MIA MADRE PARTE SECONDA

Mi sentii svenire dal piacere, finalmente il bastone di carne tanto desiderato
mi era entrato nel corpo.
Il mio tesoro mi penetrava con delicatezza accompagnando la sua chiavata con
parole dolcissime; mi sembrava di essere in Paradiso, lo tirai a me, lo baciai e
gli dissi: “sei il mio Angelo, ti voglio, ti voglio per sempre”.
Purtroppo l’estasi durò solo pochi minuti, improvvisamente accelerò i colpi,
estrasse la varra dalla spacca, la poggiò sul mio ventre e mi inondò la pancia
di densa sborra.

Capii che l’emozione gli aveva fatto un brutto scherzo, ma ero tanto
innamorata che fui felice lo stesso, pur non avendo goduto. ]
Io, invece, godetti come una bestia.
Immaginando che fosse l’ora del rientro, rimisi esattamente al suo posto
il diario, ma da quel giorno è inutile dirlo, ogni volta che mia madre usciva
correvo a prenderlo e, sempre sparandomi una sega, lo leggevo avidamente.
Una delle prime pagine che corsi a leggere fu quella del martedì precedente
per verificare l’esattezza della mia visione.

Era incredibile, non avevo sbagliato quasi niente, il mandrillo l’aveva
effettivamente chiavata sulla sedia delle visite ginecologiche, l’unica cosa
che non avevo “visto” era avvenuto nell’ingresso; il dottore non aveva
resistito al delizioso bocchino

e le aveva scaricato le palle in gola, facendola venire per la prima volta.

Avrei dovuto supporlo, con un pucchiaccone come mia madre una sola scopata
non era sufficiente, ecco cosa scriveva quella troia di mia madre.
[…dopo aver reclinato lo schienale, il mio amore, che non aveva smesso un attimo di accarezzarsi il duro cazzo, si è inginocchiato ai miei piedi, mi ha prese le caviglie, ha cominciato a baciarmi le gambe, me le ha divaricato posizionandole sugli appoggi, mi ha dischiuso con le dita le labbra della fica e dicendo: “a noi puttanona”, mi ha ficcato la testa tra le cosce iniziando a leccarmi il clitoride.

“Che meraviglia, hai una lingua delicatissima e come la usi bene, nessuno mi ha mai leccato così, mi fai morire”.
Sempre più allupato il mio tesoro, che accompagnava la lappata con un frenetico massaggio alle mammelle, mi ha introdotto un palmo di lingua nella spacca ed
ha cominciato un ritmico andirivieni a mo’ di chiavata.

“Basta!, basta!, non resisto più, adesso voglio il cazzo, dai prendimi”.
Il mio amore si è alzato, mi ha strusciato la capocchia all’imboccatura della fessa, poi si è ritratto, “certo che ti chiaverò, ma prima toccati un po’, lo sai che mi piace vederti masturbare, mi eccito come una bestia”.
Come una puttana non mi sono fatta pregare, mi sono infilata due dita nella bernarda cominciando un frenetico ditale, “dai sparati una sega, anche a me piace guardarti, anzi qualche volta dobbiamo godere così, mentre ci masturbiamo, e quando verrai devi sborrarmi in bocca ed io ingoierò tutto il tuo sperma, questo lo faccio solo a te, tesoro mio”.

“Angelo mio, é bello vederti così aperta, così infoiata e lo sai che mi piaci quando parli in modo sboccato, ma non devi dirmi bugie, io non posso credere che tu non beva la broda di tuo marito quando ti schizza in gola”.
“Lo giuro sul bene che ti voglio, amore mio, io quell’uomo lo schifo, é un ZOZZO, pensa che quando sta per godermi in bocca dice sempre “adesso ti piscio in gola la mia sborra”, questa frase mi fa ancora più ribrezzo, io per non insospettirlo lo lascio fare ma quando ha finito, dicendogli che altrimenti mi viene l’acidità sputo tutto sul pavimento, con te invece é bellissimo, é come succhiarti l’anima, ritengo che questa sia la più grande prova d’amore che possa darti”.

“Certo gioia mia, parliamo mentre ci accarezziamo? così é molto più ARRAPANTE”.
“Come vuoi, il maestro di erotismo sei tu, lo sai che riesci a portarmi al settimo cielo?, mi trasformi da una signora perbene in una troia da casino, la tua troiona ed io sono felicissima di esserlo, prima però baciami, voglio infilarti la mia lingua in gola, vedi se ho imparato, vedi se é così che fanno le puttane?”.

Si è steso su di me e mi ha baciato, un bacio lunghissimo, sensuale, carnale.
“Bravissima, ma con un’allieva come te é facile insegnare, tu sei puttana nella anima, nel sangue, non dimenticarti che hai imparato a fare bocchini in una sola
lezione, la prima volta mi facesti un male tremendo con i denti, ora la tua bocca é morbida come una fica, dai raccontami, prima di me quanti cazzi hai preso in bocca?”.

