Rubi

“Forza, Rubi, spingi…. ”La palla lunga corre e scivola sul bagnato dell’erba. Il cross è arrivato tagliente dalla sua sinistra, da una improvvisa girata di Malegro, il genio di centrocampo della squadra. Tanto genio, che molto spesso i suoi compagni d’attacco, rimanevano fermi perché restavano sorpresi da quelle che alcuni chiamavano “aperture intelligenti” ed altri semplicemente “ stranezze incomprensibili”. Rubicondo, detto “Rubi”, difensore laterale destro arrivato dal Suriname, stava tra due fuochi. Da una parte era teso a cercare di capire quando fosse il momento e la direzione da prendere quando ripartiva l’azione, e dall’altra la voce isterica dell’allenatore Fontaneri, che gli gridava istruzioni freneticamente.

“Forza Rubi, spingi”. L’allenamento era uno spompare di polmoni, specialmente quando pioveva, che le gambe si appesantivano a staccarsi dalla fanghiglia, e la palla pareva che si divertisse a scappare sul pelo dell’acqua, e quell’ossesso isterico che non sentiva ragioni. “Spingi, spingi”. La domenica però Rubi stava bene. La fatica aveva gonfiato i suoi muscoli ed era pronto. Pioveva però. Un’altra sfacchinata. Oggi Malegro dava via la palla come se il campo fosse largo un chilometro.

E si incazzava quando non la prendevi. Malegro era antipatico a tutti. Faceva delle gran giocate, si piaceva, e toccava la palla con molta eleganza. Ma ci doveva essere un motivo per cui stava ancora in serie C. Faceva il gradasso con tutti, e lo faceva incazzandosi, in campo, negli spogliatoi, nelle riunioni, sempre. Aveva una moglie, Penelope, dominicana, una mora bellissima dai movimenti da gatta, e si innervosiva se la vedeva sulle tribune.

Era gelosissimo. Lui aveva trantadue anni, e stava diventando calvo. Quel difensore opposto a lui, sulla stessa fascia era proprio tremendo. Una brutta faccia larga, un naso rotto e due occhiacci incazzati. Era lento, e si dava da fare col mestiere, ancheggiando e difendendo la posizione con poche mosse. Aveva mestiere. Ma Rubi, che aveva davanti a sé un giovanottello di venti anni, venuto dalle giovanili della serie A, se lo guardava solo da lontano, lottare col ragazzino.

Ma la lotta era impari. Il ragazzino non riusciva mai a partire per via di quelle toccatine che lo sbilanciavano nel momento del decollo. Una volta, però lo prese d’infilata. Lo sorprese disattento a cinque metri di distanza, una finta di andare a destra, via la palla a sinistra ed uno shitto a riprenderla. L’orco però se la legò al dito, e lo stese nelle successive volte che il ragazzino provò a giocare di fino.

Ed alla fine rimediò anche il cartellino giallo, ma il ragazzino s’era impaurito. Rubi, pur giovane, ma che veniva dalla fame e dalla bagarre delle strade di Charlottenburg , dove si giocava la palla facendo a botte, fece cenno al suo giovane compagno, e lo fece spostare più al centro, avanzando una decina di metri. L’orco si trovò in mezzo tra di loro e non sapeva che fare. Finchè Malegro non girò al volo una palla verso destra che Rubi puntò velocemente, ingaggiando una lotta con le sue gambe, ed arrivando a domarla mentre scendeva.

L’orco, che aveva capito in ritardo, stava arrivando come una fionda da un lato, a distanza di un paio di metri, e mentre Rubi, allungava il piede per spostarla in avanti e mandarlo a vuoto, gli arrivò in scivolata come una mannaia sulla caviglia destra. “Vieni che andiamo subito a fare la lastra”. Il medico ed uno dei preparatori gli stavano in piedi accanto al lettino dei massaggi dove l’avevano steso. La caviglia era fasciata da una borsa circolare piena di ghiaccio.

