Saga familiare 10

Martino fu fedele alla promessa: si presentò il pomeriggio del giorno dopo in sella al motociclettone di cui avevo spesso sentito parlare quando era con Davide e Antonio.
Per uno strano vezzo giovanile, mi ero vestita per l’occasione, ripescando nella memoria gli anni dell’adolescenza quando quelle scappatelle erano il massimo dell’emozione trasgressiva: quando mi vide, Martino non potè fare a meno di sorridere, ma apprezzò molto la mia scelta.
“Sei libera tutto il fine settimana, mi pare” annuii; “ti va se facciamo una fuga al mare?” “Dammi il tempo di preparare una borsa” “porta anche qualcosa di elegante”.

Mi sentivo emozionata come una scolaretta al primo appuntamento: l’idea della fuga in motocicletta, della corsa al mare con un bell’uomo, di un weekend tutto per me, insomma la situazione mi caricava a mille.
Scelsi le cose più agili ed eleganti, le ficcai in un borsone e mi precipitai fuori “ma … io non ho il casco …” “Eccolo!” aveva pensato a tutto.
In sella al suo bolide, piombai nell’atmosfera giovanile: lo abbracciai in vita e mi ci appiccicai come ricordavo che facevo quando ero completamente cotta del mio centauro; d’altronde, martino sembrava fatto per dare sicurezza e tenerezza.

In meno di mezz’ora raggiungemmo un paesetto sul mare: Martino, evidentemente, conosceva bene i posti e si muoveva a suo aggio; andò direttamente in un albergo piccolo ma grazioso, proprio sul mare; doveva essere conosciuto, perché gli fecero molte feste e ci assegnarono subito la camera migliore, naturalmente matrimoniale. “Vatti a preparare per la cena” suggerì Martino.
Indossai un abito fresco ed elegante, niente di provocante ma capace comunque di far girare la testa, tanto mi fasciava bene.

Passeggiammo per qualche minuto sulla spiaggia, mentre preparavano il tavolo; ed io mi aspettavo qualche avance decisa da lui, che invece sembrava in difficoltà “Che ti succede?” lo presi alla sprovvista “Beh … sai … non è facile trovarsi qui con una donna così bella, così ricca, così potente, madre e moglie dei miei prossimi padroni …” Non capivo e glielo dissi. Mi spiegò allora che Davide e Antonio erano diventati una vera potenza, in città e non solo, e che ora gli risultava più difficile quello che aveva sperato per molto tempo, vale a dire di stare solo con me.

“Senti, giovanotto, io sono venuta con te perché mi piaci, perché mi piace scopare e voglio farlo con te, qui, stasera …” “Scusami, è stato solo un attimo: ancora non capisco se davvero sei all’oscuro di tutto …”
Allora gli imposi di spiegarmi e saltò fuori che il nonno aveva costruito una “fabbrichetta”, che il padre l’aveva fatta diventare uno stabilimento importante e che il figlio ormai era un imprenditore di altissimo livello: dal Adv
momento che – per motivi fiscali – molta parte era intestata a me, si sentiva a disagio all’idea di scoparmi.

Lo mandai affettuosamente al diavolo: c’erano delle carte che ogni tanto mi facevano firmare, mi ero accorta che Davide ormai non guardava più il mondo dove aveva vissuto; ma per me esisteva ancora la vita coi suoi piaceri, primo fra tutto il sesso e, perché no, l’amore.
Parlavo a ruota libera, come un fiume in piena, quasi incazzandomi sempre più, finchè Martino mi bloccò nel modo più semplice: mi abbracciò stretta e agguantò con un morso le mie labbra ficcandomi la lingua in fondo alla gola.

Mi avvinghiai a lui e ricambiai con forza il bacio, succhiando la sua lunga in fondo alla mia bocca e a mia volta spingendo la mia nella sua gola: ci eravamo avvinghiati così tanto che sentii il suo cazzo indurirsi ed entrare nelle pieghe della gonna fino a collocarsi sulla figa ancora imbracata da vestiti e slip.
Per un attimo mi sorpresi a vedere “dall’esterno” l’immagine di noi abbracciati, quasi fusi insieme, in piedi sulle spiaggia al tramonto: nei miei sogni di adolescente era l’eden sempre sognato e mai realizzato; mi emozionai come una ragazzina e sentii i primi umori colarmi dalla figa per le prime scosse di piacere.

A tavola, Martino si rivelò impeccabile; aveva anche ordinato una “cena speciale” e veramente avevano fatto miracoli, nel preparare il pesce; bevemmo anche molto, con allegria, esaltati dal posto, dal momento, dalla situazione.
Anche mentre salivamo in camera, Martino si comportò come un perfetto innamorato: un bacio per ogni scalino, fino in cima, con le mani che correvano a scoprire ogni angolo del corpo, dai fianchi alle natiche, dalle cosce al ventre, dai seni al viso: fu un’ascensione verso la vetta del piacere che mi provocò una lunghissima serie di piccoli orgasmi.

