Piccolo Uomo (1)

(RACCONTO GIA' PUBBLICATO SU ALTRI SITI)
Nell’estate del 1972 iniziai a scoprire il sesso.
Avevo passato gli esami di quinta elementare ricevendo un “ottimo” come votazione, i miei mi regalarono una bella bicicletta che fu la mia più stretta compagna di giochi per tutta l’estate, soprattutto durante le quattro settimane passate al mare sul litorale romano nella casetta dei nonni paterni, che regolarmente ce la lasciavano occupare durante il mese d’Agosto.
Se non ero in spiaggia o al bar, ero invariabilmente in giro con la mia bici; non avevo legato molto con altri bambini, così preferivo assaporare quella sensazione di libertà e d’indipendenza che essa riusciva a darmi.

Al bar ci andavo soprattutto nel primo pomeriggio, in attesa che si facesse di nuovo l’ora per fare il bagno, quando in qualche modo sfuggivo al consueto riposino pomeridiano.
C’era un juke-box quasi costantemente in funzione che era per me un’irresistibile attrazione, visto che fin da piccolo ho avuto una grande passione per la musica. Ricordo in particolare due canzoni che venivano suonate spesso e che mi piacevano più di tutte le altre: “Quanto è bella lei” di Gianni Nazzaro e “Piccolo uomo” di Mia Martini.

Di entrambe non capivo bene il significato del testo però la prima mi piaceva perché parlava della mamma e la seconda perché era una delle preferite di mia madre, tanto che in quei giorni mi dava spesso quell’appellativo quando per esempio mi chiedeva: “Dov’è stato fino ad ora il mio ‘piccolo uomo’?”, oppure quando presentandomi a qualcuno diceva: “…e lui è Gianni, il mio ‘piccolo uomo’…”.
Oltre ad ascoltare la musica però, quell’estate c’era un'altra cosa che mi spingeva ad andare al bar: mi piaceva osservare gli adulti o i giovanotti che stavano lì seduti, oppure che ballavano in prossimità del juke-box e immaginavo come sarei diventato io tra un po’ di anni.

La mia attenzione si concentrava soprattutto sui loro costumi o meglio, sulla protuberanza che avevano davanti in mezzo alle gambe, evidenziata dal modello slip che portavano quasi tutti. Notavo che alcuni rigonfiamenti erano più grandi, altri meno e mi domandavo come mai quando mi guardavo tra le gambe io ero quasi piatto.
C’era poi un confronto che non mi era facile fare, quello con mio padre, perché lui indossava un costume modello boxer e così la protuberanza si poteva intravedere brevemente solo quando gli si stampava addosso appena uscito dall’acqua, prima che si coprisse con l’asciugamano o che si buttasse a pancia in giù disteso sulla sabbia (probabilmente mai a pancia in su proprio per un senso di pudore).

Naturalmente cresceva ogni giorno di più la curiosità di sapere cosa c’era sotto a quei costumi, cosa fosse a determinare quella protuberanza che io non avevo (come
del resto gli altri bambini o le femmine) e che evidentemente era prerogativa dei più grandi.
La mia curiosità fu finalmente soddisfatta quando casualmente riuscii a vedere il pisello di mio padre.
Accadde subito dopo pranzo, quando andai con papà a fare il riposino pomeridiano, dopo essere stati ospiti di Ermanno e Adriana, una coppia di giovani sposi con cui i miei avevano fatto amicizia, che abitavano nella casetta vicino alla nostra.

Mamma rimase da loro per dare una mano a riordinare e pulire, poi ci avrebbero aspettato in spiaggia.
Appena entrammo in camera andai subito a distendermi sul mio lettino posto in un angolo della stessa stanza dove c’era anche il letto matrimoniale. Nonostante rendesse tutti gli spazi più angusti, i miei già dall’anno prima avevano deciso che ormai ero troppo grande per dormire in mezzo a loro due nel lettone, però credo che in realtà la loro scelta era dettata più che altro dalla possibilità di fare l’amore le volte che ne avessero avuto voglia, ovviamente dopo essersi assicurati che io dormissi ed evitando rumori che mi potessero svegliare.

Una notte ne fui involontariamente testimone, benché non capii affatto quello che stessero facendo; due anni più tardi invece mi gustai tutta la scena a loro insaputa.
Nonostante quell’anno mio fratello Stefano non fosse insieme a noi perché se n’era andato in campeggio col suo amico Lorenzo, i genitori di lui ed un paio di altri amici, i miei non mi fecero dormire nel divano letto in cui di solito dormiva lui quando era presente e che si trovava nella stanza adibita anche a cucina, evitando così di spostare ogni volta tavolo e sedie per creare lo spazio necessario ad aprirlo.