Ma ci volle poco. Distrazione, e bla bla bla. Fermo almeno un mese. Tra la sera stessa dell’incidente e la mattina di lunedi, vennero tutti a trovarlo. Allenatore, compagni di squadra, finanche il figlio del presidente che era un industriale dei salumi, e gli portò un libro di Garçia Marquez. Tutti. Meno Malegro. Il giovedi successivo, col tutore che gli immobilizzava la caviglia destra, Rubi andò al campo di allenamento. I compagni gli fecero festa.

Poi lui se ne andò verso le tribune passando per il parcheggio. Nella BMW bianca, che era inconfondibilmente quella di Malegro, c’era una figura che allungava il collo per guardarsi nello specchietto di cortesia. Ci doveva passare dietro, ma decise di non salutare, non guardare. Niente. E tirò dritto guardando volutamente da un’altra parte. “Rubi”. Molto lontano c’era il chiasso. Per cui quella specie di sussurro gli arrivo distintamente. Non voleva fermarsi, ma l’attimo di incertezza lo sorprese a girarsi verso la macchina con lo sportello sinistro aperto.

Prima fece un cenno di saluto con la mano, pensando di continuare la sua strada, ma si accorse che la signora lo stava aspettando. Fu circospetto. Non voleva dare a quell’arrogante di Malegro l’occasione di una lite. Subiva la sudditanza ? Pensò. “Ciao Rubi”. Il finestrino abbassato, a due metri di distanza. “Ciao Penelope”. “Come stai” ? Un gesto di impotenza gli venne spontaneo senza altre parole. “Ho accompagnato Malegro, sto andando via”. “Ah, ok”.

Lei mise in moto, e subito dopo, dal finestrino aperto, le allungò un cartoncino da visita. Poi partì con decisione. “Ore 15, parco Brettez”. Sotto un numero di cellulare. Si fece portare da Solano, il suo amico venezuelano che faceva il barman di notte al Grabernight. “Mi lasci e te ne vai”. Penelope lo aspettava in macchina. Un maggiolino nero che non aveva mai visto. Fece dieci passi senza sforzo. Il tutore gli dava la possibilità di muoversi.

Avrebbe anche potuto guidare la macchina, magari con cautela. Si avvicinò dalla parte della guida. Lei gli fece un gesto brusco con la mano per farlo salire dall’altra parte. Rubi era molto imbarazzato, un vero ingenuo, capitato in un paese dove si sentiva inferiore socialmente a tutti, figurarsi a quegli spocchiosi della sua squadra, che giocavano a fare i divi. Entrò in macchina, un pò restando come un manichino, ma cercando di essere gentile.

Lei stava su un’altra frequenza. Gli si avvicinò maliziosa. “Baciami”. Ma non gli dette il tempo di chiedersi niente. Gli si avventò sulla bocca e lo spinse sul poggiatesta per la forza che ci metteva. “Scusa, ma …”. “Dove mi porti Rubi”? Quel bacio gli tornava sulla pelle e gli scoppiava nella testa. Gli aveva pompato il fuoco nel petto. Si sentiva padrone e la voleva, ora, che la guardava mentre gli occhi di lei lo penetravano con violenza.

“Si”. disse Rubi. Prese freneticamente il cellulare dalla tasca, scoprendosi eccitato e forte. “Solano, mi serve la tua stanza al Graber…”. Rubi dette istruzioni. “Prendi la provinciale, vai, sta a tre chilometri da qua”. Solano lo aspettò fuori il piazzale del complesso, e lo pilotò sul giardino posteriore, facendolo salire al primo piano da una porta laterale, facendosi da parte davanti alla stanza 11. Penelope si infilò di corsa. Rubi chiuse a chiave. Poi fu imbarazzo.

Lei era più decisa, ma si vedeva il suo nervosismo in ogni mossa e nel ritmo delle poche parole che diceva a ritmi di apnea. Quando si tolse il cappotto di volpe bianca, restò con un abito rosso, aderente e leggero, corto ed attaccato addosso come fosse bagnato. Rubi era restato in un angolo a guardarla, senza osare intervenire ad interrompere quel rito di spogliazione quasi disinvolto, ma eccitante, per lui che la vedeva muoversi per la prima volta con un fare da gatta guardinga.