“Tantissimi, mi é sempre piaciuto ingoiare quel pezzo di carne duro che voi uomini portate nelle mutande, prima del matrimonio ho avuto una ventina di fidanzati e li ho sbocchinati tutti, ed erano talmente felici di farsi succhiare
che nessuno si é mai lamentato, anzi, sborravano a litri nella mia bocca, ma io non ho mai ingoiato; mi piaceva tanto il golino che pur rammaricandomi di non poter chiavare, sai allora bisognava arrivare “vergine” al matrimonio, venivo lo stesso appena sentivo il caldo fiotto schizzarmi nella gola”.

“Oltre i bocchini, per rimanere “vergine”, scommetto che ti facevi fare il culo, dimmi quante mazze ti sei cuccata in questo bel sederone?”, mi ha chiesto, accarezzandomi le chiappe.
“Nessuna!, lo so ti sembrerà strano ma allora avevo un vero terrore a farmelo mettere dietro, non l’ho mai dato a nessuno, eppure tutti lo volevano perché mi confessavano che la parte più eccitante del mio corpo era proprio il culo, ma devi sapere che il mio primo ragazzo, che era molto più grande di me, una sera nella sua macchina dopo essersi fatta succhiare la grossa nerchia mi sollevò le cosce e tentò di incularmi, ma io, forse per il fatto che non ero preparata o perché lui aveva una cappella enorme, sentii un dolore atroce per cui lo allontanai bruscamente e da allora rimasi con il convincimento che era impossibile farsi inculare senza dover sopportare un simile dolore; però che stupida che sono stata, mi sono persa decine di ingroppate”.

“Che poi é la cosa che preferisci”.
“E tu lo sai bene porcone mio”.
“E’ stato tuo marito a farti per la prima volta il CULO?”.
“No, anche quando mi sposai ero terrorizzata”.
“Ed allora chi te l’ha sfondato?, chi ti ha fatto diventare la mia adorabile
rottinculo”.
“E’ stato un uomo bellissimo che incontrai al mare la prima estate dopo il matrimonio; avevo saputo che quel PORCO di mio marito mi tradiva, decisi di vendicarmi quindi accettai di andare a casa di questo ragazzo, bello come un dio greco; appena arrivati mi stese sul bordo del letto, mi divaricò le cosce e mi leccò così bene che mi ritrovai subito con la fica fradicia, proprio come sono adesso dopo la tua lappata e le tue parole, in un baleno si svestì e mi infilò nella pancia una varra di trenta centimetri, mi sembrava di impazzire tanto era bello, mi pompò a lungo, io non connettevo più, poi con estrema dolcezza mi sollevò le gambe e mi fiondò nel culo la sua enorme mazza, fu incredibile, non sentii dolore ma solo un piacere immenso che mi fece venire subito; da quel giorno, ogni volta che andavo da lui, e ci andai per almeno altre venti volte, mi facevo inchiappettare, ed ora, come sai bene, sono diventata una fanatica dell’inculata”.

Ed io ne sono felicissimo, ho sempre pensato che il vero modo di POSSEDERE una
donna é quello di schiantarglielo tra le chiappe, e con te é ancora più bello
perché hai un culo che é una vera calamita per il cazzo, dimmi, dopo quella prima
volta, quanti altri hanno goduto in questo culone?”.
“Solo mio marito, quando capii cosa mi perdevo, lo diedi anche a lui, adesso però basta parlare, vieni a mettermelo in bocca, voglio sentire il sapore del tuo cazzo”.

Angelo era infoiatissimo, mi ha portato l’asta all’altezza delle labbra, l’ho
afferrato, gli ho tirato giù la pelle e ho cominciato a far roteare la lingua
sulla sua capocchia paonazza, poi lentamente mi sono fatta scivolare in bocca
quasi tutta la varra e fissandolo negli occhi, ho dato inizio ad un delicatissimo
golino.
“Sei bellissima, sei un tesoro, sei la fine del mondo”, biascicava l’amore mio mentre si gustava il succoso bocchino.

Era in estasi più totale, si è fatto spompinare per oltre dieci minuti, poi ha detto: “Adesso sono io a dire basta, ora ho voglia di fotterti”.
Ha estratto la nerchia dalla mia bocca, si è posizionato tra le mie cosce e con
un solo colpo me lo ha infilato nella spacca, cominciando a chiavarmi come un
ossesso.

“Dio, che bello, dai pompami, sbattimi, sei il mio toro da monta ed io sono
la tua vacca”, gli ho urlato.

Queste parole lo hanno eccitato ancor di più, allora ha cambiato ritmo, non più
colpi a ripetizione sferrati come un indemoniato, ma penetrazioni cadenzate,
violente, che mi squassavano il corpo.
“Ti piace?, così va bene amore mio?, sei una troiona, sei la mia zoccolona,
ti sfondo l’utero, voglio fartelo arrivare allo stomaco, chiavona”.
“Godiamo, dai godiamo, non resisto più, godiamo insieme, però oggi devi
mettermelo dietro, ne abbiamo parlato tanto che mi è venuta una voglia matta,
dai, tu lo sai, appena sentirò la tua sborra schizzarmi nelle visceri, godrò”.

