Sandra, uno sconosciuto, una sera

Camminando lungo un vicolo dell’antica città, Sandra cominciò a pensare che avrebbe dovuto avere paura, ed invece era sicura di sé. La luce dei lampioni lanciava una strana ombra sull’asfalto ancora umido dalla recente pioggia; c’era nell’aria un improbabile profumo di tigli che lei pareva suggere come un’ape fa con un dolcissimo fiore. L’orologio della piazza lì vicino batteva le cinque del mattino. Un suono tra il piacevole ed il fastidioso giungeva alle sue orecchie: quello delle mattiniere allodole.

Così le tornò in mente Giulietta e Romeo, il bellissimo colloquio che hanno la mattina quando, dopo una splendida notte d’amore, lei chiede a lui se quel verso apparteneva alle allodole o agli usignoli, metafora splendida per indicare notte e giorno. I suoi tacchi non erano più il solo suono che giungeva alle sue orecchie. Camminava trasognata mentre stringeva ancora in mano un bicchiere di vino: ma se l’era portato via così, senza chiedere nulla, dal bar? Ma a cosa stava pensando? E perché continuava a pensare? Passeggiando, perché quello era ciò che stava facendo, guardava in giro mentre l’aria s’intiepidiva e si dipingeva dei primi tremuli colori dell’aurora.

Uscendo dal vicolo si trovò in una larga via che ben conosceva; certo ci avrebbe messo ancora del tempo prima di rincasare, ma non pareva avere fretta. Sempre con quel bicchiere stretto tra le dita, mentre il vino si riscaldava e lei si fermava, di tanto in tanto, a sorseggiarne ancora un po’. Per fortuna che in un giorno di festa la città pare svegliarsi al rallentatore e le rare macchine che passavano dovevano portare a casa gente molto più ubriaca di lei; nessuno si accorgeva neppure che ci fosse.

Infine, sorbito l’ultimo sorso, appoggiò il bicchiere su uno dei tavolini di un bar: qualcuno l’avrebbe trovato. I suoi passi erano sicuri, affatto incerti, e la sua postura ferma e morbida insieme. L’abito le aderiva al corpo disegnandone le forme e lasciando scoperte buona parte delle sue splendide gambe. Si passò una mano tra i capelli e fu allora che si avvide che qualcuno stava camminando alle sue spalle. Senza neppure voltarsi seppe che si trattava di un uomo.

I passi di un uomo anche se magro e giovane hanno un rumore totalmente diverso da quello di una donna; non tanto per l’assenza di tacchi, ma proprio per la diversa postura e falcata. Un altro giorno in un altro posto, in uno stato d’animo diverso sarebbe stata impaurita da quello scalpiccio a pochi metri da lei. Ma non era quel giorno e non era quel posto e lei era stanca ma rilassata ed anche incuriosita di sapere chi potesse essere.

Alla fine dei conti era sicuramente uno che aveva bevuto almeno quanto lei, che avrebbe dormito fino al tardo pomeriggio. Forse stava tornando a casa dopo essere stato dall’amante e l’immaginava entrare in casa silenzioso e circospetto, infilarsi sotto la doccia; l’odore del sesso è sempre molto forte e la moglie se ne sarebbe potuta accorgere, non sapeva neppure lei perché, ma aveva cominciato a ridere da sola. Stava rallentando il passo e presto lo sconosciuto l’avrebbe raggiunta e superata, lei e i suoi film erotici.

Infine, proprio come aveva immaginato, l’uomo la raggiunse e la superò però le diede un’occhiata che non lasciava molta fantasia alle eventuali intenzioni sessuali su di lei. Lei continuò a ridere, non sapeva neppure lei se per la precedente immagine mentale o quella attuale. Fatto sta che l’uomo si fermò e la guardò tranquillo con lo sguardo tra il faceto e l’imbarazzato: “posso esserti d’aiuto?” Sandra smise all’istante di ridere e, con aria sorniona, lo guardò con il sorriso sulle labbra: “in che senso?” rispose; “non saprei… hai bisogno di una guardia del corpo che ti aiuti a rientrare a casa?”.

Il viso di lui era proprio bello: due grandi occhi scuri facevano capolino da una corona di ciglia folte e scure anch’esse. Lei lo guardò seria e rispose: “e perché no?”. “Vieni qua, dammi il braccio; non penso che quei tacchi siano tanto comodi…”. ”Anche sì, basta essere abituati!” rispose lei con una punta d’orgoglio. Ma non disdegnò il braccio che lui le tendeva e vi si appoggiò quasi come fosse una farfalla dispettosa.

“Dritti, destra o sinistra?” chiese lui; “ah, io sono Francesco”, “ed io Sandra, dritti ancora un po’ e poi a sinistra. ” “Che ci fai ancora in giro all’alba?” -“Bhe, potrei farti la stessa domanda… sto tornando da una festa, tu?”-“potevi prendere un taxi, invece che farti tutta la città a piedi, perché è ciò che stiamo facendo… comunque ero con degli amici in un bar a bere qualcosa”-“Guarda che non te l’ho chiesto io di accompagnarmi”, rispose piccata Sandra.