“Vieni qui vicino Rubi”. Si era seduta sul letto, e si era poi lasciata andare all’indietro. Rubi si avvicinò e si inginocchiò abbassando la testa fino ad infilarla tra le sue cosce scoperte. Sentì il suo odore intimo arrivare verso di lui, come un richiamo preparato per l’occasione. Lei si alzò e lo buttò all’indietro, gli sfilò i jeans mentre Rubi faceva appena in tempo a sfilarsi le scarpe aiutando un piede con l’altro.

Il suo boxer nero aderente era già gonfio quando lei ebbe finito di tirare giù i calzoni. Lui stava sotto, le ginocchia piegate, il piede immobilizzato, penzolanti dal bordo del letto. Lei si accomodò strusciandosi sopra di lui, e poi prendendo le sue forme, ma sempre muovendosi come un serpente in continuo movimento, conquistando lentamente posizioni diverse. “Quanto ho aspettato questo momento” gli soffiò in un orecchio. Lui si stupì. “Adesso non è il momento delle spiegazioni”.

Si accomodò meglio, prese l’arnese di lui e se lo ficcò dentro, ondeggiando sui fianchi. Rubi lo sentì cercare la strada e poi shittare, scivolando e salendo nei meandri umidi. Poi Penelope cominciò ad ondeggiare da destra a sinistra, e poi avanti e indietro, e lui la guardava mentre chiudeva gli occhi e canticchiava una nenia lamentosa e sincopata ad ogni sussulto. Poi la senti strillare soffocata, a bocca aperta, ansimante e senza fiato, infine nuovamente concentrata sulle mosse ritmiche e violente che dava, poggiandosi sulle ginocchia.

Quindi, esausta, divenne dolce, cominciò a sorridere, baciò Rubi sulla bocca, attaccandosi soddisfatta ed amorevole. Rubi la lasciò fare, ma quando la sentì abbandonarsi, la girò mettendosela sotto. “Mi fai male …” Rubi si sfilò e le carezzò la montagnola coperta di peli bagnati, sentendo delicatamente una forma gibbosa, come non era naturale. Un gonfiore turgido e passivo, anzi piacevolmente abbandonato, sotto la mano leggera che sfiorava in mezzo alle cosce, quel vulcano assopito.

Lei si scosse e gli toccò il sesso ancora molto duro, girò Rubi sulla schiena, si infilò da sotto tra le sue gambe con la testa, e cominciò a fargli carezze, a passargli la lingua sul ventre, urtando più volte con le guance quell’ordigno che sembrava una canna ondeggiante che tornava sempre dritta. Alla fine lo afferrò decisa, e gli passò la lingua delicatamente sulla delicata e sensibile punta scoperta. Quando lo sentì gonfio, lo aiutò ad esplodere con pochi gesti della mano diventata forte e veloce.

Lo vide sparare in aria, incontrollato, abbandonato all’indietro, e fu soddisfatta. Poi, prese uno strappo di carta e cominciò a pulirlo delicatamente. Lui giaceva tranquillo, si faceva accudire. Poi quando la gattina gli si accoccolò accanto, le passò un braccio attorno al collo e la strinse. Stettero di fianco, e passarono un’ora almeno tra minuti di sonno. “Perché hai fatto succedere questa cosa” ? Penelope scosse le spalle. “Perché mi piaci”. Lui parve accontentarsi.

La sera gli telefonava. “Sta attenta, Malegro può sentirti”. “Dorme”. “Ma come fai ad essere cosi sicura…” Si incontrarono al supermercato di Parma, prime ore del pomeriggio. Un posto anonimo, dove passavano inosservati. “Ma come fai ad essere cosi sicura”? “Un giorno o l’altro te lo dirò. Non è uno normale”. “Quando le passiamo due ore insieme”? “Venerdi”. “Perché sei cosi tesa”? “Sarebbe capace di ammazzarmi”. “E tu sei disposta a correre questo rischio…” “Un giorno o l’altro … un giorno o l’altro, ti racconto la mia storia e la sua”.

