La prova del cuoco

Gianna era una ragazza davvero speciale. Servizievole e sempre gentile, aiutava in casa e nei mesi estivi collaborava volentieri all’ attività dei nonni, che avevano una trattoria, molto conosciuta e accorsata a Positano.
Nell’ edificio del ristorante avevano, nel tempo, recuperato delle camere, per avere la possibilità di offrire anche il pernottamento a qualche cliente più affezionato.
La ragazza aveva appena diciotto anni, allora, ed era tranquilla e con pochi grilli per la testa.

Anche i primi bollori erano assolutamente sotto controllo e i suoi sogni non andavano oltre il petting spinto all’ ombra di un portone, qualche volta qualche amico più insistente aveva ottenuto una sega veloce o l’ accenno maldestro di un pompino.
Quell’ estate un cuoco nuovo venne a sostituire un altro che aveva trovato lavoro più vicino a casa. Questo nuovo Chef era uno che navigava, di origini incerte. Carattere scontroso ed arcigno: era despota in cucina, ma molto bravo, e così venne tollerato, in quella situazione di emergenza.

Aveva circa cinquanta anni, carnagione scura, occhi torvi. Taciturno per natura, non disdegnava di
servirsi una serie di birre scure, mentre lavorava.
Gli incontri con Gianna erano stati solo occasionali, praticamente la ragazza, a parte temerlo come persona anziana, nemmeno lo vedeva. Neppure lo Chef, aveva mai dato segni di interesse particolare per quella ragazza, alta, magra e scarsa di curve, poco seno.
Un pomeriggio d’ Agosto, caldissimo e silenzioso, con la voce delle cicale che accentuava l’ aria ferma e la pace dell’ ora, Gianna si aggirava per le cucine, non aveva voglia di riposare, come facevano tutti a quell’ ora, al contrario, cercava un rotocalco che era sicura di aver lasciato da qualche parte.

All’ improvviso si sentì chiamare, nella penombra degli stanzoni, lo Chef nuovo le chiedeva qualcosa … lei trasalì, lui era in canottiera, sudato e accaldato e le stava dicendo qualcosa, che risultò essere legato ai camici puliti, qualcosa che non trovava in camera sua.
Gianna automaticamente gli si avvicino, rispettando le persone più grandi, per capire in cosa poteva essergli utile. Lui insisteva e concluse le sue lamentele con qualcosa tipo: – Dai, vieni a vedere in camera, fa presto ! –
Il suo tono autoritario ebbe la meglio sulla ragazza frastornata, che lo seguì, anzi lo precedette nel corridoio buio, fino alla camera sul retro dell’ edificio.

Una volta arrivata nella piccola stanza, si rese conto che forse era stata avventata a seguire quello che, in fondo, era uno sconosciuto.
L’ uomo continuava a biascicare lamentele indicandole un armadio nella stanza. Parlava uno strano italiano, forse era francese o marocchino, d’ origini. Gianna, nonostante si fosse accorta che lui, aveva chiuso la porta della camera, ci mise tutta la buona volontà a cercare di capire cosa non andasse in quell’ armadio, con la speranza di risolvere rapidamente la questione.

Ma le cose non si sarebbero risolte così facilmente e lo capì, appena il primo contatto fisico avvenne con lo Chef. Questi infatti le pose sulla spalla una mano decisa e ferma. Lei ebbe un brivido.
La paura la bloccava, mentre quell’ uomo, che si manifestava ora, in tutta la sua estraneità al mondo di Gianna, le cingeva le spalle con una mano e con l’ altra il bacino.
Lei trasalì, accennando un “la prego” e poi, come una vittima sacrificale aggiunse: – Sono ancora vergine … per favore.


L’ uomo con un sorrisetto tra i denti, le disse, fiatandole in un orecchio: – Non ti preoccupare … è meglio, non ti preoccupare, non ti faccio male … –
Gianna capì di non avere scampo ed ebbe veramente paura. Non riusciva a gridare, un poco per il terrore che la bloccava e un poco perché sapeva che nessuno avrebbe sentito.
Lo Chef, intanto, la frugava con mani esperte, le cingeva i fianchi, non la fece girare, ne la baciò in bocca, ma con astuzia si avvicinò alle spalle e la morse, non violentemente sul collo, la teneva ferma, e basta.

Come un gatto eccitato.
Intanto con le mani la carezzava e la frugava; rapidamente si aprì un varco sotto la vestaglietta estiva della ragazza, le trovò subito le mutandine, e con l’ altra mano i seni ancora acerbi.
Lui si muoveva abilmente con le mani, sembrava non le poggiasse mai, ma allo stesso tempo che la tenesse bloccata, in piedi, leggermente protesa in avanti, come se aspettasse.
Lui la rassicurava, poche parole, ma eccitanti, che avevano uno strano effetto ipnotico su di lei:
– Non pensarci – diceva – ci metto poco, poco … Non ti preoccupare.

Stai buona, buona. Ti faccio presto presto, non temere. –
Finche a furia di carezze e parole quiete, Gianna si lasciò andare, sperando solo che non le capitasse niente di male.
Lui dovette sentire che la ragazza si abbandonava e ne seppe approfittare. Rapidamente, le tirò giù lo slippino di cotone bianco e, a mano aperta, le prese in mano completamente tutta la vagina,
protesa verso il di dietro.
La ragazza sussultò, mai una mano estranea era stata così “presente” sulle sue parti intime.

