perché non ha senso che io lo viva, senza averti al mio fianco. ”

Decisi di aprirgli.
– Come hai potuto?- gli dissi, dopo avergli dato uno schiaffo
– Lo schiaffo me lo merito! Non so come è successo. –
– Ma è successo! Dimmi la verità! Provi per lei ciò che provavi per me?-
– No! Per lei non provo niente rispetto a quello che provo per te, ma non posso lasciarla.


– Certo! Io ho lasciato la mia famiglia e tutto ciò che ho difficilmente conquistato in due anni per te e tu non puoi lasciare una ragazza per cui non provi niente?-
– Ci starebbe troppo male. E poi con quale pretesto?-
– Le dici la verità. Che tu vuoi stare con me… Cosa c’è di strano? Se tu provi veramente qualcosa per me, non dovrebbe essere così difficile-
-Cosa? Non lo farò mai! Quello che è successo deve rimanere solo un segreto.


– Se deve rimanere solo un segreto vai fuori da qui! Ti interessi troppo di quello che gli altri pensano di te e per me non va bene. Quando si ama qualcuno, non ti dovresti interessare di ciò che dicono gli altri, perché vorresti che tutti sapessero di chi sei innamorato. Io sono venuto dall’altro lato del mondo fino a qui per te e non mi merito tutto ciò che mi stai facendo.

Devo ammettere che non ho detto la vera ragione ai miei genitori, perché non avevo certezze, ma ai miei cugini ho dettto tutta la verita. Se vuoi che io resti solo un segreto e meglio che te ne vai. –
E lo cacciai fuori di casa.
Dopo tutto quello che avevo fatto per la nostra relazione, non era ancora disposto ad ammettere i suoi sentimenti e ad accettare che la nostra era molto di più che un’amicizia e che forse era arrivato il tempo che i nostri genitori lo sapessero.

Non erano passati più di cinque minuti, quando gli mandai un messaggio

“ Domani mattina partirò. Tornerò a Sydney dalla mia famiglia, dato che qui non ho nessuno.
Avevo fatto tutto questo per noi. Io mi sono sacrificato molto, ma tu non hai mai contribuito. Addio”

“ Non partire! Ti prego… rimani. ”

“ E perché? Non c’è nessun motivo che mi tenga legato qui! E’ vero, provo ancora qualcosa per te, ma non voglio essere il segreto di nessuno.

“ Rimani qui… fallo per me”

“ Per te? .. Tu non mi vuoi bene e ora che puoi avermi non ti interessa. Vuoi soltanto sapere che io sono disposto a tornare indietro ogni volta come un cane. ”

“ No! Non voglio questo!”

“ Invece sì! Io sono tornato solo per te… per abbracciarti ancora e baciarti ancora. ”

“ Ed è ciò che faremo… Te lo prometto!”

“ Non voglio essere il tuo segreto o la tua ruota di scorta! Voglio essere la tua priorità!
E non mi importa se non vuoi dirlo ai tuoi.

Se lo fai tu lo farò anche io! Dobbiamo solo trovare il coraggio. ”

“Giuro che la lascierò e che lo dirò ai miei, ma dammi più tempo. ”

“ Non più di una settimana! Vieni a casa… Parliamo un po’… dedichiamoci un po’ a noi. ”

“ Arrivo! :)”

Volevo dargli un’altra possibilità, in fondo provavo qualcosa per lui e ci sarei rimasto davvero male se lo avvessi perso per sempre.

Non appena è arrivato a casa lo baciai e lo abbracciai e lui mi disse
– Scusa sono stato proprio uno stronzo! Prometto di non lasciarti mai più!-
– Sì! Lo spero anche io!…-
Mentre continuavamo a baciarci gli squillò il telefono, lo prese e vedendo che la chiamata era di Emma lo lanciò sul divano, sembrava non volerne sapere più niente, veramente questa volta. Qualche istante dopo, dall’ingresso di casa mia, arrivammo sul divano e ci sedemmo sopra il telefono senza nemmeno rendercene conto.

Dopo qualche ora stavamo già parlando, ma continuavamo ad avere il contatto : eravamo abbracciati. Il mio sguardo si perdeva nei suoi occhioni verdi mentre continuavamo ad accarezzarci il viso. La sua testa era appoggiata sul mio petto, sudato e riuscivo ad avvertire il suo respiro affannato. Le nostre mani si intrecciavano, mentre i nostri cuori erano già una cosa sola.
– Perché sei andato via?- mi disse baciandomi
-E perché tu non sei venuto con me?-
– Ok.

Basta parlare del passato. Non mi interessa quello che è successo prima ma mi interessa ciò che sta accadendo ora. Ora non ti lascierò andare mai più. –
– E io non mi farò portare via da una ragazza il mio migliore amico. –
– Migliore amico? … Volevi dire fidanzato… –
– Come? Suona un po’ strano ahah –
– Sì è vero, ma adesso ho capito che anche io desidero che la cosa diventi ufficiale.


Suonò di nuovo il telefono, che ci aveva disturbato per tutto il pomeriggio, ma non capimmo da dove venisse il rumore. Solo dopo qualche minuto ci accorgemmo che si trovava nascosto tra i cuscini del divano. Lo ignorammo per un altro po’, circa mezz’ora, ma poi esausti decidemmo che era opportuno controllare le chiamate e i messaggi
Ben legge ad alta voce :
– Dodici chiamate perse e otto messaggi tutti da parte di Emma ! Suppongo che sia il caso di chiamarle.


