Rossana, Alessia, Vanessa e tutte le ragazze

RossanaI suoi genitori sembrarono contenti di mettermela tra le mani. Stolti! Incoscienti! Non vedevano dunque che era come consegnare la loro figliola a un boia? Lei, Rossana, di appena 19 anni, era troppo innamorata di me per riuscire a ragionare. E la mentalità piccolo-borghese di sua madre e suo padre impediva loro di penetrare con la mente oltre le semplici apparenze. Fu così che, in una soleggiata domenica di maggio, tornai alla torre avita non più da solo, bensì in compagnia di una ragazza che era più giovane del sottoscritto di almeno un quarto di secolo.

I particolari della cerimonia nuziale sono svaniti dalla mia memoria; soltanto brandelli di immagini riaffiorano qua e là, confusi, nebulosi, come nel dormiveglia di un fumatore di oppio. A Rossana la torre piacque. Malridotta di fuori (sembra quasi un rudere, effettivamente), questa ultracentenaria costruzione che sorge ai margini della cittadina e che fin da sempre è stata possedimento della casata Bodoni presenta, al suo interno, un'eleganza austera e raffinata. I mobili, i tappeti, gli arazzi, i tendaggi di finissimo broccato… ogni cosa è rimasta come l'ha lasciata quella buonanima di mamma.

– E' un sogno – commentò Rossana guardandosi intorno, subito dopo aver lasciato cadere le sue valige. Poi corse verso le finestre, con l'intento di spalancarle. – No! – dissi, fermandola in tempo. – No – ripetei più dolcemente, abbracciandola. Lei si abbandonò contro di me. Poco dopo fremeva, avvolta dalla seta delle lenzuola. Io, ugualmente nudo, la tenni stretta finché su di me non scese il sonno. – Ma come mai non hai il telefono? E un televisore?… Non c'è nemmeno lo stereo! Possibile che tu non ascolti mai musica?Queste domande mi infastidivano.

Dunque è così essere sposato? Stringere un patto matrimoniale significa alienare la propria vita?- Io dipingo – dissi, a mo' di spiegazione. – Oh. – Ciò sembrò quietarla. – Non me lo avevi mai detto. In realtà, di te non so quasi niente. – E poi: – Non mi dispiacerebbe dare un'occhiata ai tuoi quadri. La guidai nello studio. Sembrò stupita di vedervi un'unica tela, fissata sul cavalletto. – E' questa la tua opera? – chiese incredula.

– Una sola? E… che rappresenta?- Colori – risposi. – Non lo vedi? A me piace mischiare i colori, sovrapporli l'uno all'altro. Alla fine, raschio via il tutto e ricomincio da capo. – Ma… a che scopo?Sorrisi indulgente. – L'arte non deve avere uno scopo, mogliettina. Io dipingo per il semplice gusto di farlo. Rimase a bocca aperta, ma perlomeno la sua curiosità era esaudita. Avevamo organizzato le nostre giornate in maniera alquanto soddisfacente: io stavo nello studio a dipingere e lei usciva a passeggiare o a fare le compere o quel che voleva.

Verso mezzogiorno e sul calar della sera mi spostavo in cucina, dove preparavo da mangiare per entrambi. Io amo cucinare. Cucinare è un po' come la pittura: una mera sovrapposizione di colori. Ho sempre cucinato per me stesso fin da bambino e ora non avevo nulla in contrario a fare doppie porzioni. Toccava a lei sparecchiare e lavare piatti e stoviglie. Dopo cena andavamo quasi subito a letto. Esteticamente, Rossana era impeccabile. Ammiravo i suoi piccoli seni, le sue bellissime gambe, le rotondità dei fianchi.

– Non hai amici? Non vogliamo uscire insieme? E perché non inviti mai i miei?- Zitta – troncavo tutte queste sue chiacchiere, attanagliandola. – Non rovinare la magia del momento. – E mi addormentavo incollato a lei. Con il trascorrere del tempo, le passò la voglia di tempestarmi di domande. In fondo io meritavo rispetto, in quanto aristocratico. “Il barone”, mi appellava la gente comune. Barone Bodoni: è così che mi chiamo. Fu una mossa astuta da parte di mia madre (rimasta vedova giovanissima) quella di assegnarmi come prenome il corrispondente del titolo che porto.

Ciò può anche servire ad evitare eventuali dubbi sul mio status di nobile blasonato. Una volta, uscendo da un bar dove avevo bevuto un caffè, sentii uno della plebaglia sussurrare a un altro: – Vedi quello? E' un autentico patrizio. Un barone. Di nome e di fatto. Sono tali episodi a raddolcire la vita di un uomo del mio rango. Dopo circa una settimana dal nostro matrimonio, cominciai a capire com'era Rossana. Era stata educata in maniera sbagliata; cosa che non deve meravigliare, considerando il focolare da cui proveniva.

Fondamentalmente era una ragazza romantica (altrimenti non si sarebbe innamorata di me, uno dei pochi “principi azzurri” ancora rimasti nel nostro emisfero), però possedeva l'astuzia della marmaglia contadina. Un giorno, prima di uscire a fare la spesa, mi chiese dei soldi. – Non posso pagare sempre io – si azzardò a lamentarsi. – Anche perché non sono proprio soldi miei, ma di mio padre. – Quanto ti servirebbe?Sparò una cifra, al che io le misi in mano la metà.

– E il resto?- I tuoi genitori non sono poveri, no? Inoltre si rallegrano a saperti sposata con me. Sei diventata una baronessa, e noblesse oblige! Ovvero: entrare a far parte della casta gentilizia val bene qualche sacrificio economico. Infilò la porta che dà sulle scale con espressione vacua, camminando lenta. Soprattutto a letto, Rossana poteva essere audace e cautamente violenta. In un'occasione guidò una mia mano verso il suo spacco umido, ma io la ritrassi di shitto.

– Allora non ti attraggo! – esclamò, rizzandosi a sedere. Ora, dovete sapere che io non sono del tutto fuori dal mondo. Quando studiavo, avevo sentito i miei commilitoni raccontare di questa o di quella ragazza “eccitata come una troia”. Parlavano spesso di obbrobri consimili. Possibile che mia moglie fosse come tutte le altre?- Certo che mi attiri! – la contraddissi. – Difatti, non faccio che amarti. – Amarmi? Tu? Ma come…? Dove…? – E il suo sguardo andò da me al proprio pube nereggiante.

Ridendo, la spinsi lievemente fino a farla tornare in posizione orizzontale. – Sei una sciocchina, lo sai? Non vedi quanto mi delizi? – E, per dimostrare la veridicità della mia asserzione, la avvinghiai, appoggiando l'orecchio sul suo cuore. Fu in una di quelle sere che, mentre cenavamo, mi indirizzò questa domanda: – Barone, tu sei felice? Felice per davvero?Riposi coltello e forchetta e la fissai. Che cosa significava “per davvero”? Pensai e pensai e, a forza di farlo, una ruga mi si disegnò sulla fronte.

– Certo – le assicurai infine. Lei prese coraggio e mi guardò dritto negli occhi. Di solito non riusciva a sostenere il mio sguardo. Insisté: – E quindi mi ami. Di nuovo? Come osava dubitarne?- Siamo sposati – le rammentai. Annuì e tornò ad abbassare il capo, riprendendo a desinare. Cosa che feci anch'io. Poco dopo, la sua voce risuonò un'ennesima volta. Stava rischiando di annoiarmi. – Perché non mi parli mai dei tuoi ricordi? O dei tuoi progetti per il futuro?Ricordi? Progetti?Interrompendo la masticazione, le lanciai un'occhiata più severa del solito.

Dopo qualche secondo, sospirai e le risposi, altamente magnanimo: – Ora ho te. Te e la mia arte. Di altro non saprei parlare. Non c'è nient'altro di cui potrei parlare, in effetti. – Ah – esalò Rossana, con l'incertezza che le tremolava sulle palpebre. Alzai il mio calice e le proposi un brindisi, e questo la rimise, almeno parzialmente, a suo agio. Poi proseguimmo la cena senza altre inutili discussioni. Comprendevo che voleva far di tutto per strappare la mia anima dalla melma della consuetudine meccanica.

Mi aveva già proposto dozzine di volte di uscire insieme, di cambiare i mobili e la tappezzeria di alcune camere, di accogliere nella nostra torre talune sue vecchie amiche… Senza rendersi conto che io, Barone Bodoni, ero contento del mio status quo e non avrei mai permesso a nessuno, a nessuno, di mutarlo. Il mattino che seguì la nostra conversazione a tavola, si accinse a uscire e, senza che io le avessi domandato alcunché, mi informò che sarebbe andata a trovare i suoi.

Mi limitai ad abbassare la testa in segno affermativo. – Devo dire loro che mandi i tuoi saluti?- Naturale – dissi. – Ah, va… va bene. Non so di che cosa parlasse Rossana con sua madre e suo padre; di appurato c'è solo che, dopo ognuna di quelle visite, mi sembrava sempre di malumore. Parlavano di me? A letto tremava, le labbra livide per i baci che le mancavano. E non solo i baci, ma anche altro.

Probabilmente, desiderava proprio quelle cose orripilanti, irripetibili, di cui avevo sentito parlare a scuola. La mia stretta amorosa non le bastava. Ma che voleva? D'altronde non le avevo chiesto io di sposarmi. Avevano combinato tutto lei e i suoi vecchi…Mi aveva adocchiato al mercato. Mi pare di rivedere me stesso con i suoi occhi, con gli occhi di Rossana: un nobile signore, elegante anche nel portamento, non troppo attempato, palesemente facoltoso. Mi aveva rivolto la parola, scambiando di certo i miei silenzi per un segno di superiorità sociale.

