Ventisei. -parte terza- (storia vera)

La suoneria passò i giorni successivi a tormentarmi i coglioni insistentemente. Un carico di inutili sms con domande cretine stile “Dove sei?” o “Cosa stai facendo?” non solo erano uno spreco di credito, ma anche un illogico spreco di tempo. Calcolando che non facevo certo la vita di James Bond, non potevo che stare nei soliti posti dove generalmente tutti noi pisquani con uno stipendio medio restiamo.
Principiai a palesare che fosse una persona molto solitaria e con scarsi interessi; sul primo aspetto della cosa nessun problema , sul secondo iniziarono i primi seri problemi di interazione tra di noi.

La frase “Non cacarmi il cazzo e fatti una vita tua” era qualcosa che per empatia faticavo sempre di più ad evitare mi varcasse l’arcata dentaria.
La accontentai per vederci la sera dopo, andando a bere qualcosa. Vagliando che stava per ordinarmi una birra dopo che le avevo già largamente rivelato precedentemente di essere totalmente astemio, mi fece fiutare che le sue orecchie erano congiunte da un dotto che aggirava completamente la sua materia grigia.

Riflettendo che il più delle volte ero io ad iniziare le conversazioni, le lasciai campo libero e disgraziatamente ottenetti il mutismo supremo. Persino il casello automatico dell’autostrada che percorrevo per incontrarla, era più loquace di lei.
Cercai di riparare alla situazione pagando il conto e invitandola a fare un giro a piedi e quando le tornarono le parole, mi propose di fare una capatina in un motel.
Accettai rincretinito dalla curiosità di venire al dunque, considerando che ormai ella non voleva che quello.

Varcata la soglia della stanza, fui sollevato nel constatare che il posto non era poi male; rilassato dalle luci soffuse me la tirai vicino e iniziammo a baciarci. Tra una pausa e l’altra mi spogliai, ma lei espresse il desiderio di strapparmi di dosso la camicia, cosa che rifiutai considerando che poi non sarebbe certo toccato a lei raccattare e rammendare i bottoni sparsi in giro. Non contenta volle che io indossassi i suoi collant neri e le risposi “Non ho voglia di imitare Renato Zero, abbi pazienza” e mi calai i pantaloni alle caviglie e sorpresa delle sorprese, lei scoprì con ilare delizia che non portavo la biancheria.

Lei ridacchiò divertita, con il cazzo che per il moto di calata dei jeans, ancora scampanava battendomi sulle cosce. Un po’ arrossita l’eccitata segretaria, si inginocchiò e mi fece una fellatio.
Mi godetti la sua graziosa testa rossa fare avanti indietro, con il tepore bagnato della sua bocca gettare benzina sul fuoco della mia libido.
Dovetti sospendere prima che la cosa potesse procurarmi un orgasmo anticipato e la accompagnai verso il letto.

Scoprii che era piuttosto reticente a spogliarsi interamente e non insistetti: sventuratamente non tutte le curvy hanno un buon rapporto con la proprio corpo e la cosa mi fece una certa tenerezza.
Denudai lo spogliabile, per cui restò con la camicetta aperta, i seni fuori dalle coppe del reggiseno e a intimo sfilato. Le “divorai” i seni e lei accettò di farsi infilare il cazzo tra i due. Fu la prima volta che potei farlo perché sciaguratamente non conobbi altre “tettone” all’infuori di lei.

Per ricambiare le passai la lingua sul clitoride, alternando di tanto in tanto le dita e quando la temperatura toccò lo Zenith sessuale, infilai un preservativo e varcai la sua soglia più intima.
Percepivo il tepore caldo e bagnato della sua cervice, accogliente e dolce sul mio membro; le sue mani si aggrapparono alla mia schiena con forza, quando iniziai ad aumentare il ritmo con il bacino.
Si aggrappò alle mie natiche e tentò di penetrarmi l’ano con un dito, cosa che mi fece trasalire considerando che quell’ispezione rettale non solo non era richiesta, ma non gradita.

Mi sussurrò “Voglio che tu sia il mio schiavo. ” e io non riuscendo a formulare una battuta a tono bruciante come una folgore divina, tra un ansare l’atro replicai con un semplice “Mammanco per il cazzo!” e la pompai più forte.
Quel sussurrare fu l’unico abbassamento di tono di una serie infinita di grida da set della Evil Angel, condita di continui “Oh siii, porco!” e altre amenità che mi fecero esplodere in una risata atomica.

La feci mettere su un fianco, le strinsi le mani sulla spalla che stava aderente al materasso e ricominciai a spingermi nuovamente dentro di lei. Ricevetti qualche eccitante sculacciata sul fianco, per cui mossi una gamba per offrirle parte di un gluteo venendo incontro a tutta la sua smania di punirmi e dominarmi.
Quando la misi a carponi, ammirai il suo rubicondo culo dividersi il due emisferi perfetti, al cui centro c’era un ampio ano per cui il primo pensiero ardito fu quello di un eccitante rapporto anale che non avvenne, anche perché mi accorsi poco dopo che ella trovava piuttosto fastidiosa la posizione anche su una penetrazione vaginale.

Nonostante i 26 anni, cominciavo a sentire la fatica: abbandonarmi ai bollenti spiriti di una donna tanto formosa, era un compito piuttosto faticoso e la breve pecorina mi aveva abbastanza fiaccato; inoltre, ormai l’orgasmo era alle porte e la voglia di ricoprirle quelle favolose lentiggini di sperma era incontenibile.
Mi sfilai il condom e lei si sdraiò e mi misi con il pene vicino al suo seno; lei mi accarezzava alternativamente cosce, scroto e petto, ma fu quando mi titillò un capezzolo che l’eruzione di sperma che si abbatté sui suoi seni fu bollente, abbondante e sfinente.

(fine terza parte).

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