-Fai pure. Ma ricorda che sono geloso. –
Dopo essersi rimesso la maglietta uscì fuori di casa e le chiamò.
Hanno litigato un po’ al telefono, non so per cosa in quanto non ho ascoltato la situazione e alla fine Ben mi chiese
– Posso farla venire ?-
Ed io risposi
– Ok. –
Il nemico stava per arrivare e fra poco Ben avrebbe scelto tra me e lei. Qualunque scelta avrebbe fatto, uno dei due ci sarebbe rimasto male ( e speravo vivamente che quello che non ci sarebbe rimasto male fossi io ).

Suonò il campanello e io andai ad aprirle la porta.
Avevo stampato in viso un finto sorriso che cercai di mantenere anche quando si sedette sulle gambe di Ben e lo baciò.
Non la respinse e ciò non mi piacque per niente.
Li lasciai parlare, e me ne andai nella mia stanza. Dopo qualche minuto andarono via di casa e mi arrivo un messaggio.

“ Vado a casa con lei.

Non ce l’ho fatta. ”

“ Ok. Hai fatto la tua scelta. Domani parto. ”

Stavo realmente male e piangevo. Avevo bisogno di sfogarmi un po’, pertanto andai sotto il capannone della musica, dove vi era ancora il pianoforte. Qualche settimana prima del mio rientro, Martin aveva chiamato una persona per accordarlo, quindi mi misi a suonare. Avevo imparato a suonare durante il mio soggiorno in Australia, e stavo ancora imparando. Come per la chitarra, mostrai subito una grande capacità, ma ovviamente la strada era ancora molto lunga e la meta, che io delineavo nella perfezione era ancora lontanissima.

Mi misi a suonare una canzone di Avril Lavigne, When you are gone ( Quando tu sei via ) e le parole mi emozionavano sempre più, a tal punto che non smisi di piangere nemmeno per un attimo.

Ho sempre avuto bisogno di tempo solo per me e
Non ho mai pensato di aver bisogno di te quando piangevo
E i giorni sembrano anni quando sono solo
E il letto dove dormivi si ha perso la tua forma.

Quando tu vai via conto i passi che fai,
Non vedi quanto ho bisogno di te proprio in questo momento?
Quando sei via ogni, manchi ad ogni pezzo del mio cuore
Anche la faccia che mi sembrava conoscere mi manca
E tutto ciò che ho bisogno di sentire per affrontare ogni giornata e per stare bene è
Mi manchi.
Non mi sono mai sentito così e ogni cosa che faccio mi ricorda di te
E i vestiti che hai lasciato giacciono ancora sul pavimento e profumano di te.

Amo tutto ciò che fai.
Siamo fatti l’uno per l’altro, anche se non qui ma per sempre: so che lo siamo.
Tutto ciò che ho sempre desiderato dirti
Tutto ciò che ho fatto ho dato il meglio di me
Solo per sentirti respirare qui con me.

Era proprio la canzone adatta a tutto ciò che stava succedendo. Sentivo ancora il suo calore sulla mia pelle e respiravo ancora il suo odore, e avvertivo ancora i segni e le conseguenze di quell’incontro.

Prima di partire dovevo mettere un paio di cose a lavare e per questo la mattina seguente mi svegliai presto. Il volo era dopo pranzo e quindi avevo il tempo di sistemare tutto. Ben non si era fatto sentire, quindi la sua scelta mi sembrava più che chiara.
Non appena ebbi finito di pranzare, presi la valigia e chiusi casa, questa volta consapevole che non sarei più tornato in Inghilterra. Chiamai un taxi e mi diressi verso l’aereoporto.

Ero così deluso da far fatica a parlare.
Arrivato all’aereoporto Gatwick di Londra andai subito a fare il check-in.
Subito dopo, mentre mi stavo dirigendo verso il gate da cui partiva il mio aereo, mi arrivò un messaggio

“ Ti prego aspetta! Ho fatto un’altra cazzata…”

Era Ben il mittente, ma era anche troppo tardi. Gli risposi dicendo

“ Sto partendo. Scusa ma è troppo tardi. Mi sto già dirigendo verso il gate.

“ Sono qui al check-in numero dodici. ”

“ Cosa ci fai qui? E soprattutto perchè al mio stesso check-in?”

“ Speravo di trovarti qui. Vieni!”

Tornai indietro e lo vidi lì al check-in con una valigia. Mi avvicinai e gli dissi
– Sei pazzo?-
– Sì! Completamente pazzo!! Di te! Ho deciso che voglio partire con te. Ricordi cosa ho detto? Non ti permetterò di andare via.


– Zitto! Tu Sei andato via con lei, senza dirmi niente. Mi avevi promesso che saresti stato con me. –
– Sono andato via con lei e siamo andati a casa mia …questo è vero!-
– Non mi serve sapere nient’altro. Grazie. Rispamiami i dettagli-
– Non fare il sarcastico e ascolta… L’ho lasciata e le ho detto tutto davanti ai miei genitori. Mi hanno sequestrato il telefono e mi hanno buttato fuori di casa.

Stamattina solo rientrato a casa con la forza, ho preso il telefono e…-
– E ora sei qui con me. –
– Sì!! E voglio partire con te…-
Dopo che Ben aveva fatto il check-in ci dirigemmo velocemente al gate, perché l’aereo stava per decollare. Nelle scale mobili che portavano al gate, Ben mi ha baciato, per la prima volta in pubblico.
Ero felice e tutto sembrava perfetto, ma arrivarono i suoi genitori, che videro tutta la scena.

Suo padre urlò
– Ben torna subito qui. Ultima possibilità di tornare a casa. –
Con loro c’era anche Emma. Povera ragazza… Sembrava amare veramente Ben e io glielo stavo sottraendo: mi sentivo un verme.
Ben doveva scegliere me o i genitori. Mi ha guardato negli occhi con uno sguardo penetrante e proprio così ho capito che aveva preso la sua decisione.
Avrebbe mai potuto fare scelta diversa? Non credo.

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