Ho già accennato all'astuzia di cui è dotata la feccia, la gentaglia che affolla la Terra. Alla Rossana sognatrice si era quasi immediatamente sovrapposta quella furba e machiavellica che ne tradiva le umili origini. In breve, aveva fatto due più due, calcolando che il mio patrimonio, sommato agli averi dei genitori (i quali gestivano una piccola ma proficua merceria), le avrebbe garantito un futuro tranquillo. Per fortuna io non sono uno sprovveduto. Vuoi il Principe Azzurro? Ebbene, eccoti servita! Ma non pretendere di più.

Credo che negli ultimi tempi Rossana odiasse profondamente la torre. Le persistenti correnti d'aria le procuravano mal di testa, la uccidevano. Quando mi pregò di “far chiudere le fessure”, la sfidai a cercarle. – Non c'è nessuna fessura, nessun buco – ribattei alle sue rimostranze. – Queste correnti d'aria provengono dai muri, anche se, come puoi vedere, sono compattissimi. La torre è sempre stata così, piena di spifferi. I muri respirano e quest'arietta è l'inevitabile effetto.

Ti ci abituerai. – E le finestre? – insisté lei, sull'orlo di una crisi. – Perché non possiamo aprirle?- Ma non ti sei appena lagnata delle correnti?- Sì, no, cioè… Preferirei avere un po' più di luce, almeno di giorno. – La luce serve solo a rovinarci gli occhi – proferii, citando una delle frasi predilette da mia madre. Sorrisi, gettando alla signorile dimora uno sguardo circolare. Era stata la genitrice a insegnarmi e a farmi apprezzare l'espediente delle imposte.

Tenendole chiuse, o comunque socchiuse, si possono simulare l'inverno e il crepuscolo permanenti. Noi Bodoni siamo fatti così: amiamo l'atmosfera violacea delle cripte, dove si palesa la fosforescenza della putredine e l'effluvio del temporale. Voi direte che sono pazzo. Non so se lo sono, ma ho certamente ereditato alcune tare familiari. Ecco, guardate lì: sulle pareti sono appesi i ritratti dei miei avi. Signorotti viziosi, arricchitisi alle spalle del popolino. Una stirpe di omini e di donnette con la sifilide congenita.

Fatto sta che, quando Rossana prese a consumarsi sotto i miei occhi, sentii di volerle persino più bene. Alle emicranie si era aggiunta una stanchezza pesante che la costringeva a restare nell'alcova per gran parte del tempo. Non si alzava più neppure per mangiare. Io, quando non dipingevo, mi ci sdraiavo accanto e la cingevo con le braccia. Dimagriva a vista d'occhio e compresi che di lì a poco per lei sarebbe arrivata la fine.

Quando fu il momento, un sentimento per il quale non trovo un nome appropriato si impossessò del mio spirito, anzi, del mio corpo. Un senso assolutamente inedito, un'entità nuova che mi rinvigorì i nervi e che oserei definire di natura postumana anziché a****lesca. Le sollevai la sottana e la penetrai. Mi sentivo come un puledro che poteva finalmente sextenarsi in una cavalcata liberatoria, un'azione di cui si gioisce ma in maniera guardinga e sospettosa, mentre ci si chiede: “Ma questo sono proprio io? Tutto ciò… sta accadendo veramente?”Sì, ciò stava accadendo, ed era splendido; anche se Rossana, malata e dolorante com'era, non poteva apprezzarlo in pieno.

In effetti, gemette solo un paio di volte, e per l'intera durata dell'atto rimase immobile e con gli occhi chiusi. Alcune lacrime le bagnarono le ciglia e le pallidissime gote. Mentre raggiungevo l'orgasmo, mi parve che ella sorridesse. Una luce le irradiò le fattezze del volto e io, stremato ma soddisfatto, mi resi conto che voleva comunicarmi qualcosa, che stava trasmettendomi un messaggio dal luogo in cui adesso si trovava con una parte del corpo e con quasi tutta l'anima: il regno delle ombre.

Mosse la lingua ma era troppo fiacca per emettere suoni di senso compiuto, perciò il messaggio rimase avviluppato nei vapori dello Stige. Quando ebbi recuperato fiato e rialzai la testa dal cuscino, le toccai la fronte: aveva l'algidità del ghiaccio. Ma non era spirata. Non ancora. Rimase in stato agonizzante per una ventina di giorni, e io ogni tanto mi appressavo al letto per inumidirle la pelle cerulea con una spugna imbevuta d'acqua e d'aceto.

Le sue pupille erano smorte, velate e scialbe. Nel frattempo, la sua pancia andava gonfiandosi. Quando andai a chiamare il dottore, il cadavere di Rossana era rigido come una pietra. Accorsero anche i suoi genitori, che piansero lacrime amare e non vollero credere a quanto stava dicendo il luminare, e cioè che nelle spoglie inanimate della loro figliola pulsava una nuova vita. – Un frutto maturo, direi – ci avvisò auscultando il ventre di Rossana.

– Ed è ora. Devo far presto, presto… – E si adoperò, con gesti frettolosi ma esperti, affinché il frutto venisse estirpato dall'albero sempre più privo di linfa. Il padre mi si avvicinò tutto trepidante e mi sussurrò: – Povera mia figlia innocente! Non sapeva ancora niente delle cose dell'amore. Pensa che è venuta a raccontarci che tu a letto non… insomma, che la rifiutavi. Ma non vedeva…? Non si accorgeva, quando tu… ?La bambina fu tratta al mondo.

Un caso di nascita post mortem. Mentre emetteva il primo vagito, io gettai una rapida occhiata al cadavere. Ripeto che so di essere, con tutta probabilità, pazzo. La verità è che vidi qualcosa che nessun altro notò, ovvero come la morta sollevasse le palpebre. Vidi lo sguardo della mia defunta moglie accendersi fino all'inverosimile. Parve che dalle pupille sprigionassero raggi luminosi, di uno splendore non riflesso ma di luce propria. Infine, lo spettro richiuse gli occhi.

Stavolta definitivamente. Mi accorsi che il padre di Rossana mi stava scuotendo per un braccio. Voleva di nuovo dirmi qualcosa. – Eravate sposati da dieci mesi ed ecco che ora… ora!… – aggiunse con un singhiozzo – … arriva questa creatura. E dunque avete proprio consumato, come si suol dire. Strano però che lei si lamentasse con noi che… – Scosse il testone ingrigito e il suo sguardo angosciato schizzò verso la puerpera senza vita, per poi tornare su di me.

– Tu non preoccuparti – concluse pieno di strazio. – Ti aiuteremo noi a far crescere bene la pargoletta. – E si chinò sullo squillante fagottino che il dottore, dopo la recisione del cordone ombelicale, aveva posato sopra ai cuscini ammassati su un'antiquata cassapanca. Rimangono assai confusi i miei ricordi del battesimo. Nessuno sembrava aver pensato a come chiamare questo prodigio di bimba e io, poco prima che il prete la immergesse nell'acqua santa, decisi stante pede: – Rossana.

La piccola Rossana cresceva molto in fretta. Potei liberarmi dei suoi nonni solo quando lei aveva due anni. – Ora posso farcela da solo – tagliai corto mentre loro, sgomenti, protestavano. A cinque anni Rossana ne dimostrava dieci, a dieci era già una donna. Godeva dei miei abbracci. E io godevo di lei. Era un fiore muschiato e vulcanico. Ogni volta che giacevamo stretti l'uno all'altra, mi pervadeva lo stesso senso di usurpazione che mi aveva fatto gioire nel possedere il corpo di sua madre morente.

Adesso sapevo che cos'è la felicità. Uscivo dalla torre solo per procacciare cibarie per me e per Rossana. Al mercato serpeggiavo tra le bancarelle con atteggiamento felice, ben sapendo quali gioie mi attendevano al rientro. Finalmente, la mia oscurità volgeva in magnificenza. Sono venuti a prendermi ieri per rinchiudermi in questo posto. Dicono che sono pazzo. Può darsi. Capisco che sono arrabbiati perché ho voluto tenere la mia bambina lontana dalle loro grinfie. Quando hanno buttato giù la porta, sulle prime sono rimasti interdetti nel non trovare nessuna fanciulletta, bensì una femmina fatta.

Lei, vestita solo con una vestaglietta trasparente, stava davanti al cavalletto e dipingeva. Un bel guazzabuglio di colori: il nostro capolavoro a quattro mani. Mi buttano addosso parole assurde: “sequestro di persona”, “pedofilia”, “inadempienza dell'obbligo scolastico”, ecc. Intanto cercano di capire. Stanno sottoponendo Rossana a numerosi controlli, parlano di “portento anatomico” e stamani i giornali hanno pubblicato un mucchio di sgradevoli idiozie. Ma del resto, cos'altro ci si può attendere dal volgo?Mia moglie Laura e la sua amica AlessiaHo conosciuto Laura quando eravamo ragazzini, le nostre famiglie erano amiche e spesso ci ritrovavamo insieme.

Io avevo quattro anni più di lei che vedevo come una ragazzina rompishitole, una sorta di sorellina antipatica e lei mi vedeva allo stesso modo. Con il trascorrere degli anni restammo amici, entrambi vivendo le nostre prime esperienze d'amore, con l'aumentare dell'età l'antipatia reciproca che provavamo da ragazzini si trasformò in una bella amicizia. Fu solo quando Gianni, il mio più caro amico d'infanzia, mi disse “Laura è diventata veramente una gran bella ragazza”, che mi resi conto che l'amicizia poteva diventare qualcos'altro.

Gianni, oltre a Laura, è la persona più importante della mia vita, ho sempre chiesto il suo giudizio in ogni importante decisione della mia vita e così è stato anche quando dichiarai il mio amore a Laura. “Ma che aspetti? E' fatta per te. ”Lei aveva 22 anni, io 26 e mi ero appena laureato in Economia e Commercio. Cominciai a lavorare presso lo studio di un commercialista, cinque anni dopo ci sposammo, nel frattempo lei si era impiegata presso una banca.