Quel pomeriggio mio padre non volle che dormissi sul mio lettino come accadeva normalmente le volte che anche mamma faceva insieme a noi la fatidica “pennichella” pomeridiana, disse: «No, è inutile che guastiamo due letti, vieni a dormire di fianco a me» e così feci, spostandomi subito sul lettone per andare ad occupare il posto dove dormiva sempre mia madre.
Lui non tardò molto ad assopirsi, io invece come al solito non avevo alcuna voglia di dormire ma ormai avevo smesso di protestare o fare i capricci e mi ero rassegnato ad accettare questa per me odiosa costrizione.

Visto il mio nuovo particolare interesse per le figure maschili, approfittando della sua vicinanza cominciai ad osservare con attenzione il corpo di papà, dapprima era appoggiato su un fianco e mi dava le spalle, poi dopo un po’ si distese sulla schiena in posizione supina ma quasi subito iniziò a russare.
Aveva 42 anni allora, alto 1 metro e 80, carnagione olivastra ma non troppo scura, un incipiente calvizie aveva risparmiato solo i capelli color castano che circondavano lateralmente il cranio; non troppo peloso, dietro aveva una leggera peluria che partiva dal centro della zona lombare e scendeva allargandosi a triangolo ricoprendo tutti i glutei e poi tutte le gambe; davanti una spruzzatina di peli sui pettorali e poi una stretta fila centrale che scendeva a partire dallo sterno per allargarsi subito dopo l’ombelico; nonostante uno stomaco un po’ sporgente e qualche chilo di troppo, poteva vantare un fisico ancora abbastanza tonico.

Come d’abitudine anche quella volta indossava il suo costume-boxer di qualche misura più grande del dovuto, per far sì che l’elastico che lo stringeva all’altezza dell’insorgente pancetta non gli desse fastidio.
Purtroppo questo faceva sì che proprio in corrispondenza del pube la stoffa creasse una specie di effetto “tenda” che rendeva impossibile anche solo immaginare cosa poteva esserci sotto.
Dopo un po’ che ero tutto preso e affascinato dall’ammirare il corpo di papà, i suoi pettorali, la sua peluria, le sue gambe muscolose, le sue notevoli fette e prima ancora la sua larga e robusta schiena, sentii il bisogno di andare a far pipì, così scesi dal letto lentamente e andai in bagno.

Stranamente non ne feci tanta, rispetto allo stimolo che sembrava fosse più impellente, credo che lo stimolo che sentivo fosse di diversa natura.
Tornai in camera facendo sempre attenzione a non far rumore per non svegliare papà che dormiva dalla parte più vicina alla porta, quindi dovevo girare intorno al letto per raggiungere il mio posto ma così facendo mi bloccai all’istante quando guardando lui mi accorsi che avendo divaricato le gambe, la larga sgambatura del boxer lasciava intravedere il suo pisello.

Non avrei mai potuto sperare in tanta fortuna, così dopo qualche secondo di stupore e sorpresa decisi di avvicinarmi per guardarlo più da vicino e mi andai a posizionare in piedi al suo fianco all’altezza del bacino.
Nonostante la fitta peluria tutt’intorno, riuscivo a distinguere bene quella specie di salsiccetta che mio padre aveva in mezzo alle cosce muscolose.
Non riuscivo a staccare lo sguardo anche se cominciavo a rendermi conto che forse non sarebbe stato bello se svegliandosi improvvisamente mi avesse trovato lì in piedi che lo guardavo.

Però a maggior ragione non riuscii a tornarmene sul letto quando dopo un po’ che stavo lì mi accorsi che il suo pisellino si andava ingrossando sempre di più fino a lasciare intravedere la punta della cappella dall’apertura del prepuzio; mi stupii un bel po’ quando improvvisamente vidi uscire una goccia dal piccolo buchetto al centro.
Avevo una voglia irrefrenabile di toccarlo, di accarezzarlo, sembrava avere una vita propria, quasi che fosse uno strano a****letto.

Mio padre continuava a russare, segno evidente di un sonno profondo, perciò ad un certo punto riuscii a trovare il coraggio; allungai il braccio e con estrema delicatezza scostai un pochino la stoffa del costume, quindi con altrettanta delicatezza poggiai le dita sul suo membro.
Cominciai a sfiorarlo leggermente, sentii che era caldo e pulsante, quindi col dito indice andai a raccogliere quella goccia sulla punta che sembrava pipì ma mi resi subito conto che aveva una diversa consistenza.

