La finestra sul viale

Il mio compagno di stanza è partito per una vacanza di una settimana, permettendomi finalmente di poterti invitare nella mia casa universitaria per la prima volta, come desideravo da tempo: naturalmente hai dovuto farmi penare un bel po’ prima di accettare, forse perché altrimenti non ti saresti sentita abbastanza te stessa.
La sorte ha fatto coincidere il nostro incontro in questa afosa serata di giugno con una nota festa cittadina, che come ogni anno fa riversare in centro migliaia di persone attratte da concerti, artisti e spettacoli all’aperto.

Nell’attesa del tuo arrivo, ho pulito svogliatamente, cucinato per quel poco che so fare e comprato una bottiglia di vino che apprezzi per avviare la nottata: ormai è tutto pronto.
Ma sento squillare il mio telefonino: sei tu che ti scusi per il ritardo spiegandomi che sarai da me tra due minuti. Allora decido di aspettarti in camera mia, affacciandomi dal primo piano dove abito in modo tale da poter controllare l’ingresso.

Nel frattempo dalla mia postazione posso abbracciare con la vista tutto il viale in ampiezza, e per buona parte in lunghezza: la folla è già scesa in strada tra il frastuono dei botti, e ormai la densità di individui è giunta al punto tale da ostruire perfino la pavimentazione.
Sono intento ad osservare alcuni conoscenti che passeggiano ridendo, quando odo distintamente chiamare il mio nome dal basso da un amico che mi saluta con ampi movimenti delle braccia: ricambio il gesto accennando un sorriso e proseguo ad esplorare la massa in cerca di te.

Dopo un quarto d’ora finalmente noto una figura minuta che dribbla agilmente i passanti procedendo controcorrente: sei tu che ti stai avvicinando così al portone d’entrata. Vado ad aprire per farti salire.

Sei una ragazza carina come tante altre, ma c’è qualcosa in te che mi attrae in maniera quasi inspiegabile: sarà il tuo aspetto delicato da fanciulla indifesa, o forse il fatto che esso è assolutamente fuorviante? La tua perenne stronzaggine combattiva, o i rari momenti di serenità in cui giungi perfino ad esprimere segni di dolcezza? La nostra totale incompatibilità caratteriale che non ci garantisce di stare insieme per mezz’ora senza litigare, o la scelta condivisa, proprio per questa ragione, di incontrarci ogni tanto solo per il reciproco soddisfacimento fisico? Il tuo sviluppato senso dell’umorismo che rivela una fine intelligenza, o quel magnifico culetto rotondo che stuzzica ogni tipo di perversione?
Eccoti qui innanzi: la pelle bianca contrasta con il vestito blu, che invece richiama gli occhi chiari, come sempre illuminati dalla consapevolezza di saperne una più degli altri; le scarpe basse non tradiscono il tuo metro e sessanta scarso, né slanciano ulteriormente la tua figura, che non ne ha bisogno; i capelli raccolti da una fascia liberano il tuo viso già leggermente abbronzato, dove il naso all’insù e le labbra sottili concorrono a donarti quell’aria da fresca liceale che istiga costantemente i miei pensieri erotici.

Ci salutiamo, ci baciamo per un attimo e subito ti guido verso la mia stanza: ampia, quadrata, con il soffitto molto alto, tipico delle abitazioni antiche, e addirittura affres**to, a dimostrazione della passata appartenenza dell’edificio ad un pittore locale conosciuto; con un finestrone molto grande dal lato opposto da cui si entra, che dà proprio sul corso principale del centro storico della città, giusto un paio di metri sopra le teste dei passanti che lo stanno colmando; con muri e pavimento in pessime condizioni, che contribuiscono a creare una piacevole atmosfera decadente, che metaforicamente concorda con l’immoralità di quello che mi è passato per la mente quando mi sei comparsa davanti poco fa.

Sembri positivamente colpita dall’ambiente, ma di questo non avevo dubbi: mi zittisco e ti lascio vagare in giro, osservandoti mentre passeggi lentamente sfiorando gli oggetti e cercando di cogliere particolari qua e là.

Avrei già voglia di saltarti addosso, ma mi piace frenare gli impeti per gustarmi l’attesa e incrementare così il desiderio: senza farmi beccare esco dalla camera dirigendomi da solo verso la cucina a prendere la bottiglia che ho preso per te.

Rientro dopo pochi istanti bloccandomi sull’uscio: ti ritrovo affacciata alla finestra che dà verso il viale, appoggiata con le braccia sul davanzale, sulle punte perché non arrivi a vedere bene di fuori, col tuo vestitino appena sopra al ginocchio che si è sollevato, e ora svolazza mosso dalla corrente che filtra dalle altre stanze.
Quella posa involontariamente conturbante mi annebbia il cervello e spazza via il piano di attesa che avevo preparato: resto lì fermo per un po’ a valutare l’evolversi della situazione, quando il tessuto, come mosso dalla forza del mio pensiero, si discosta e scopre in un flash il bianco dei tuoi slip, prima di ridiscendere.