Gianni e sua moglie Alessia furono i nostri testimoni di nozze. Da allora spesso e volentieri trascorrevamo i week-end e le vacanze insieme. Gianni era il vero leader del gruppo, aveva sempre avuto una personalità molto più forte della mia, sapeva prendere le decisioni senza curarsi delle opinioni degli altri, per me, invece, l'approvazione delle persone attorno a me è sempre stata molto importante. Non sono mai stato tipo che ama stare al centro dell'attenzione e anche mia moglie Laura, pur essendo diventata una gran bella donna non ama essere troppo appariscente, al contrario di Alessia alla quale piace vestire in modo più sexy, pur non essendo mai volgare, e cambia spesso colore dei capelli passando dal rosso fuoco al biondo platino.

Dopo tre anni di matrimonio e una vita sessuale direi normale, stavo vivendo una fase direi di stanchezza e di calo del desiderio. Un po' di stanchezza originata dal troppo lavoro e un po' di noia causata dalla routine avevano diminuito di molto la nostra attività sessuale. Laura ne soffriva un po' e me lo diceva, pur comprendendo che era un fatto momentaneo determinato dallo stress. Una svolta accadde quando lei andò per tre giorni da sua madre che si era trasferita nella sua città d'origine dopo essere rimasta vedova, a 300 km da casa nostra.

In quei tre giorni solo in casa, stranamente venni colto da un improvviso aumento di voglia di sesso. Il mio amico Gianni non si era mai fatto scrupolo di farsi avventurette qua e là, ma io non avevo mai voluto tradire mia moglie, più che altro per paura delle conseguenze, se fossi stato scoperto. Decisi così di dedicarmi ad una maratona masturbatoria come quelle che facevo da ragazzo, accesi il PC e mi collegai ad uno dei tanti siti porno.

Cominciai a visionare filmati su filmati, la fantasia cominciò a galoppare in modo incredibile quando mi imbattei in un filmato che vedeva come protagonista una donna americana che somigliava un poco a mia moglie alle prese con due ragazzoni. L'idea che quella donna potesse essere lei (ovviamente non lo era, la donna somigliava a lei solo un poco), e che facesse una cosa del genere solo per far piacere a me, mi eccitò in modo incredibile.

Restai sveglio tutta la notte, mi masturbai altre 3 volte, e restavo sempre eccitato, era una sensazione incredibile. L'adrenalina era tale che, non riuscendo a prendere sonno, cominciai a gironzolare per forum e chat a sfondo sessuale, dialogando con molte persone che si eccitavano alla mia stessa fantasia, vedere la propria moglie scopata da altri uomini. In mezzo ad una serie di personaggi chiaramente falsi e altri maleducati, mi soffermai a parlare con Alessandro.

Anche lui aveva questa mia stessa fantasia, e l'aveva comunicata alla moglie. La quale, inizialmente aveva reagito male, ma poi, resasi conto che la cosa aveva risvolti positivi sulla loro vita sessuale, cominciò a giocare in tal senso con il marito. Inizialmente fingevano la presenza di un terzo, dopo qualche tempo decisero di fare il salto di qualità e lei andava davvero a letto con un altro, per poi raccontare tutto al marito. E in diverse occasioni lui aveva anche assistito.

Dopo diversi anni Alessandro e sua moglie si separarono, perché lei si era definitivamente innamorata del suo amante, ma lui non era affatto pentito. “Ho vissuto sensazioni irripetibili e meravigliose, anche se sono costate il mio matrimonio, se tornassi indietro rifarei tutto, anche se oggi mia moglie mi manca da morire. ”Trascorsi i due giorni seguenti a vivere attaccato al PC alla scoperta del mondo cuckold (come vengono chiamati coloro che si eccitano a vedere la propria donna fare sesso con qualcun'altro).

Conobbi altre persone e confrontai le loro esperienze con le mie sensazioni. Decisi di parlarne a mia moglie, quando sarebbe tornata, anche perché non sarei stato capace di nasconderle questa mia fantasia, se l'avesse presa male, avrei potuto addossare tutto alla stress ed al fatto che mi era mancata, in quei tre giorni, e non avrei più ripreso l'argomento. Le raccontai tutto, dettagliatamente, la prima serata, il dialogo con Alessandro, e tutto quello che mi era passato per la testa.

Lei contrariamente ai miei timori la prese con molta allegria, mi disse che era contenta che mi fossi confidato con lei, cosa che molti mariti, secondo lei, non avrebbero fatto, e che mi amava ancora di più proprio per questo. Quella sera e per i giorni che seguirono facemmo moltissime volte l'amore, con tante variazioni sul tema. A volte fingevamo che io fossi un altro con cui lei mi stava tradendo, altre volte lei, mentre scopavamo, mi raccontava una sua scopata immaginaria con questo fantomatico amante, e così via.

La nostra vita sessuale migliorò di molto, grazie a questo giochino. La cosa ci divertiva un mondo e ci eccitava parecchio. Ogni tanto parlavamo del fatto se un giorno o l'altro avremmo mai trasformato la fantasia in realtà ed entrambi eravamo d'accordo nel pensare che l'esperienza sarebbe stata troppo forte e rischiosa. La cosa comunque mi prese parecchio, passavo tutti i momenti liberi della giornata a fantasticare su qualche variante o novità nelle nostre fantasie, non avevo mai avuto un'attività sessuale più frenetica, e sentivo il bisogno di parlarne con Gianni.

Una sera ci incontrammo dopo il lavoro per prendere un aperitivo in un pub. Introdussi piano piano l'argomento, temevo che mi giudicasse male, lui era sempre stato il classico “macho”, aveva tradito la moglie in più di una occasione vantandosene con me e, al tempo stesso, era estremamente geloso. Almeno così sembrava. Cominciai a parlargli del fatto che ci sono persone che si eccitano all'idea che la loro donna faccia sesso con un altro e lui mi diceva che è una fantasia che non capiva, ma se a loro piaceva, non giudicava.

Poi, mi spinsi più in là e raccontai tutto, la sua reazione fu molto divertita, più che altro perché non vedeva Laura come una tipa a cui piacessero certi giochi. Ribadì comunque che se la cosa ci divertiva, era contento per noi. “Attenzione a non andare troppo oltre, se lei si trova un amante, come nel caso che mi hai raccontato, potresti pentirtene. ” Gli risposi che non era nostra intenzione passare dalla fantasia alla realtà e di contro, gli chiesi se lui avesse voglia di provare a vedere se questa fantasia avrebbe avuto un effetto positivo anche su sua moglie Alessia.

Il volto di Gianni si rabbuiò. “A volte quasi spero che mi tradisca. Mi prendono i sensi di colpa per tutte le volte che l'ho tradita e in certo senso pareggeremmo i conti. E poi, se lei avesse le sue avventure, sarei autorizzato a proseguire le mie. ”Chiudemmo il discorso lì, cambiammo argomento e tra un cocktail e una risata ci avviammo a casa. L'indomani, Gianni mi telefonò dicendo che voleva raccontarmi una cosa.

Ci incontrammo per pranzo e mi disse che, la sera, aveva raccontato i nostri discorsi ad Alessia. Inizialmente me la presi, avrei preferito che prima, almeno, mi avesse chiesto se poteva parlarne alla moglie, ma lasciai perdere quando seppi che Alessia si era molto divertita all'idea e che anche loro avevano giocato ieri sera con la stessa fantasia, divertendosi parecchio. “Alessia si è molto eccitata all'idea della trasgressione”. Non riprendemmo comunque il discorso per un po' di tempo.

Un paio di mesi dopo, mia moglie mi disse “Devo confessarti una cosa. ” Inizialmente, temevo chissà che, anche per via del mio carattere tendente al pessimismo, invece Laura mi raccontò che pochi giorni dopo la mia chiacchierata, Alessia le aveva telefonato avevano parlato di questa nuova fantasia che ci accomunava, di come la stessero vivendo da donne, e più volte si erano incontrate per fare shopping o per prendere un caffè ed avevano approfondito la cosa, notando che sentivano una complicità maggiore con noi mariti, che si sentivano più desiderate, e che i risvolti sul piano sessuale erano assolutamente positivi.

Io e Gianni comunque non affrontammo più l'argomento per almeno sei mesi. Giunto il mese di luglio decidemmo di organizzare le vacanze insieme e di affittarci un bungalow in un villaggio turistico del sud Italia. Gianni mi confidò che si sentiva strano, che vedeva sua moglie sempre più indipendente ed intraprendente e che per lui, che aveva sempre tenuto in pugno tutte le situazioni, che voleva sempre avere il controllo totale, era una sensazione nuova e strana.

Anche la scelta del luogo di vacanza, per la prima volta era nata da sua moglie e non da lui, e questo indicava che qualcosa nei rapporti tra lui e Alessia stava cambiando. “Alessia sta prendendo sempre più il sopravvento su di me, e tutto è partito da quel gioco sessuale. ” Gli dissi di rilassarsi e che semmai il rapporto adesso era semplicemente più equilibrato, dato che tra me e Laura le cose erano semplicemente migliorate e che non c'era mai stato nessuno, tra me e mia moglie, che avesse il predominio sull'altro.

Semplicemente non doveva porsi il problema e vivere tutto serenamente, tutto qui. Quando giungemmo al villaggio turistico, situato ai piedi di un promontorio, scegliemmo il bungalow con due camere separate, più lontano dal centro del villaggio, nel punto più alto, proprio perché volevamo trascorrere molte ore divertendoci lontano da sguardi e orecchie indiscrete. I primi otto dei dieci giorni previsti per il nostro soggiorno trascorsero meravigliosamente. Mare, cibo e sesso a volontà. Relax totale, ci sentivamo in paradiso.