“Va bene, agli ordini signora rottinculo”.
Mi ha estratto dalla pancia la varra fradicia di umori e l’ha diretta verso
il culo, ho sollevato il bacino, ho afferrato la dura mazza ed ho portato la
grossa capocchia all’imbocco del mio buco nero.
“Adesso sfondami, spaccami in due”.
In un attimo mi ha fatto scivolare l’enorme palo di carne tra le chiappe,

Poi un susseguirsi di colpi tremendi, con me che impazzita mi sgrillettavo
furiosamente.

“Vengo, vengo, non ce la faccio più, vieni anche tu?”, mi ha urlato come un
invasato.
“Si, si, fammi sentire un fiume di broda in culo che godo anch’io”, l’ho
implorato, mi ha dato un ultimo tremendo affondo e mi ha scaricato un litro di
calda sborra nelle visceri, gli ho serrato le gambe dietro la schiena e dando un urlo sono venuta.
Lui si è abbattuto stremato sul mio corpo.

]
Che puttana era mia madre, ne ebbi conferma continuando a scorrere il diario,
ogni volta che si incontravano a casa del dottore, la troiona si gustava il cazzo
in ogni buco, e lui se la fotteva in tutti i modi possibili e godevano almeno tre
volte.
Rimasi esterrefatto quando lessi che per un’intera settimana, durante la
quale mio padre era stato all’estero per lavoro, la troia, dopo avermi messo a
letto e quando era sicura che dormissi, aveva fatto entrare in casa quel gran
figlio di una mignotta, si erano chiusi in camera e avevano scopato come ricci
fino all’alba.

Erano pagine infuocate in cui narrava di favolosi sessantanove,

lunghi pompini con immancabile bevuta di densa sborra, chiavate nelle più svariate posizioni, da quella del missionario a quella a smorzacandela, passando per le pecorine e quelle a bordo letto con le cosce alzate durante le quali diceva che il cazzo le arrivava allo stomaco.

Una descrizione più accurata era dedicata alle inculate.
Era il rapporto sessuale che più le piaceva ed il suo stallone l’accontentava
molto volentieri soddisfacendola a pieno.
Raccontava che, spesso, mentre fotteva seduta sulla mazza dell’amico, si
sollevava, impugnava la varra e si portava la grossa cappella all’imbocco del
buco nero, quindi si lasciava andare in modo che lentamente ma inesorabilmente
il cazzo le penetrasse tra le chiappe, narrando la sensazione sublime che provava
quando la nerchia le riempiva lo sfintere.

Però a suo dire questa non era l’inculata che preferiva; l’apice della goduria
la raggiungeva alla pecorina, quando il suo ingroppatore la inchiappettava
affondandole dall’alto il randello nel culo fino ad allagarlo del suo sperma.

Si fermavano solo per riprendere le forze; durante tali pause, spesso, mia
madre andava in cucina a preparare del caffè e dei tramezzini.

Qualche volta tornando aveva trovato il suo maschione addormentato, ma aveva
un sistema dolcissimo ed infallibile per risvegliarlo; si stendeva sul letto
e cominciava a leccargli la punta dell’uccello,

che, con il suo padrone ancora nel dormiveglia, si ingrossava lentamente
diventando il bastone duro che tanto piaceva avere in corpo a quella stronza della mia adorata mamma.

A volte, tralasciavano la colazione ricominciando a trombare alla grande.
Andando avanti nella lettura scoprii tutti i trucchi escogitati dalla troiona
per andare a farsi scopare, la zoccola, ad esempio, diceva a mio padre di recarsi
dalla sarta per farsi cucire dei vestiti e dopo tre o quattro sedute di misure,
leggi favolose montate, portava a casa degli abiti confezionati comprati in
negozio; per un periodo diceva di recarsi in un centro di estetica per fare dei
massaggi ed al ritorno annotava nel diario il lungo massaggio ai coglioni del
dottorino che si concludeva con la maschera di bellezza, fattagli dall’amico che
gli stendeva sul viso la sua calda sborra; un’altra volta si inventò una terapia per il mal di schiena, a base di iniezioni praticatele dal Truzzi nel suo laboratorio ma invece dell’ago, nel culo la stronza si infilava la dura mazza del dottorino.

La depravata confidava al suo caro diario tutte le più minime sensazioni che
provava prima, durante e dopo i furtivi amplessi, ed anche, come, con la scuola
di Angelo, aveva imparato a fare i bocchini, l’estasi che le procurava il bere
il denso nettare che le scaricava in gola il suo amante, le lunghe sgrillettate
solitarie pensando a quello che aveva fatto e fantasticando su quello che
avrebbe fatto con il suo dottor Truzzi.

La loro attrazione carnale era così forte che si cercavano continuamente, e
per potersi vedere il più spesso possibile mia madre s’inventò una vera passione
per il sempre detestato lavoro all’uncinetto in cui erano maestre le sorelle
di Angelo.
Questo diventò un ottimo motivo per recarsi, quasi tutti i pomeriggi, a casa
del suo amante.
Leggiamo cosa scriveva.
[ Oggi sono andata a casa Truzzi ma il mio tesoro é rimasto chiuso nel suo
studio per circa un’ora facendomi star male.

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