Addirittura, mi sollevò tra le braccia, quando ebbe aperto la porta, attraversò tutta la stanza e mi adagiò delicatamente sul letto: mi sentivo quasi nella condizione verginale della sposina.
Si sdraiò su di facendomi sentire tutto il suo corpo e, soprattutto, la sua notevole mazza che sembrava trovare naturalmente in percorso per adagiarsi nella migliore posizione fra le mie cosce sul mio pube.
Cominciò a spogliarmi come molte donne sognano, a colpi di baci e di piccoli morsi: usando solo la bocca e i denti, mi aprì ad uno ad uno i bottoni della camicetta, distraendosi ogni tanto a baciarmi la gola, il petto i seni fino al reggiseno; lo aiutai a far scivolare via la camicetta e lui attaccò subito il reggiseno, aprì coi denti il gancio e con le labbra spostò le coppe finchè le mammelle furono alla sua mercè: cominciò allora la più bella succhiata di capezzoli che potessi desiderare: sentivo il mio ventre aspirato dalla bocca che mi succhiava e gli orgasmi si susseguivano fino a far diventare la mia figa una fontana aperta: gemevo, urlavo, lo incitavo, godevo come una pazza.

Poi scese verso il basso e aprì coi denti la lampo della gonna, ne afferrò un lembo e lo trascinò in basso, verso le caviglie: a mano a mano che il mio ventre si scopriva, la sua lingua passava a lambirlo: in un attimo fui umida della sua saliva e il mio corpo vibrava tutto di piacere: scosse tremende mi partivano dall’utero ed esplodevano in vulva.
Rimasi solo con gli slip e Martino accennò a prenderli con la bocca; cercai di fermalo, perché sapevo che ormai erano zuppi delle mie sborrate; ma non sentì ragioni, anzi mi accorsi che li succhiava addirittura, mentre li accompagnava con la bocca fino a terra.

Quando fui completamente nuda davanti a lui, mi divaricò delicatamente le gambe, si inginocchiò in mezzo e si abbassò a baciarmi la figa: sentii la stanza ruotarmi intorno, quando le sue labbra morsero il mio inguine, quando la lingua si fece strada tra i peli, separò le grandi labbra e si insinuò a cercare il clitoride; urlai di piacere e caddi in un languore che mi faceva sentire solo la punta della lingua che stuzzicava il centro del mio piacere.

Quando aprii gli occhi, me lo vidi davanti in tutta la sua bellezza statuaria, con la mano su un cazzo che mi parve bellissimo, forte, grosso, pieno di promesse; allungai una mano e me ne impossessai; lo costrinsi a stendersi sul letto, accanto a me, lo bloccai supino e mi avventai con la bocca sull’asta.
Lo desideravo tanto che neppure mi resi conto di farlo sprofondare di colpo fino alle tonsille; ebbi un accenno di conato e dovetti tirarlo fuori a metà; ma ripresi immediatamente ad affondarmelo in bocca, come per chiavarmi in una scopata particolare: mentre lo ingoiavo, lo leccavo continuamente tutt’intorno, specialmente sotto la cappella, dove lo sentivo più reattivo.

Mi fermò la testa e, accompagnandomi, mi invito a un pompino più lento e duraturo; cominciai ad accompagnare con le mani la stimolazione orale: gli facevo una sega leggera sulla parte fuori della bocca e, intanto, gli tenevo le palle accarezzandole e strizzandole; con la lingua, disegnavo ghirigori sulla cappella e sotto, sull’asta e sulle palle.
Non emetteva suoni, sembrava distante; ma i suoi muscoli si tendevano con forza ogni volta che il piacere lo aggrediva; quando arrivava troppo vicino all’orgasmo, mi tirava via , mi prendeva la testa e mi baciava con passione, mi stendeva supina e mi leccava la figa con sapienza.

Non so quanto tempo passammo a stimolarci reciprocamente: sapevo solo che lo volevo, tutto, dappertutto, volevo che mi riempisse la figa, il culo, la bocca, le mani; non mi sarei stancata mai di scoparlo e di farmi scopare.
Approfittando di un momento in cui era disteso a rilassarsi, gli montai a cavalcioni, impugnai il suo cazzo e, lentamente, dolcemente, delicatamente, me lo feci entrare nella figa: a mano a mano che la sua carne si impossessava della mia, tutte le fibre del ventre reagivano con stimolazioni di piacere; quando alla fine mi abbattei su di lui e l’asta entrò fin nelle viscere più interne, mi fermai a godermelo e misi in azioni tutti i muscoli della vagina per massaggiarlo, per sentirlo, per godermelo: sborrai almeno un paio di volte, in quella posizione.

Martino allora mi scavallò con violenza, mi sbattè di schiena sul letto, mi divaricò le gambe, si mise in ginocchio, mi sollevò i fianchi ed entrò decisamente nella mia figa: non era la stesa cosa, il piacere era assai più intenso e violento, mentre pompava il suo cazzo contro il collo dell’utero; mi abbracciò tutta, si stese col corpo sul mio e cominciò a sbattere solo i fianchi, provocandomi un piacere diffuso che andava dalle cosce al cervello.

Esplose all’improvviso, senza neanche volerlo, forse, ed io esplosi insieme a lui in un orgasmo lungo, estenuante, che ci fece sentire di colpo tutta la fatica della scopata.
“Scusami, disse quando si fu ripreso, non avevo neanche il preservativo … “ “Hai qualche problema?!?!” “Ma no, dicevo per tua sicurezza” “Non preoccuparti, non ce né bisogno …”
Poi, forse, ci siamo assopiti per un po’, senza staccarci di molto, abbracciati nel sudore, nella stanchezza, nel piacere.

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