In genere trascorrevamo la mattina al mare, pranzo, pomeriggio al mare, cena, una passeggiata e poi ci chiudevamo, ogni coppia dentro la propria stanza, fino all'esaurimento della forze, per riprendere il ciclo l'indomani mattina. Due giorni prima della nostra partenza, la direzione del villaggio aveva organizzato una festa nella discoteca situata al centro della struttura. Durante la cena, Alessia con un tono ammiccante disse a Laura, ad alta voce affinché sentissimo tutti “Che ne dici se stasera ci facciamo guardare un po'?”.

“Veramente vi guardiamo già abbastanza”, intervenni io. “Ma io intendevo farmi guardare da qualche altro giovanotto” rispose Alessia con un sorriso malizioso e disarmante, Gianni mi guardò in modo divertito, senza dire nulla. Laura, mia moglie, aggiunse “Ma dai, è solo un gioco divertente, tanto per dare un po' di pepe alle nostre fantasie, diciamolo tranquillamente, lo sappiamo tutti che la cosa vi ecciterebbe. ” “E quindi? Spiegatevi meglio. ” disse Gianni. “Noi ci vestiamo in modo sexy, quando arriviamo in discoteca, andiamo a ballare, e voi restate in disparte a guardarci e osservare se qualche ragazzo ci prova.

” “No – dissi io – non mi va, e se poi c'è qualche malintenzionato o qualcuno che causa problemi?”Laura disse “E' chiaro che non daremmo loro corda più di tanto, e se dovesse succedere qualcosa, non ci siete forse voi ad osservare e intervenire, se necessario?”, Gianni mi guardò divertito “Che ne dici?”. Non ero convinto, ma acconsentii, “Va bene, facciamolo”. “Però, se vedo che tirate troppo la corda, io e Luca ci portiamo a letto le ragazze più fighe di tutto il villaggio chiaro?” concluse Gianni, le ragazze si misero a ridere, ci baciarono e si andarono a cambiare mentre io e Gianni ci sedemmo, in attesa del loro arrivo.

Arrivarono dopo circa mezz'ora con due vestitini sexy che non avevamo mai visto. Tutto nero quello di Laura e con un disegno a fantasia sul verde quello di Alessia, entrambe con la schiena completamente nuda e con le gonne cortissime. Tacchi altissimi e trucco più forte del solito completavano il quadro. Io e Gianni guardammo estasiati le nostre donne. Ci incamminammo verso la discoteca, seguendole e Gianni mi disse “Ma quei vestiti quando li hanno comprati? Vuoi vedere che le due tipe avevano in testa questo giochino fin da prima di partire?”.

“Le donne sono sempre sorprendenti, non ti nascondo che la cosa mi sta arrapando fin da adesso”, “E io non ti nascondo che anche per me è la stessa cosa”. Giunti in discoteca, ballava già parecchia gente, ci sedemmo in disparte al bancone del bar e le ragazze, come d'accordo, senza nemmeno salutarci andarono a ballare. Io e Gianni non parlavamo, ci limitavamo a bere un drink dopo l'altro, e ad osservare le nostre donne, completamente presi dalla faccenda.

Due fighe da paura che ballano sole al centro della pista, anche in mezzo alla folla, non tardano ad essere notate, e dopo non molto tempo diversi ragazzi cominciarono a ronzare attorno a loro. Io e Gianni ridevamo come matti a vedere come le donne si divertivano ad allontanarli, quando si facevano troppo vicini e, non viste, ci facevano un cenno d'intesa, quasi a dire “visto che ci comportiamo bene?”. La vista di mia moglie che veniva abbordata mi dava una sensazione allo stomaco indescrivibile, un misto di dolore, adrenalina ed eccitazione a****le, e bastava guardare Gianni per capire che per lui era esattamente la stessa cosa.

Dopo una mezz'oretta le ragazze si avvicinarono per bere insieme a noi, cominciava a girami la testa non so se per i drink o per la situazione nel suo insieme, e dissi “Ragazze vi state comportando bene, anche troppo”, “Troppo? Amore che intendi dire?” mi rispose Laura. “Intendo che potreste anche ballare con qualche ragazzo, anziché respingerli tutti”,”Veramente li abbiamo respinti solo perché non ci piacevano”, rispose ridendo Alessia anche lei mezza ubriaca. “Va bene, disse Gianni, io sono arrapato come un toro in calore, fate gli ultimi balli e divertitevi, poi andiamo via, altrimenti le palle mi scoppiano”.

Ridemmo tutti, le donne ci baciarono intensamente e tornarono a ballare. Subito dopo vennero abbordate di nuovo, da due ragazzoni molto alti, di cui uno di colore, Gianni mi disse “quelli sono due che lavorano qui al villaggio, questi ronzano attorno alle nostre mogli da qualche giorno”. Risposi che non me ne ero accorto per nulla, poi la conversazione si interruppe perchè fummo presi dagli avvenimenti. I due ragazzi si erano fatti subito molto audaci e ballavano a stretto contatto con le nostri mogli, le quali non disdegnavano strusciarsi sui loro corpi.

Le mani del ragazzo di colore si allungavano ora sui fianchi di mia moglie, ora sulla schiena di Alessia. Io e Gianni ci guardammo, indecisi se intervenire o se restare ad osservare uno spettacolo che ci stava sconvolgendo. Il tutto non durò a lungo, per fortuna. Alessia e Laura, non appena fini il brano musicale si allontanarono dai due tipi, i quali restarono un po' delusi, provarono a seguirle, ma si fermarono quando videro che si erano venute a sedere accanto a noi.

Sia io che Gianni notammo, però che entrambe si erano girate a sorridere ai due ragazzi. Decidemmo di tornare al nostro bungalow, eravamo tutti brilli e molto eccitati. Non appena arrivati, le ragazze ci abbassarono i pantaloni e cominciarono a spompinarci con grande energia. Anche questa era una novità, per quanto fossimo affiatati tra di noi, non avevamo mai fatto attività sessuale di nessun tipo gli uni davanti agli altri. Gianni guardava mia moglie prendersi il mio cazzo in bocca ed io facevo altrettanto con la sua, ed era uno spettacolo stupendo.

Entrambe mostravano un atteggiamento forte e dolcissimo al tempo stesso che ci lasciava senza fiato. Sembrava facessero a gara a chi ci faceva venire prima, e infatti dopo neanche tre minuti di pompino sia io che Gianni esplodemmo in un orgasmo violento. Neanche il tempo di riprenderci, e le ragazze ricominciarono, il livello di ormoni era talmente alto che anche stavolta non durammo a lungo, poco più di 5 minuti e arrivò un altro orgasmo, anche stavolta quasi simultaneo.

Io e Gianni eravamo entrambi senza fiato, Alessia si sollevò il bordo del vestito, infilò le mani dentro le sue mutandine e cominciò a masturbarsi. Gianni andò a prendere una bottiglia di Whisky e ne versò due bicchieri, uno per me e uno per lui. Nel frattempo anche mia moglie aveva cominciato a masturbarsi, eravamo tutti in un delirio erotico mai vissuto prima. Io e Gianni continuammo a bere, osservando le nostre donne che si masturbavamo, ormai eravamo fradici.

Ad un tratto Gianni si alzò in piedi e disse: “Ormai dobbiamo farlo, dobbiamo andare fino in fondo”, “in fondo a cosa? Cosa intendi dire?”, dissi io. “In fondo a questa storia, dobbiamo bere l'intero calice, non possiamo più tornare indietro e non voglio più fermarmi. Voglio che mia moglie viva la sua esperienza, lei ha già deciso, anche se non lo ha ancora detto e anch'io ho deciso. Tanto vale arrivare dove vogliamo arrivare tutti”.

Intervenni dicendo a Gianni che era ubriaco e non capiva quello che diceva. “Non sono ubriaco – rispose – non abbastanza da non capire lo sguardo negli occhi di mia moglie e di tua moglie, che non si sono mai sentite così sexy, così donne, così vogliose di trasgredire come adesso, e non sono ubriaco abbastanza da non aver visto lo sguardo sconvolto ed eccitato che avevi quando quel nero accarezzava la schiena di tua moglie.

Avresti dovuto vederti, Luca, se ti fossi visto in uno specchio, non penseresti che io sono ubriaco”. Ci guardammo tutti negli occhi, uomini e donne, Gianni aveva ragione, aveva dannatamente ragione. Alessia si alzò in piedi e baciò appassionatamente suo marito, che le disse “Voglio che tu lo faccia”. Laura si avvicinò a me, mi guardava con un sorriso dolce e le dissi “Anche io voglio che tu lo faccia, ma solo se siamo sicuri che la cosa non abbia conseguenze.

” “Non le avrà, ti amo ancora di più, amore mio. ”Andammo a dormire, l'indomani mattina a colazione pianificammo tutta la faccenda, le ragazze sarebbero andate al mare, cercando di farsi notare dai due ragazzi della sera prima, e li avrebbero invitati a passare nel primo pomeriggio. Io e Gianni saremmo usciti dal villaggio subito dopo pranzo e ci saremmo appostati sul promontorio, muniti di binocoli, nell'unico punto in cui era visibile il terrazzo sul retro del bungalow, luogo che era nascosto alla vista di qualunque altra parte del villaggio, e quindi ideale per il nostro scopo.

Avremmo visto tutto molto bene, ed eravamo pronti ad intervenire se qualcosa fosse andata male. Come previsto le ragazze in spiaggia, essendo da sole, vennero avvicinate dai due della sera prima. Fu Laura a lanciare l'amo “pomeriggio siamo da sole al bungalow 24, perché non venite dopo le 16,00 a farci compagnia?” Ovviamente i ragazzi (Paolo, romano, e Pierre, figlio di genitori senegalesi, ma nato e vissuto in Italia) non si fecero pregare. E si salutarono con un bacio sulla guancia.