“Infatti, ma lo dicevo per te, dai!”-“E tu perché non hai preso un taxi?”-“Avevo voglia di pensare e fare quattro passi, poi io abito qui vicino… ti va di venire da me: dormi un paio d’ore e poi torni con calma a casa!” Sandra non ci pensò un attimo; non aveva voglia di pensare, troppo tardi o troppo presto; camminare fino a casa sua era piuttosto lungo, lo realizzava solo ora.. “Perché no?”. Non lo sapeva neppure lei eppure quel tipo le piaceva e si fidava di lui.

Giusto, sbagliato? Non lo sapeva e forse non le interessava neppure: cacciarsi sotto la doccia e in un letto pulito era ciò che desiderava ora. “Allora guarda che siamo arrivati!” fece lui girandosi alla sua sinistra ed infilando la chiave nella toppa dell’antico palazzo liberty. Lei si guardò intorno e vide un palazzo bellissimo ricco di foglie d’acacia e di polene: un liberty ricco, vero, ma elegante. All’interno si apriva un ampio atrio in marmo grigio con delle splendide venature verdi: pavimenti e muri erano uguali; evidentemente qualche architetto doveva averci messo mano ben dopo la sua costruzione; eppure così come era stato sistemato, non stonava con il resto dell’imponente architettura.

Anche i punti luce erano stati rivisitati in nuova chiave, abbinando attentamente elementi antichi e moderni, quasi minimalisti eppure tutto era armonico. Davanti a loro vi erano cinque gradini e poi la gabbia dell’ascensore ancora in ferro battuto in quel liberty fiorito un po’ eccessivo. L’appartamento si trovava all’ultimo piano ed era realmente bello; forse per Sandra era un po’ impersonale, ma vi si leggeva l’impronta di un buon architetto. In fondo sembrava rispecchiare lo sconosciuto appena incontrato: troppo tardi per queste riflessioni o troppo presto… Fuori ormai albeggiava.

A scuoterla dai suoi pensieri le giunse la voce di Francesco: “ti va un ultimo bicchiere?”. “Perché no?” rispose lei. Mentre il giovane uomo si recava in cucina, lei si sdraiava sul morbido divano in pelle bianca, stiracchiandosi e coprendo, a malapena, con la mano, uno sbadiglio. Francesco tornò tenendo in mano una bottiglia di veuve clicquot. “E’ molto secco?” Chiese Sandra; “Assolutamente” rispose lui. “Allora va bene”, ribatté lei. Mentre il rumore dello champagne che usciva dalla bottiglia per adagiarsi brillantemente nei calici le riecheggiava nelle orecchie, a Sandra sembrava di sentire la risacca del mare: che buffa cosa; c’entrava e non c’entrava.

Ne bevve un sorso con avidità, in effetti aveva sete ma più di acqua che di alcolici; in quel momento, comunque, andava bene così! Lui si sedette sul divano e quasi non fece rumore, mentre le porgeva il flute di champagne. Lei l’assaporò e, dopo qualche istante, esclamò: “Mmmm, molto freddo e molto buono!”. “Già” commentò Francesco mentre le passava una mano sulle sue cosce fredde e sode. “Ti hanno mai detto che hai delle belle gambe?”.

“Sì”, rispose lei dolcemente, e quasi sussurrando. Quasi a farlo apposta, Sandra stirò i polpacci ben scolpiti sul divano e allungò le sue braccia fino a toccare il bracciolo dall’altra parte. Francesco addentrò la sua mano tra valli e conche più selvagge, infine inciampò tra un piccolo rilievo ed un’apertura morbida e bagnata dove scivolarono veloci le sue dita che fece scorrere velocemente all’interno mentre gli occhi di Sandra si chiudevano e la sua voce usciva flebile e vellutata dalla sua bocca.

Francesco appoggiò il suo bicchiere per terra e si allungò sopra di lei fino a raggiungere la sua lingua che sapeva di vini, ma anche di esotico, di paesi lontani, di mare, di voglie inespresse o anche espresse, di sensazioni dolci e forti nel contempo. La lingua di Sandra incontrò, quasi all’improvviso, quella di lui e vi si avvinghiò come fosse l’ultima asse di un veliero affondato in una tempesta. La mano di lei scese fino a trovare la lampo dei pantaloni di lui.

Il cursore scivolò dolcemente tra i denti della chiusura e lei trovò tra la sua mano un membro duro e palpitante. Lui entrò in lei con una forza da burrasca e la travolse muovendosi velocemente dentro di lei con colpi forti e frequenti, fino a quando Sandra non aprì gli occhi e non cominciò ad ansimare come se stesse per morire e la sua voce uscì da lei, all’inizio, come il canto di una Sirena poi aumentò di volume fino a quando non raggiunse l’orgasmo.