Sempre con mia grande meraviglia vedevo che continuava a crescere proprio sotto le mie dita e diventava sempre più lungo e duro rispetto all’inizio: “Che razza di prodigio era mai questo?” pensai.
Adesso poi la cappella umida e luccicante era ancora più visibile, ci passai sopra un dito e notai che era inumidita dallo stesso liquido vischioso che era uscito prima dal buchino; mi accorsi che la pellicina che la teneva in buona parte ancora nascosta piano piano si ritraeva scoprendola sempre di più, al ché pensai di farla scorrere del tutto stringendo delicatamente con l’indice e il pollice della mia mano questa strana salsiccia che ormai stava assumendo la forma e le dimensioni di un salamino.

Ebbi un sussulto allorché mio padre smise improvvisamente di russare ed emettendo una specie di grugnito piegò in dentro la gamba destra, quella dalla parte in cui mi trovavo io.
Restai impietrito per alcuni secondi ma non successe niente, riprese subito a russare.
Intanto quel movimento aveva fatto sì che la gamba fosse ancora più divaricata perciò il risultato fu che la zona inguinale era maggiormente scoperta; potei vedere chiaramente anche lo scroto enorme su cui poggiava il suo pisello, che a quel punto era completamente fuori dal costume-boxer e puntava verso l’alto.

Ero sempre più affascinato e rapito da quella visione ed ora una nuova gocciolina si era affacciata dal buchino al centro della cappella, così dopo averla catturata col dito iniziai a spalmarla tutt’intorno alla punta, toccando così anche il frenulo. Subito dopo un’altra gocciolina ancora e quindi continuai a spalmarla su tutta la cappella e poi anche per tutta la lunghezza dell’asta; dopodiché mi venne quasi spontaneo impugnarla con tutta la mano per continuare a spandere quel liquido che continuava ad uscire a piccole gocce, sempre facendo attenzione a non stringere troppo.

Fu proprio mentre andavo su e giù con la mano che mi accorsi che quella pellicina assecondando il mio movimento scopriva e ricopriva la punta del pisello in una sorta di strano “nascondino”.
Trovai la cosa divertente così mi dilungai un po’ in questa specie di giochino, finché uno spruzzo improvviso di liquido bianco uscì da quel buchetto sulla punta e mi arrivò dritto in faccia spaventandomi a morte; in quel momento mio padre smise di russare ed ebbe alcuni sussulti, intanto ci furono altri schizzi più piccoli che imbrattarono di quel liquido biancastro la sua gamba, i suoi boxer e il lenzuolo su cui era disteso.

Nonostante quello che era successo rimase immobile in quella posizione, senza svegliarsi.
Quasi terrorizzato mi affrettai a tornare al mio posto, salii lentamente sul letto mentre col dorso e col palmo delle mani mi ripulivo la faccia da quel liquido caldo e appiccicoso per poi strofinarmele sul mio costume nel tentativo di asciugarmele.
Mi distesi voltando le spalle a mio padre e feci finta di dormire.
Non molto dopo lo sentii alzarsi; dal tipico rumore capii che aveva aperto una confezione di fazzolettini di carta dopodiché sentii che strofinava il lenzuolo, infine uscì dalla stanza per andare in bagno (lo capii quando sentii il rumore dello sciacquone).

Continuai a far finta di dormire anche quando rientrò in camera e dovetti essere abbastanza credibile visto che aprì un cassetto per prendere un altro costume; se lo cambiò lì per lì, evidentemente convinto che stessi dormendo e perciò non l’avrei potuto vedere mentre eseguiva questa operazione.
Fatto ciò lo sentii dire: «Fai sempre un sacco di storie per venire a fare il riposino e poi devo sempre essere io a svegliarti per andare in spiaggia».

A quel punto mi girai verso di lui ma facendo finta di non aver udito domandai: «Eh?… Cosa? ».
Allora senza ripetere la frase di prima, disse: «Alzati, è ora di tornare in spiaggia» ed uscì dalla stanza tenendo in mano l’altro costume; io s**ttai in piedi, infilai le infradito di gomma e mi affrettai a raggiungerlo, lo vidi uscire dalla porta del bagno senza più niente in mano, disse: «Andiamo» e uscimmo per andare in spiaggia.

(…CONTINUA).

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