Pranzammo tranquillamente, parlando di tutt'altro, eravamo tutti entrati nella parte e recitavamo per frenare la trance erotica che sentivamo ribollire dentro di noi. Dopo il caffè, alle 15 circa, io e Gianni prendemmo gli zaini e ci incamminammo verso il posto appartato che Gianni aveva notato qualche giorno prima. “Ci vediamo stasera” dissi a mia moglie, come se fosse un pomeriggio normale della nostra vita. Alle 16, puntuali, i due ragazzi si presentarono, dalla nostra postazione osservavamo tutto, si sedettero nel retro del bungalow, e si versarono da bere, chiacchierando.

Capimmo che le cose stavano cambiando quando Laura si sedette sulle ginocchia di Pierre e Alessia in braccio a Paolo. Pierre cominciò ad accarezzare i seni di mia moglie e le sbottonò la camicetta, con una mano le stringeva un seno e infilò l'altra dentro la gonna nera. Paolo, dopo aver abbassato il bordo del vestitino indossato da Alessia ed averle tirato fuori i seni, cominciò a baciarli e leccarli, cosa che fece subito anche Pierre con i seni di Laura.

Uno sconosciuto stava leccando i seni di mia moglie, ed io stavo guardando arrapatissimo. Sia Laura che Alessia si misero in piedi e i due ragazzi le spogliarono accarezzandole dolcemente, dopodiché una volta che erano rimaste con addosso solo le scarpe (ovviamente con i tacchi alti, su nostro suggerimento), le misero a sedere sul tavolo al centro della veranda e cominciarono entrambi a leccare le fighe, Paolo ad Alessia, e Pierre, il ragazzo di colore, a mia moglie Laura.

Alessia fece cenno quasi subito a Paolo di non leccarla più si spostò, gli abbassò i pantaloncini e prese il suo cazzo in bocca, succhiandolo con avidità. Continuarono così per un po' Alessia spompinava Paolo, il quale ogni tanto si chinava a baciare i seni di mia moglie, mentre Pierre le leccava la figa. Gianni osservava sorridendo e ogni tanto mi diceva, “tutto come avevo previsto e sperato, è una sensazione incredibile. ” Mi sorprese tirando fuori una macchina fotografica con uno zoom notevole, che ignoravo lui possedesse.

Cominciò a shittare foto su foto. Nel frattempo laggiù avevano cambiato. Laura adesso si era seduta e succhiava il cazzo di Pierre, mentre Paolo prendeva Alessia da dietro con molta forza e lei sembrava godersela tutta. Subito dopo Paolo la spostò e la piazzò, continuando a prenderla da dietro, proprio di fronte al cazzo di Pierre, adesso stavano leccando entrambe il membro, molto grande, del ragazzo di colore. Cambiavano continuamente, adesso Pierre prese mia moglie Laura, la rimise a sedere sul tavolo e cominciò a scoparla mentre lei aveva le gambe all'aria.

Dall'altra parte del tavolo Paolo continuava a prendere Alessia da dietro, tirando fuori ogni tanto il cazzo per metterlo in bocca a mia moglie, e per poi rimetterlo dentro la figa di Alessia. Dopo qualche minuto in questo modo, i due ragazzi si scambiarono un “cinque” e si spostarono. Pierre si piazzo davanti ad Alessia che comincio a spompinarlo e Paolo dopo aver accarezzato e baciato dolcemente la mia donna, cominciò a prenderla in varie posizioni, prima da dietro, poi si mise sopra di lei, intervallando ogni tanto con un ripasso nella bocca.

Anche Alessia adesso era totalmente in balia di Pierre, che la girava e la rigirava a suo piacimento. Non mi ero accorto che Gianni aveva cominciato a masturbarsi, per l'esattezza era già venuto e stava per riprendere, totalmente annebbiato e sconvolto dalle emozioni che lo stavano travolgendo. “Perchè non ti masturbi anche tu, cosa aspetti? Vuoi che le palle ti esplodano?” mi disse. Io non risposi, stavo scoppiando dalla voglia, ma, al tempo stesso, non volevo perdermi nemmeno un attimo dello spettacolo che si offriva alla mia vista.

Adesso le due donne erano piazzate l'una di fronte all'altra e si baciavano mentre i due uomini le prendevano da dietro, si baciavano e si leccavano i seni a turno, ma il meglio doveva ancora venire. Paolo si mise a sedere sulla sdraio e Alessia gli si mise di sopra, Pierre, dapprima rimase un po' a godersi la bocca di mia moglie, e poi si piazzo dietro Alessia, penetrandola nel culo e cominciando una doppia mozzafiato, Laura si masturbava, evidentemente molto eccitata nel vedere la sua amica scopata da due uomini contemporaneamente.

Mille pensieri mi passarono per la mente, Laura non mi aveva mai dato il suo culetto, e se adesso le fosse venuta voglia di una doppia penetrazione?Gianni continuava a masturbarsi, mormorando ogni tanto qualche frase a commento “brava…anche il culo, lo sapevo che ti sarebbe piaciuto…. ”, venne per la seconda volta, e riprese subito dopo, roba da matti. Il mio timore che anche Laura fosse sottoposta allo stesso trattamento di Alessia si calmò quando vedemmo che Pierre era giunto all'orgasmo e stava venendo sulla schiena di Alessia mentre Paolo continuava a sbatterla.

Quello che non avrei mai immaginato sarebbe stato che Laura cominciasse a leccare lo sperma dalla schiena della sua amica, e cominciò anche a leccare le palle di Paolo mentre lui scopava Alessia. Sembrava stesse quasi per venire quando si fermò, uscì da Alessia e la rigirò, piazzandola a schiena in giù, e mettendo mia moglie proprio sopra di lei. Si spostò e cominciò a scopare Laura da dietro con molta forza, mentre Pierre, il ragazzo di colore, guardava sorridendo, ormai esausto.

Dopo pochi colpi Paolo venne dentro mia moglie, la quale piazzò la figa sul viso di Alessia che cominciò a leccare lo sperma che le colava fuori. Rimasero così, esausti e compiaciuti per un po', finchè i due ragazzi cominciarono a rivestirsi e se ne andarono salutando le nostre donne con un bacio. Gianni, nel frattempo era venuto per la terza volta, chiudemmo gli zaini e tornammo al villaggio. La lezione Vanessa era una ragazza presuntuosetta che credeva di sapere tutto.

Con il suo modo di fare spiritoso e ironico cercava di coprire soltanto la sua arroganza. Una scrittrice con smanie di protagonismo, che lottava giornalmente per diventare popolare, ma benché usasse tutti i mezzi per arrivare alla ribalta, il successo non le arrivava. Per farlo, utilizzava diversi metodi a suo dire strategici. Persino quelli da manuale. Ogni tanto scriveva sul suo sito qualche perla di saggezza, con malcelate allusioni alla sua frustrazione sessuale. Ironizzava e derideva il genere maschile, incapace, a suo dire, di avere buoni approcci erotici con le donne.

Lorenzo era venuto in contatto con il suo sito, lo aveva sfogliato, letto e infine si era iscritto alla newsletter per restare aggiornato, non perché attratto dai racconti erotici che lei narrava. Da questi no, perché li riteneva banali, quasi mai eccitanti, simili e spesso ispirati a tanti altri pubblicati nei numerosi siti. Racconti di fantasia, dichiarava lei. Rimase colpito dalla necessità della ragazza di precisare, con molta foga, che la sua vita quotidiana non ha a che fare con ciò che narra.

Che lei non è una donna trasgressiva e non intende esserlo. Un messaggio che non passò inosservato a Lorenzo. La ragazza giocava a fare la maestra con il talento artistico della scrittrice. Ma lui aveva conosciuto troppe donne per non farsi sfuggire certe sfumature. La scrittrice, sottolineava troppo la sua estraneità a certi comportamenti sessuali. E poi lui era certo che la fantasia erotica è un desiderio represso. Lei si permetteva di giudicare tutto ciò che usciva dalle pareti domestiche della sua mente.

Tutto ciò che lei non conosceva era inquadrato come anormale, border line. I suoi limiti accentuavano la sua presunzione e la banalità di chi crede di guardare con sufficienza l’erotismo che va oltre la coppia. Lorenzo aveva ben capito che la donna non era sessualmente soddisfatta dal compagno. Mai un’emozione diversa, mai che lui traesse suggerimento dai racconti che lei gli faceva leggere speranzosa. Un rapporto noioso, che si concludeva con l’orgasmo senza emozione.

L’unico momento intenso arrivava quando a lei partiva la fantasia che la conduceva verso percorsi sconosciuti mentre il compagno stantuffava nel suo ventre acceso solo dall’immaginario. Era chiaro a Lorenzo che la donna si stava inacidendo e che cercava un manico come Dio comanda, non il solito trito e ritrito fallo fin troppo familiare. Ma per uscire da questa soffocante familiarità, ci vuole coraggio e lei non ne aveva. Temeva il suo stesso giudizio e componeva storielle erotiche utili ad eccitare se stessa e illudersi di dare una sferzata al partner.

Siccome Lorenzo sapeva – perché aveva letto che lei cercava visibilità, in quanto le poche visite al giorno al suo sito, erano frustranti e non ripagavano l’impegno profuso – che Vanessa avrebbe fatto di tutto per finire su un giornale di grande tiratura, che per farlo si inventava di tutto, compreso il fatto di mandare email ai suoi pochi iscritti, annunciando iniziative editoriali utili a darle pubblicità, si mise in contatto con lei, approfittando dell’incarico che rivestiva.

Si risolse a contattarla e nella sua prima email, si presentò:“Buongiorno Vanessa, sono Lorenzo, un giornalista free lance. Scrivo e pubblico articoli per i seguenti settimanali e mensili […] e collaboro alla trasmissione televisiva […]. Stiamo preparando un servizio sulla letteratura erotica, perché riscontriamo la continua nascita di siti web, che affollano la rete di racconti porno-erotici. Lei è fra questi. Oggetto di questo contatto è la richiesta di un’intervista, fatta presso i nostri studi, o dove lei preferisce.