A quel punto lui la prese da dietro leccandole il piccolo foro posteriore fino a quando non si spalancò per accoglierlo. Lui si muoveva sempre velocemente e tenendo un un buon ritmo; lei sprofondò nell’agonia e nel piacere dell’orgasmo e sentiva la sua vagina contrarsi piacevolmente mentre lui la penetrava a fondo nel suo fondoschiena. La voce di Sandra usciva a singhiozzi: a volte pareva piangesse e a volte urlasse. Il suo petto, schiacciato contro la morbida pelle del divano, andava velocemente su e giù passando da un orgasmo all’altro.

Lui, ad un certo punto, le toccò il clitoride, ma lei gli scostò la mano e sussurrò con una voce che non pareva neppure la sua: “Prosegui così!” Francesco, allora, la penetrò nuovamente nella sua umida e calda vagina e lei raggiunse subito un nuovo orgasmo. A quel punto lui prese la testa di Sandra saldamente, con entrambe le mani, e appoggiò la sua bocca umida sul suo membro caldo e durissimo; lei cominciò a leccarglielo e a baciarlo torcendo leggermente la testa esercitando sempre maggior pressione sulla cappella palpitante di Francesco.

All’improvviso sentì un flusso caldo scivolarle prima in bocca e poi lungo la faringe e l’esofago; infine le tornò l’udito che sembrava essersi assopito e sentì i suoi mugolii di piacere. Francesco si buttò sul divano vicino a lei. Insieme si addormentarono vicini e lontani nel medesimo tempo.
Quando Sandra riaprì gli occhi, la prima cosa che fece fu guardare l’orologio che aveva al polso; segnava le dieci e trequarti. Vicino a lei Francesco non c’era più, ma al suo posto c’era un post-it verde con su scritto: “E’ stato molto bello! Vado a correre, ci vediamo al mio ritorno! Dolce risveglio, Sandra!”.

Lei che ci metteva un’ora a prendere contatto con il resto del mondo, al mattino, quel giorno ci mise un minuto. Corse in bagno per fare la pipì, si vesti in supervelocità, si guardò in giro per vedere se avesse dimenticato qualcosa e poi aprì la porta dell’appartamento che richiuse in tutta fretta, scelse le scale per essere sicura di non incontrare Francesco e giunse al portone con le scarpe in mano; aprì il portone sempre con le scarpe in una mano e cominciò a correre lungo il corso, girando, appena possibile, all’interno, cercando di sparire dalla strada principale, e dirigendosi verso casa sua.

Vi giunse in circa dieci minuti, trafelata e sudata. Aprì la porta pensando di sentire la voce di Guglielmo che le chiedeva dov’era stata fino a quel momento, ma non accadde. Si spogliò nella prima stanza alla sua sinistra e nascose gli abiti dentro un armadio; corse silenziosamente nel suo bagno, si fece una doccia, perché sapeva di sapere dell’odore di un altro uomo: lei lo sentiva, l’avrebbe sentito anche lui. Uscì mezza frastornata dalla doccia ed indossò l’accappatoio.

Poi entrò nella comune camera da letto e trovò un inedito Guglielmo che russava. Non ci poteva credere: lui che si alzava sempre al massimo alle nove, a mezzogiorno era ancora a letto. Avvolta nel suo accappatoio si coricò accanto a lui cercando di fare meno rumore possibile. Non appena adagiata sul materasso, lui aprì le palpebre e la guardò con quegli occhi splendenti di un blu così carico che incutevano paura. “Quando sei tornata, Sandra?”.

“Verso le quattro del mattino” rispose “ma, per non svegliarti, sono andata a dormire nella stanza degli ospiti”. “Ti sei divertita?”. “Sì, grazie, ma alla fine è sempre la stessa compagnia per cui ci si annoia un po’! E la tua partita di Rugby?”. “Come al solito”, rispose lui. Sandra continuava a guardarlo e non sapeva se lui avesse capito tutto o, invece, le cose stessero come sosteneva Guglielmo. Ad un certo punto comprese che non era importante e lasciò perdere: chiuse gli occhi, pensò al sesso di quella notte, e si addormentò.

L’amore esiste oppure è un’invenzione dell’uomo per sentirsi meno solo? Forse ha importanza o forse no. In amore non c’è chi ama di più o di meno; ci sono due persone più o meno affini, più o meno lontane tra loro che decidono di percorrere un tragitto insieme; a volte questa strada è piana, altre volte si tratta di una via con salite e discese e curve. L’importante è capire che non bisogna ferire gli altri.

Se trovi qualche altro compagno di strada, puoi anche percorrere qualche metro con lui, ma devi sapere che, da qualche altra parte, ti aspetta qualcuno che sa, ma non dice nulla per non distruggerti.

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