Lui intanto premeva e pressava, con la mano intera trasmettendole un forte senso di calore.
Premeva e lasciava sulla sua piccola figa, facendole sentire tutta la pressione del suo desiderio.
Era come uno schiaffo senza forza, un pulsare che presto esordì il suo effetto: Gianna diventò umida tra le grandi labbra della figa.
All’ uomo non sfuggì, sapeva spettare, ormai sapeva di tenere in pugno la ragazza, ormai eccitata, anche se controvoglia.

Si spostò più centralmente dietro lei e con le mani dure le cinse le anche, le natiche, con un gesto forte e inarrestabile, la fece, abbassare in avanti, piegandola a 90°.
Le mutandine erano sotto il suo culo, chiaro e perfetto. la vestaglia invece, alzata appena sopra le natiche. Lo Chef aveva tenuto libera solo la zona che gli interessava.
Si avvicinò ai buchi di Gianna come se avesse fame, per alcuni minuti, succhiava e leccava la figa, come se stesse suggendo un frutto di mare.

Brividi, violenti come fitte, salivano per la schiena della ragazza, ormai vinta e completamente impreparata a quelle sensazioni del tutto nuove.
Aveva pensato, sognato, di fare all’ amore, ma la più spinta delle sue virginali fantasie, non si avvicinava neppure, a quanto le stava accadendo. Le tempie pulsavano e il calore avvampava nel suo corpo, quando, a sorpresa, lui le ficco la lingua tutta nel buchetto dell’ ano.
Lei saltò, stupefatta.
Ma lo fu ancora di più quando sentì un oggetto caldo e grosso che si poggiava sulle natiche.

Immaginò subito che si trattava di un cazzo. Un vero cazzo d’ uomo. Duro, caldo e grosso.
Nonostante la vergogna e la paura, avrebbe desiderato vedere e toccare quella verga, quell’ oggetto, in fondo tanto desiderato, durante le sue solitarie masturbazioni.
Ma si vergognava e se ne restò lì, con le braccia appoggiate ad una piccola scrivania, col culo proteso, le cosce schiuse, aspettando gli eventi.
Gli eventi la sconvolsero ancora di più, perché l’ uomo con furbizia inaudita, le poggiò il pene sul buco del culetto, spaventandola di nuovo.

Ma non poteva sottrarsi ormai, e lui ci sapeva fare.
Lei era stata terrorizzata dal cazzo sull’ano, immaginando che l’ avrebbe potuta spaccare all’improvviso, con dolore lancinante … ma lui no, niente di tutto questo; non fece che poggiare la capocchia del suo grosso coso e tenerla ferma, con piccole, impercettibili pressioni.
L’ aspetto della situazione dopo un poco cambiò. Senza nemmeno crederci, la ragazza, eccitata,
invece di gioire della mancata penetrazione, cominciò a desiderarla.

Voleva assaggiare quel cazzo a qualsiasi costo e solo la vergogna le evitava di girarsi per prenderlo immediatamente tra le labbra e baciarlo.
Quando lo Chef capì che era pronta, e che il suo ano aveva rilassato lo sfintere, in attesa di prendere il colpo fatale, con gesto esperto si ricoprì la testa del grosso cazzo, con la pelle del suo stesso scroto. In quella posizione, pressata la pelle del coso sull’ ano piccino, ma umettato, fece scivolare il glande direttamente dalla pelle di lui al culo di lei, fermandosi appena avvenuta la dilatazione.

Lei sentì il violento, ma dolce cambio di stato. Il suo culo era aperto come non mai. Piantato nell’ ano aveva un grosso palo.
Lui restò fermo, immobile fino a quando la ragazza non perse la forza di stringere e il giovane sfintere si arrese, capitolando.
Solo allora, piano piano, cominciò ad incularsela, metodicamente, profondamente. Con la faccia tosta di fermarcisi, tutto dentro, ogni tanto e poi di spingere tra le giovani chiappe, con tutta la sua forza, come se cercasse ancora un varco … ancora una maggiore penetrazione.

Iniziarono così un eccitante gioco. Lei capì di provare l’ acme del piacere nell’ attimo della dilatazione anale e quindi, fingeva ogni tre o quattro botte, di sgusciare via, allontanandosi un poco. Cambiando posto e posizione, ma fingeva, sapeva già che lui le dava la caccia col suo cazzo sempre più arrapato. La raggiungeva e alla meglio la inculava nuovamente. Era talmente sconnesso, questo gioco, che un paio di volte un dolore lancinante l’ aveva fatta sussultare un attimo.

Ma il bruciore faceva parte del gioco e in fondo accettava di prenderlo tutto in culo ogni volta.
Quando lui la stese sul letto della camera angusta, capì che non poteva sfuggire a lungo e si concedette morbidamente e completamente abbandonata.
Teneva le gambe unite per rendere il buco anale il più stretto possibile e fasciante rispetto al cazzo dell’ estraneo, era stanca di prenderlo tanto ripetutamente, dato che ora scivolava facilmente dentro e fuori, a qualsiasi velocità, senza incontrare resistenza.

Ma non dovette aspettare molto. Lui in ginocchio, gambe divaricate, le teneva le chiappe con le dita e si modellava il suo culo a piacimento. Lo senti mentre si irrigidiva, il respiro ansante, il cazzo che pulsava. Dal caldo che le esplose nel culo capì che per la prima volta, in modo e maniera del tutto inaspettata, era stata sborrata da un uomo.
Fu come ricevere una grossa siringa piena di sperma tutta nel culetto.

Poco dopo soddisfatto e disinteressato, lui la mandò via, col sedere indolenzito.

FINE (Storia pubblicata da Duplex).

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