”Eccitata Vanessa gli risponde esattamente come lui prevedeva. Si incontrano una prima volta, in un caffè. Un incontro preliminare per definire gli accordi. Lorenzo è affascinante, intrigante, con uno sguardo che sarebbe penetrante se solo la guardasse più a lungo, ma appare così disinteressato a lei, che mostra solo attenzione a quello che sarà oggetto dell’intervista. Vanessa è quasi stizzita, risentita, non vuole passare inosservata. Si era preparata sicura di fare colpo, curando ogni aspetto che potesse sedurlo.

Non conosceva il mondo e credeva bastassero queste attenzioni per affascinare un uomo. Definiscono il giorno e l’ora in cui avrà luogo l’intervista e Lorenzo si congeda da lei, senza troppa cordialità, con un distacco professionale ma disarmante. Vanessa torna a casa innervosita e quella sera scrive un racconto erotico più piccante, un pochino più originale del solito. Lui lo legge e sorride sornione. Il giorno successivo, comunica ai sui 30 lettori che prossimamente rilascerà un’intervista che sarà trasmessa nientepopodimeno che sulla tv privata pincopallino.

Contava i giorni che la separavano da quell’incontro cosi importante per lei. Lo diceva a tutti. Ma il pensiero andava all’affascinante e tenebroso, e un po’ troppo glaciale giornalista. Caspita, pensava, possibile che non mi abbia notata? Sarà mica gay? O uno che vive ai margini della normalità? Come è possibile che non abbia ammiccato. Irritata da questa circostanza, non faceva che pensare a lui e meditava un’altra strategia seduttiva. Così, solo per il gusto di farsi corteggiare, perché non sia mai che una bella ragazza venga ignorata per la sua beltà.

Mica voleva andarci a letto: voleva soltanto fare breccia su di lui. E quando lui la chiamò per spostare l’appuntamento, le scesero le lacrime. Si stava caricando un po’ troppo. Lui era entrato nelle sue fantasie erotiche. Mentre faceva l’amore con il compagno, vedeva lui, Lorenzo, cosi come a lei piaceva vederlo e come a lei sarebbe piaciuto essere presa. Ancora qualche contatto e finalmente, il grande giorno. Lei si presentò con una gonna corta da cui lui avrebbe potuto intravedere, se solo lei avesse accavallato le gambe, il bordo delle autoreggenti.

Una camicia di seta tatticamente aperta sul decolté, tacco alto, unghie smaltate di fresco. Lo raggiunse, e lui le sorrise con più cordialità della volta precedente. “Ce l’ho fatta, stavolta sbaverà guardandomi” pensò lei. L’intervista si protraeva. Era iniziata alle sette di sera, e ad un certo punto lui, sorprendendola, le propose una pausa cena:“ordiniamo qualcosa? C’è un ottimo servizio catering qui vicino. Una sorta di spuntino e poi riprendiamo. Dimmi…”Lei spalancò un sorriso, anche perché a pranzo non aveva avuto tempo di mangiare, presa dalla frenesia della preparazione.

Lui si allontanò, scusandosi, pochi minuti. Giusto il tempo di mandare un’email e sarebbe rientrato. Poco dopo lui rientrò, ed estrasse dal frigo bar, una bottiglia di prosecco, che versò nei flut come aperitivo. Ma l’espressione rimaneva sempre poco calorosa, cordiale sì, ma niente che rassicurasse Vanessa. La sua inquietudine era ormai mal celata: non accettava di passare inosservata. Arrivò la cena, consumarono il pasto conversando, ma a parlare era sempre lei, in modo quasi logorroico.

Lui l’ascoltava attento, a volte agrottando le ciglia, altre con un accennato sorriso sornione. Ma quanto era affascinante, era un gran bell’uomo, vestito proprio come a lei piace. E come muove bene le sue mani, e quegli occhi, quella bocca. Lei ripensava alle volte che aveva fantasticato su di lui, anche mentre stava con il suo ragazzo. A come tradiva l’ignaro compagno, con il pensiero. E si chiedeva, mentre pasteggiava, cosa avrebbe fatto se solo lui ci avesse provato… Di certo gli avrebbe detto: “ehi, ma per chi mi hai presa? Che ti credi, che sol perché scrivo racconti erotici sono una pornostar? Io non ho mai fatto niente di diverso dal normale.

”Ma cos’è normale? Anche questa certezza si stava appannando. Non è che il suo concetto di normalità altro non fosse che un desiderio di provare sensazioni nuove?Lui le porse un altro calice di prosecco, e nel farlo la sfiorò. Il viso di lei si avvampò, un fremito la scosse e inavvertitamente rovesciò lo spumante sulla camicia di lui. Era imbarazzata, mortificata, non le era mai successo. Accidenti che figuraccia, macchiargli cosi la camicia. Oltretutto gli aveva mostrato d’essere fortemente emozionata.

Lui aveva cambiato espressione: “cos’hai fatto?” chiese con voce ferma. “Scusami, non so come sia successo. Sono stata sbadata. Cosa…”“Taci”Silenzio, lei smarrita e sorpresa da tale reazione, balbettava scuse. “Taci!”Silenzio, lunghi minuti di silenzio sembravano un’eternità. Lei tremante attendeva. “Sei stata sbadata, non sono contento di ciò. Mi hai deluso, dovrò punirti per questo”. Lei attonita ascoltava incapace di reagire. Lorenzo la girò di colpo tenendola per un braccio. Lei si trovò china sul tavolo a 45° e da quella posizione, la gonna non copriva più il bordo delle autoreggenti.

Non vedeva, sentiva rumori che non distingueva. Finché sentì sollevarsi la gonna e si sentì tramortire da una sferzata. Un colpo secco la fece sussultare e gridare. Un grido che non riuscì a soffocare. Lui si era sfilato la cinghia del pantalone e dopo aver saggiato la reazione di lei, le disse …“una sferzata per ogni tua cazzata. Contale a voce alta. ”Le gambe di lei tremavano, ma non reagiva. “Conta!” – ordina lui.

“Una…”“questa perché sei stata sbadata”“due…”“questa per la tua arroganza”“tre…” Il dolore alle natiche era squarciante, sembrava intollerabile. “questa per la tua presunzione”“quattro…”“questa perché sei convinta di poter giudicare tutti e tutto”“cinque…”…“sette…”Il dolore della sferzata era ammortizzato da uno strano e nuovo piacere. Alla decima, la ragazza si rese conto di grondare piacere. Di desiderare pazzamente di essere presa nel modo più selvaggio possibile, voleva essere profanata e quelle sferzate cominciavano a darle godimento. “dodici”La voce tremante ed eccitata, invocava altre scudisciate.

Dio come la eccitavano. I suoi gemiti erano ora di piacere immenso. “diciotto…”“questa perché devi capire che il mondo fuori dal tuo minuscolo spazio, è immenso e pieno di sfaccettature, di persone normali, che non hanno nulla di cui vergognarsi al tuo cospetto. ”“diciannove”“questa per la tua mediocrità”“venti”“questa per il mio piacere. ”Fece cadere la cinta per terra, la penetrò con le dita sapendo di trovare un lago di piacere. Lei cedette sulle sue gambe.

Non aspettava altro e godette come mai aveva goduto. Genuflessa sul suo piacere, vide quel fiero cazzo che aspettava d’essere omaggiato e riverito a puntino. Lo leccò come si conviene ad una sprovveduta che tutto deve al suo signore incontrastato. Lo servì a dovere, mentre lui fermo e fiero osservava. Lo succhiò con devozione e amore, mentre ancora gocciolava; il suo desiderio era ormai smania. E mentre aspettava di dissetarsene. Lui la interruppe, lasciandola sgomenta.

La girò nuovamente e la sodomizzò con forza, lei urlò ma quasi svenne venendo. La lezione che lei imparò quella sera è che la normalità è un concetto soggettivo, che le persone – quelle persone che lei considerava ai margini – hanno una vita sociale uguale a tanti altri, non sono rintracciabili indizi tali da far presupporre una anormalità sessuale. Che l’anormalità sessuale in realtà non esiste, è solo un percorso diverso, un’indagine dentro di noi, che ci conduce infine a realizzare le nostre fantasie, avendone coraggio.

Che tutto ciò in cui lei credeva, era caduto perché quell’uomo di successo, affascinante, piacente, attraente, non denotava devianze e perversioni. Infatti, non era un perverso. La lezione che lui le impartì era proprio questa: “abbassa i toni saccenti, bimba e impara a conoscere prima di giudicare. Perché non sei nessuno e non puoi ergerti a giudice supremo. Ora sai qualcosa in più. ”Lei accettò di incontrarlo di nuovo, era eccitata al solo pensiero di come grondava piacere quella sera.

Lo voleva ancora e cosi fu. Il gioco di GiadaEntrava verso le cinque, vestita bene ma senza quella pettinatura curata in modo maniacale che caratterizzava le altre ragazze della città. Sedeva sola, con un libro e un piccolo calice di vino rosso rubino, intonato alle sue unghie, velate di smalto. Studiava per un’oretta, poi leggeva qualcosa. A volte veniva con due amiche e allora si mettevano sul divanetto di paglia a chiacchierare e prendere il caffè.

Lei restava taciturna, di solito impegnata a sfogliare un libro e beveva il suo vino. Trovo il coraggio di rivolgerle la parola allo sparire delle calze pesanti e degli stivali di pelle. Mi rendo conto che presto preferirà un gelato in riva al mare piuttosto che una libreria al chiuso in un quartiere bellissimo ma afoso. Indossa un fresco abito di cotone bianco e verde che cade svolazzante su due gambe allenate e lisce.

In alto incornicia due colline splendide e accattivanti, che non descriverò per non rivelare gli aspetti più bassi e umani della mia personalità. Sta studiando un alto pacco di fogli in inglese, sola con un alto vocabolario blu che senz’altro l’aveva fatta imprecare lungo la camminata a piedi che probabilmente aveva fatto per raggiungere il locale letterario. Quel posto era aperto da circa un anno ed era molto in voga tra gli amanti dei libri e tra chi vuole fingersi tale.