“Che vuol dire” ? “Quando deciderò, lo saprai. Adesso accontentati”. “Ok. Ho una sorpresa per per te”. “Non mi piacciono le sorprese”. “Questa ti piacerà”. “Ah si, e di che si tratta”? “Ho affittato un appartamento per un mese al Parco Carducci, verso Caravaggio. Sufficientemente lontano, garage sotterraneo, ascensore diretto …”. Non parve contenta. Guardò Rubi. “Venerdi, allora. Ci vediamo qui alle due”. Si girò e se ne andò spingendo il carrello con la spesa.

Rubi si fece un giro senza comprare. Poi andò al campo di allenamento. Solite chiacchiere sulla tribuna, mentre guardava da lontano Malegro che si dannava in mezzo al campo, accanito come sempre. Gli parve innaturale che fosse cosi tirato di nervi anche in allenamento. Gli tornarono in mente le parole di Penelope “non è uno normale”. “E’ arredato con molto buon gusto”. Era un’altra persona, sorridente, tranquilla, disponibile, desiderosa di lui. Ma stavolta lui aveva accresciuto la sua sete di quel corpo fluttuante, voleva prenderla e sorprenderla, perché cosi voleva stabilire le distanza tra maschio e femmina.

Le arrivò alle spalle in silenzio e le baciò il collo nudo, trattenendosi dal succhiare con forza quella pelle dal profumo intenso. “Non lasciarmi segni”, lo ammonì con dolcezza. La girò e se la strinse faccia a faccia, continuando ad affondare la testa tra i capelli lunghi di lei. Neri, lucenti, complici a nascondere quel collo intimo e desiderato, che poco aveva da invidiare alle più nascoste grazie, per il piacere che dava a Rubi.

Lui si tolse la maglia di lana nera e restò a torso nudo, facendogli vedere, alla ovattata luce filtrata dalla tenda gialla, petto e muscoli scolpiti nella pietra. Un sasso scuro, levigato e pronto a gonfiarsi sotto i gesti che faceva per avvolgerla. Lei lo sfidò, sbottonando la camicia azzurra di seta, liberando quei seni privi di qualsiasi contenimento. Il colore della pelle dei due, era quasi simile, ma non si poteva dire che fossero di una razza scura, perché lei poteva essere scambiata per una meridionale, calabrese o siciliana, mentre Rubi era inconfondibilmente sudamericano, ma più che altro per i tratti somatici.

In piedi, si prestarono aiuto reciproco per liberarsi del rimanente degli abiti. Rubi la spinse verso la parete, e, spingendo col petto di pietra le schiacciò piacevolmente i seni, che mostrarono una eccitazione evidente. Tra le cosce di lei crebbe il sesso forte di lui, che cercava di insinuarsi non riuscendoci. Penelope lo strinse al collo e si issò aggrappandosi e sollevando le gambe aperte, mentre gli si avvinghiava e cercava di catturare quella punta di muscoli, che le strusciava addosso.

Cominciò a ritmare una flessione dietro l’altra, alzandosi ed abbassandosi, facendo forza con le cosce e le braccia. Rubi teneva il suo peso agevolmente. Lei canticchiava sempre, ed aumentava il ritmo della voce insieme all’eccitazione che la gfaceva anche muovere più velocemente. Quando si rilassò, Rubi la portò sul grande divano di pelle e la coccolò delicatamente, lei si riprese subito dall’orgasmo passato, e si rimise a baciarlo. Rubi la buttò sul tappeto, e le si tuffò immobilizzandola sulle spalle, mentre ridevano entrambi di una felicità libera e liberatoria.

Lui la penetrò prima delicatamente, poi più deciso, forte. Si guardarono all’improvviso. “Ti amo”. Rubi restò meravigliato, gli sembrava fuori luogo. Lui in effetti non la vedeva sotto il profilo sentimentale, sentiva solo una grande eccitazione vedendola e sentendosela appiccicata addosso. Una femmina straordinariamente attraente, e straordinariamente calda. Fece finta di niente. E continuò a pompare dentro di lei con forza, più di prima, con la voglia di esorcizzare il sentimentalismo, e godere solo di piaceri carnali.