Lei di sicuro ama i libri per davvero, anche perché non l’ho mai vista a perdere tempo in altri modi. Da diversi mesi mi capita di trascorrere la domenica pomeriggio con gli amici in quel caffè, aspettando la sera con l’immancabile partita a calcetto. Dopo qualche settimana mi sono accorto che avrei tanto voluto portarmi quella ragazza a cena in un bel ristorante, invece di insistere con il calcio, benché fossi palesemente negato per lo sport.

Avevo la sensazione che quella ragazza non fosse da portare in un pub a mangiare un panino e nemmeno in una comune pizzeria. Penso che il fortunato che avrà l’onore di portare una come lei a cena debba almeno cercare un ristorante con vista sul fiume e menù a base di pesce fresco, senza risparmiare sul vino naturalmente. Mi ero sorpreso a pensarla molte volte, sempre più spesso man mano che i mesi trascorrevano e sempre più anche in contesti diversi dall’unico in cui la vedevo.

Mi ero scoraggiato una domenica in cui era entrata in compagnia di un altissimo ragazzo biondo, disinvolto e rumoroso, di quelli che cercano di far colpo con le loro battute a tutti i costi. Il problema era che a dispetto del mio odio per lui, invidia se vogliamo essere precisi, non si poteva certo dire che fosse un gradasso. Piuttosto uno dei tanti ragazzoni che per sconfiggere la timidezza necessitano di fare un po’ di rumore.

Tra l’altro era davvero simpatico a giudicare dalle risate di lei che per una volta non stette tutto il tempo a leggere. Durante i successivi sette giorni, pensai molto a quell’episodio convinto di aver sbagliato ad aspettare così a lungo senza farmi avanti, con la mia stupida convinzione che tutte le cose debbano essere meritate e desiderate a lungo. Facevo sempre così, non solo con le donne. Un anno a desiderare un bel computer portatile, tre a cercare un monolocale tutto per me, due anni a provare le migliori macchine usate prima di comprare quella giusta.

Alle superiori puntavo una ragazza, la osservavo a lungo cercando di cogliere ogni sfumatura del suo carattere, di capirne gli interessi, non solo per raggiungere la sicurezza di essermi soffermato su quella giusta, ma anche per pregustare una relazione, immaginare cosa avremmo potuto fare insieme e come sarebbe stato. Ci voleva un bello sforzo di pazienza, ma l’impegno dava i suoi frutti quando l’approccio avveniva sul serio e lei diceva: “Ho la sensazione che tu mi capisca, che sappia molte più cose di me di quelle che ti ho detto!”.

Vedere il proprio desiderio che si realizza, momenti felici che si rivelano ancora più belli di quelli sognati ad occhi aperti, dà una grossa soddisfazione. Faccio ancora così, a costo di perdere occasioni importanti e fregandomene del “Carpe diem” che Robin Williams insegna ai suoi allievi ne “L’attimo fuggente”. Quella settimana mi maledissi nelle tre lingue che conosco per questa mia maledetta fissa della pazienza. Avevo aspettato troppo e lei si era trovata un bel biondo che pareva uscito dal telefilm Orange County.

La successiva domenica andai lo stesso in libreria e lei era da sola. Il mio cervello rimuginò che se in tre ore non le era mai squillato il telefonino allora magari quello era un suo amico, in fondo non si erano scambiati effusioni, nonostante che, data la vicinanza dei posti a sedere, fossero del tutto legittimati a farlo. Infatti non lo vidi mai più e la mia fiducia nella tecnica dell’approccio ponderato rimase intaccata.

Il quindici giugno raccolgo coraggio e faccia tosta per sedermi faccia a faccia con lei, porgendole un bel bicchiere di birra fredda. “Con questo caldo è meglio del vino, no?”. Due occhi dal colore indescrivibile mi osservano incuriositi. “Sono sicura di non conoscerti. ” dice e finalmente la sento parlare rivolta a me. Ha un tono delicato, pieno di educazione ma anche piuttosto sensuale. “Rimedio subito. Sono Fabio, ho ventidue anni e ti vedo tutte le domeniche qui seduta a studiare.

Ho visto che c’è questo posto libero al tuo tavolino e ho pensato di offrirti da bere per compensare il disturbo!”. Uao! Un discorso spigliato e poco invadente, fila liscio come l’olio. “Sei gentile, Fabio. ” Mi piace il modo in cui pronuncia il mio nome, calcando un po’ sulla bi. “Tu come ti chiami?”“Giada. Mi piace molto questa birra, hai scelto bene. ” Sorride ed è bella, Giada. Si rimette a leggere il suo libro e dopo un po’ è lei a far cominciare la conversazione, contenta di aver qualcuno con cui fare due chiacchiere:“Studi all’università?”“Sì.

Sono iscritto a ingegneria e la domenica vengo qui a fare gli esercizi con i miei amici, almeno non mi ammazzo di noia a casa. ”“Capisco. A me non piacciono le materie scientifiche. Le aborro proprio, ti giuro! Ci sono troppe regole fisse e non fanno per me!” sorride con un pizzico di malizia. “Sai nemmeno a me piacciono le regole imposte, dico nella vita. Però apprezzo l’ordine e mi affascina la logica. Vedere come le cose possono tornare a volte mi carica di adrenalina.

”“Adrenalina?- ride divertita- Al massimo posso abbinare la paura alla matematica e altre brutte sensazioni ma di certo non mi elettrizza. Del resto voi uomini sbavate alla vista di un motore, quindi non mi stupisco nemmeno di questo!” prosegue, sempre ridacchiando della mia uscita, forse un tantino esagerata. “Sentiamo un po’. Invece cosa studia di tanto affascinante la signorina?”“Lettere. ” In effetti è proprio il tipo di studi che si addice a chi ha sempre un libro sotto gli occhi.

“Emozionante! Sul serio, roba da saltare sulla sedia tutti i giorni! Spero tu non soffra di cuore!”“Molto spiritoso! Comunque tutte e due non abbiamo scelto una strada facile. Due facoltà impegnative e che non danno accesso a un lavoro sicuro. ”“Stiamo inseguendo le nostre passioni e non avremo mai rimpianti. Lo trovo molto coraggioso da parte nostra. ”“Certi interessi non ti lasciano via di scampo. Devi seguirli, ovunque ti portino, aldilà delle scelte facili e convenienti come seguire le attività di famiglia.

Non mi importa di dover percorrere una strada lunga e tutta in salita con una pendenza allucinante. Sarà più bello realizzare un sogno. I miei risultati devono essere sudati e desiderati a lungo. La penso così per tutte le cose, anche per i rapporti umani. ”Sono esterrefatto. Questa bellissima dea della letteratura vive esattamente come me. Abbiamo la stessa filosofia. La guardo a bocca semiaperta, col cuore inondato da un piacevole calore, come se mi fossi scolato mezzo bicchiere di whisky.

“Sai Giada, la penso anche io come te. Voglio un posto di lavoro meritato con studio e determinazione dopo essermi fatto le ossa. Una famiglia costruita negli anni con amore e costanza. Anche per le amicizie vale lo stesso principio. Mi serve molto tempo per fidarmi di una persona. Faccio così anche per le ragazze. Ci metto molto prima di farmi avanti. Prima devo capire molte cose. ” Sto per sbottonarmi forse un po’ in anticipo rispetto ai programmi, smentendo all’istante le mie stesse parole.

Le squilla il telefonino così mi blocco prima che la mia lingua rovini tutta la mia strategia. Giada parla qualche minuto con la madre. Devono avere un bel rapporto a giudicare dalla spontaneità con cui le racconta la sua giornata. Addirittura le dice che è seduta a chiaccherare con un ragazzo di nome Fabio. Mi definisce simpatico, anche se un po’ fissato con la matematica. Sono contento che abbia parlato di me. Vuol dire che è contenta della mia presenza, non le sono indefferente e non mi trova fastidioso.

Parliamo un po’ del suo rapporto con i genitori. Dice che da quando abita da sola per l’univesità si parlano molto più volentieri e vedersi è sempre cosa gradita. “Mia madre mi prepara sempre dei dolci deliziosi quando vado a casa!” Mi racconta, rivelando tutta la sua semplicità. “A proposito di cose buone da mangiare, sono le otto passate. Perchè non andiamo a mangiare qualcosa? Ti porto in un bel posto!”“Da soli? Ci conosciamo da un’ora!”“Ti piacciono i ravioli al tartufo?”“Aspettami fuori, vado in bagno prima!”.

Da non crederci! Ha accettato! Le ho chiesto di cenare sola con me e lei ha detto di sì! Passi che l’ha fatto per amore del tartufo e che dovrò offrirle il piatto più costoso del ristorante, cenerò con la ragazza che osservo da sette mesi!Una gioia indescrivibile mi invade mentre l’aspetto sul marciapiede, scosso dall’improvvisa paura che Giada stia scappando dalla finestra del bagno. Dopo un paio di minuti mi appare davanti, con le labbra luccicanti e un bel sorriso.

“Allora dove si mangiano questi ravioli?”“Seguimi e vedrai!”La porto in un ristorante tra i miei preferiti, con vista sul fiume e i tavolini all’aperto. Mangiamo da Dio e il vino che scelgo costa davvero tanto ma ne vale la pena perchè è buonissimo e lei lo apprezza. Mi parla della sua passione per i vini e per il bere in generale. La prendo un po’ in giro. Si sta creando una bella intesa e ci è voluto così poco!Dopo il dolce, una delicata e deliziosa mousse di ricotta, ci avviamo a fare una passaggiata nel centro storico.

Le sere d’estate a Firenze ti cullano l’anima, specie se hai bevuto quanto basta per avere la sensazione di galleggiare. Intorno a te le luci e i colori sfumati dell’arte. Il profumo delle pasticcerie e dei ristoranti, il piacere di vedere tante persone anziane fuori la sera a farsi una camminata. Sorridono ai giovani che ricordano il loro passato. Un signore dai grandi baffi scuri ci guarda gioioso. Sono sicuro che gli sono venute in mente le passeggiate con la sua morosa, tanti anni fa negli anni più belli della sua vita.

Giada adora Firenze. Spera di poter vivere a lungo qui, perchè se si sente un po’ giù le basta venire in centro, vedere piazza della Signoria e riempirsi gli occhi di bellezza per stare meglio. Ci fermiamo sul ponte vecchio, insieme a qualche turista incantato da quella visione incredibile. Se colpisce ogni volta che la vedo perfino me che da oltre vent’anni abito qui, non posso immaginare cosa provi uno straniero che non ha mai visto nulla del genere.

Stasera però ho occhi solo per Giada. Sto benissimo con lei, rido e parlo con piacere di qualunque cosa. Mi giro a guardare lei che si gode l’Arno maleodorante ma pur sempre uno specchio naturale che ogni giorno ha l’onore di riflettere i monumenti più belli del mondo. Il mio viso fa tutto da solo e le si avvicina per baciarla. Come nei peggiori incubi reali e vissuti da tutti gi uomini, lei sposta la testa quel tanto che basta per mandare a vuoto il tentato bacio e lasciarti lì a fare la figura del vero cretino che ha frainteso tutto e mandato solennemente a puttane una serata perfetta.

“Scusa. L’incanto del momento mi ha fatto andare un po’ oltre. ”“Mi dispiace Fabio, mi sto divertendo con te, ti trovo davvero molto simpatico ma non me la sento di cominciare una relazione. ”“Se non ti piaccio devi solo dirlo, non occorre tirare fuori scuse vecchie come Matusalemme!”“Ti giuro che non è una scusa, Fabio. I soli rapporti felici tra uomo e donna che conosco li ho letti in qualche libro, anche se a dire il vero la letteratura ha confermato l’idea che mi sono fatta per conto mio dell’amore.

Certe volte è come un virus che contraiamo e ci rovina piano piano, ma può essere tenuto a distanza. ”“Vorresti dirmi che una bella ragazza di vent’anni come te, sognatrice, sensibile e allegra è già così inacidita dalla vita da sfuggire dall’amore?Questo è ridicolo!”Lei mi guarda con un espressione diversa da tutte quelle che le ho visto dipinte sul volto. Sembra triste e anche offesa, con gli occhi aggressivi. “Le mie scelte le faccio da sola e tu non sei nessuno per giudicarle.

”La serata è seriamente compromessa. Difficile riprendere la conversazione una volta giunti a questo punto. “Ti accompagno a casa, se vuoi. ” Concludo, non sapendo cos’altro dire. “Preferisco tornare col l’autobus, la fermata è vicina. ”Lapidaria. Ci salutiamo senza che riesca a chiederle il numero. Resto solo, con un bel ricordo, inquinato da quel momento orribile che potevo risparmiarmi. Camilla, una delle mie più care amiche mi ha ripetuto tante volte che la cosa peggiore che può fare un uomo durante un appuntamento è baciare una ragazza.

Difficile che un ragazzo sia in grado di interpretare i comportamenti altrui, quindi non può sapere se lei gradirà e la serata decollerà o se si esibirà in un bel rifiuto con tanto di scuse. Il due di picche è imbarazzante per chi lo riceve e spiacevole per lei che deve metterlo in tavola. Avrei dovuto ricordarmi le sue parole invece che rivivere quest’idillio. Maledizione, che sfigato sono! Adesso devo pure sorbirmi le telefonate degli amici che hanno terminato la partita e vogliono sapere se ho concluso.

Meglio prendersi una birra per sopportare meglio il momento. Luglio, caldo insostenibile mescolato con esami tremendi, di quelli che rimandi per tutto l’anno sperando nell’abolizione del corso o in qualche altro miracolo e alla fine devi dare in piena estate col cervello fuso e i genitori in ferie al mare. In teoria questa è una fortuna perché ho la casa a disposizione, ma dato che non ho nessuno da invitarci vuole solo dire che devo lavarmi i vestiti e cucinare.

Senza contare la solitudine, mal compensata dalle telefonate da Forte dei Marmi, dove la famiglia se la spassa alle mie spalle. Ogni giorno mi maledico per non aver studiato di più quando la biblioteca assomigliava ad un riparo dalle intemperie più che il forno dove il diavolo tortura le anime peccatrici. L’unico posto dove godersi un po’ di refrigerio è il supermercato, peccato non poterci studiare. Giada non l’ho più vista, da quella sera ha evitato il locale eppure so che non è partita, stando a quello che mi ha detto durante il nostro unico appuntamento.

La certezza di aver rovinato tutto con le mie mani anzi con le mie labbra, mi fa sentire ancora più accaldato. Settembre. Reduce dagli esami più sofferti della storia e da un mese e mezzo a badare alla marmocchia di mia sorella Arianna, torno alla vita da studente in sede, fatta di lezioni, biblioteche, litigi con i genitori e nottate interminabili a far baldoria festeggiando nessuno sa bene per quale motivo. Resisto un paio di settimane, poi guardo gli orari del terzo anno di lettere e comincio a piazzarmi in bella vista nella facoltà in pieno centro, in Piazza Brunelleschi, col suo popolo di studenti che riflettono il tipico stereotipo dello studente universitario.

Un proliferare di barbe lunghe e capelli incolti, cappelli giamaicani e pantaloni a bracaloni. Tutto condito da canne e lattine di birra già di prima mattina. L’odore d’erba è inconfondibile e sono sicuro che Giada sia un pesce fuori dall’acqua in questo ambiente fumoso e soporifero, dove ogni scusa è buona per attaccare il sistema. La vedo da lontano, sola con una pila di libri frutto di una bella ricerca in biblioteca a giudicare dall’aspetto logoro delle costole.

Com’è abbronzata! Deve essersi fatta dei bei fine settimana al mare. Avremmo potuto goderceli insieme, ma lei mi è sfuggita. Non posso arrendermi se davvero desidero una possibilità con lei. Bisogna lottare, sopportando gli schizzi di fango sulla faccia. “Che ci fai qui?”. Salto per la paura, non mi sono accorto di averla tanto vicina. “Ciao Giada. Aspetto un amico. Come stai?”“Bene, grazie. Così hai un amico a lettere?”“Sì”. Devo mentire. Tra l’altro ho amici sparsi per tutte le facoltà ma nessuno a lettere.

“Ho un po’ di tempo, lo aspetto con te. ”“Potrebbe metterci tanto, sono in anticipo e lui è a lezione. ”“Non importa, tanto ho da studiare e qui c’è un bel fresco. ”Prende il primo libro della pila e comincia a leggere. Forse non sta leggendo davvero e il libro l’ha preso a caso, comunque questa farsa va avanti più di un’ora. “Bene, caro Fabio penso che ora tu possa anche ammettere di aver inventato la storia dell’amico, anche perché le uniche lezioni già iniziate sono del mio anno e guarda caso, siamo tutte donne.

Che ci fai a lettere?”Arrossisco, sbugiardato alla grande e mi gioco il gobbo di briscola. “D’accordo. Ti stavo aspettando. Mi bastava vederti. Ti ho pensato tutta l’estate, ho visto il tuo volto in mille visi del tutto diversi dal tuo e sperato di incontrarti nei luoghi più improbabili. Ho cercato di resistere ma non posso farci nulla. Ho sofferto tanto per il caldo quest’estate e avevo bisogno di un po’ di aria fresca. Con te accanto mi sento di nuovo bene.

”“Perché non ti metti a scrivere poesie con tutto questo miele? Sarebbe più produttivo e più onesto che usarlo per raccontarmi cazzate. ”“Hai ragione, non dev’essere facile credere a un semi sconosciuto che viene qui a farti la dichiarazione. Dev’essere addirittura impossibile visti i maltrattamenti che avrai subito in passato. Non sono venuto per importunarti. Ho passato un periodo bellissimo l’anno scorso. Tutte le domeniche vedevo una ragazza splendida chiusa nel suo amore per i libri, semplice e sorridente.

Illuminava la mia vita, mi rendeva leggero e felice. Vivevo nella speranza che lei si accorgesse di me e nel frattempo immaginavo i suoi gusti, le sue giornate e le espressioni del suo bellissimo viso. Poi un giorno sono riuscito a parlarle. Ho fatto di più e l’ho invitata a cena, come sognavo da mesi. Poi sono andato oltre, ho ceduto all’impulso non ho tenuto a freno la brama di vivere il momento più bello che posso immaginare e ho distrutto ogni cosa.

Per giunta l’ho offesa, non ho avuto rispetto delle sue idee e mi sono meritato la fine di quello splendido inizio. Spero tu non te la prenda a male se ho bisogno di riempirmi gli occhi di te ogni tanto, come fai tu con Palazzo Vecchio. Se poi un giorno mi vorrai dare una carta diversa dal due di picche, il mio numero è scritto qui sopra. Ciao piccola, buono studio e buon tutto.

Scusa ancora. ”Le ho infilato un due di picche nel libro di storia, con sopra il mio numero scritto con l’Uniposca viola. Ottobre. Sono passati undici giorni dal mio incontro con Giada e mi sento meglio, perché il mio l’ho fatto. Vado in facoltà alle nove di mattina per una spassosa giornata, fatta di sette ore di lezione. Lascio il motorino davanti ai cancelli ed entro nel regno del tedio quasi eterno. Alle sei ne vengo fuori, stupito dall’essere sopravvissuto alla noia.

Monto in sella. C’è qualcosa attaccato al fanale con un pezzettino di scotch. Incredibile. Una carta. Una donna di cuori. Sul retro una scritta:nessun uomo può sfuggire all’amore, ergo anche nessuna donna. ChiAMAMI. Sotto c’era il suo numero di telefono. A volte basta continuare a giocare.

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