“Forza Rubi, spingi”. Lei si era risvegliata come se avesse cominciato appena allora, e si sextenò abbandonandosi ad un orgasmo violento accompagnato da grida al posto della canzone. “Vieni, vieniiii… “, disse gridando. Ma lui, che ormai sentiva la bomba pronta ad esplodere, si tirò fuori quando sentì i primi spari, e tenendosi. Poi si buttò all’indietro. Il fiato accelerato di lei era come di un velocista dopo il traguardo. Il cuore di Rubi batteva come un martello pneumatico.

Penelope si alzò dopo un paio di minuti, ed andò in bagno. Quando tornò, si fermò a gambe allargate piantata sopra di lui, che si stava asciugando. Per guardarla Rubi doveva superare quella selva riccia che spuntava all’attaccatura delle cosce, e spingeva in fuori, come la testa di un genio pazzo. I seni facevano ombra. I capelli neri lunghi le coprivano la faccia prona. Lei aveva voglia di tenerezze, si vedeva. Tentava di far diventare disinvoltura degli atteggiamenti che non aveva mai potuto ostentare.

“Sono le quattro”. Lei si sedette sul divano, nuda, rilassata, le gambe accavallate. Gli fece cenno di sedersi accanto. “Ho tempo fino alle sei”. “Ti voglio raccontare una storia”. Rubi non si meravigliò molto degli episodi prevedibili, infanzia difficile, concorsi di bellezza locali, poi l’agenzia dove faceva la hostess, poi, l’Italia. Le discoteche, gli inviti, i regali, i week end in Svizzera con uno della televisione. “Che televisione”? “Era una balla, ma mi regalava diecimila euro per ogni week end, e se poi non si è fatto più trovare, non è che abbia perso l’illusione di poter entrare a fare la show girl in una trasmissione.

Qualche soldo l’avevo messo da parte”. “E Malegro”? “Mi ha marcato una sera ad una cena a cui ero andata con uno dei tanti. E’ uno affascinante. Scambiai l’arroganza con il carisma, e mi innamorai di lui”. “Quindi, tutto bene”. “No”. Rubi si accomodò sul divano e si sentì ridicolo, cosi nudo, col tutore azzurro alla caviglia. “Malegro è impotente”. Rubi restò gelato da quella parola. Come? “Non riesce ad avere l’erezione in modo da penetrare”.

Abbassò la testa, come se avesse rivelato una sua vergogna. “Siete sposati”? “Si. Lo ha preteso lui “. “Malegro sta bene economicamente. Ha giocato dieci anni a buoni livelli, ed ha diverse proprietà immobiliari. Può vivere di rendita e farmi stare tranquilla per tutta la vita”. “Ma non … “? “Niente. Non può scopare. Hai capito perché è sempre cosi incazzato “? Rubi non fece in tempo a fare una successiva domanda. “Quando diventa insopportabile lo devo accontentare come posso”.

“Capito”. “Non non puoi capire cosa significhi avere l’ossessione di uno che vuole farsi masturbare, senza sapere da che parte prenderlo”. La testa all’indietro, un sospiro. “Mi sono sentita attratta da te già da quando ti ho visto la prima volta”. Ecco perché mi ha detto “ti amo”. Mi sembrava uno sproposito fuori luogo. “Hai capito perché ti ho detto ti amo … Ti sarò sembrata pazza”. “Bentornato Rubi”. Fontaneri accoglie Rubi in campo allungandogli il fratino giallo.

Il rientro nel campo con la palla. Malegro fa sempre il padrone a centrocampo. Rubi non è stato mai fermo, a parte i primi dieci giorni, poi la piscina, la sabbia, e giri di campo. Rientrare in campo è stato come attraversare la strada a Charlottenburg, e varcare quel passetto del campo dove vinceva la prepotenza, e non c’erano scuse. I primi dieci minuti furono in apnea, poi il fiato rotto prese il ritmo della partitella.

Malegro faceva schiattare tutti quelli che si trovavano a muoversi intorno a lui, lanciando palloni al volo sui quali pretendeva impegno. Quando Rubi cominciò a lasciare la sua zona di difensore destro per avanzare, Malegro cominciò a considerare di affidargli qualcuno dei suoi geniali lanci. Il ragazzo di Charlottenburg partiva spedito. Fontaneri lo seguiva e lo incitava. “Forza Rubi, spingi”.

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