Avverto nitidamente la classica fitta alle parti basse, sintomo dell’eccitazione che si accende: metto giù il vino, e, quasi sospinto dal leggero vento che momentaneamente rinfresca questa nottata caldissima, mi avvicino senza fare alcun rumore approfittando della tua distrazione.
Ormai sono alle tue spalle, nel frattempo che stai fissando non so cosa nel fiume di gente sotto di noi.
Senza preamboli le mie mani afferrano i tuoi fianchi, delicatamente ma saldamente.

Fai il gesto di indietreggiare col busto verso di me, ti opponi blandamente, ma ti ordino sussurrando di restare immobile così, piegata con le braccia ferme in avanti, in modo che tu possa proseguire a guardare le persone. E magari anche a farti guardare da loro.
So quanto questa posizione che concede il dominio all’uomo sia in grado di scuotere la mente femminile: tu non fai eccezione alla regola. Infatti sento che ti irrigidisci, mentre il tuo respiro si blocca e poi riparte più frequente e affannoso.

Da qui sei in mio controllo: tu non puoi vedermi né toccarmi, ma io si; non puoi scappare, a meno che non sia io a lasciarti andare; non puoi godere, se non grazie alle mie mani, alla mia lingua, o al mio cazzo.
Potrei fare di te quello che voglio, con buona certezza che adesso sia anche quello che vuoi tu. Il mio possesso e la tua appartenenza sono le due facce della stessa medaglia: in questo momento, perversamente, i miei appetiti diventano automaticamente anche i tuoi.

Intanto questa sensazione di potere sta chiaramente eccitando anche me: l’erezione già piena fa tendere la stoffa dei miei pantaloncini fino a lambire il tuo sedere ancora coperto, e semplicemente affondando appena il bacino su di te potrei dimostrartelo.
Ma tutto ciò non mi basta, voglio prima di tutto piegare la tua resistenza psicologica: ti libero per un attimo dalla mia presa, scivolo all’indietro, agguanto il vestito e lo lancio letteralmente verso l’alto, facendo ricadere il bordo inferiore a metà della schiena.

E senza darti tregua mi abbasso, infilo le dita sotto l’elastico delle tue mutandine e con uno strattone secco le faccio scendere alle caviglie.
Ora sei nuda dalla vita in giù, completamente esposta a me. E forse non solo.
A giudicare dai suoni che emetti, le mie attenzioni ti stanno conquistando, perciò insisto: gradualmente, un passo alla volta, voglio condurti al massimo del piacere.
Abbracciandoti inizio a spingere il pube verso di te, più a fondo possibile, tardando qualche secondo ad ogni appoggio per accentuarlo.

Vado su e giù così per un po’, ancora vestito.
Poi decido di metterti in imbarazzo, altro elemento fondamentale da far subentrare nel gioco sessuale, inginocchiandomi dietro di te per ottenere un contatto visivo ravvicinato con la tua intimità: ti annuso direttamente col naso che sfrega sulla tua pelle, ti penetro con lo sguardo prima che con qualsiasi altra cosa. Non serve a nulla che tu mi chieda di non farlo: comando io se non si fosse capito.

Da quaggiù c’è visuale piena, e ciò mi riporta in mente cosa sta accadendo fuori da questa casa, in strada: se qualcuno alzasse gli occhi verso noi, non faticherebbe ad immaginare cosa stiamo facendo.
Vedrebbe te, sicuramente non me, che al massimo potrei essere un’ombra irriconoscibile alle tue spalle, che tiene le redini della situazione mentre tu rimani inerme di fronte alla mia volontà.
Certo non potrebbe carpire la tua nudità, che è solo cosa mia, ma si accorgerebbe delle tue smorfie, che tradiscono sia il godimento per quello che ti sto facendo, sia il timore di essere sorpresa per la tua incapacità di gestire l’eccitazione in queste condizioni.

Ma è proprio il rischio che amplifica la forza di quello che stai provando: è l’equilibro sottile ed instabile tra la costrizione che ti impongo e la libertà di movimento che vorresti, tra la vergogna di venire scoperta e la voluttà che la annulla; in altre parole tra il piacere e l’angoscia.
Sempre con la testa in mezzo alle tue gambe, ti faccio sollevare i piedi per raccogliere gli slip ed allontanarli.

Subito dopo le mani risalgono accarezzandoti, fino ad incontrare una certa umidità nell’interno coscia, già ben prima di arrivare a contatto con il sesso.
A quel punto abbranco i tuoi glutei e li allargo, creandomi uno spazio tra essi, per poter iniziare a leccare nel solco, dal basso all’alto. Questo è un altro gesto molto provocante che so che apprezzi particolarmente.
Inizio a far scorrere la lingua, lentamente ma non troppo, perché non riesco a controllare la mia foga.

Dal clitoride fino all’ano, su e giù, per decine di volte.
Successivamente mi concentro sulla parte più sensibile, muovendomi da destra a sinistra, praticamente disegnando un otto senza staccare la punta, come piace a te. Ogni tanto, quando mi calmo, rallento, poi freno del tutto e infine ricomincio, per esasperarti.
Nel frattempo affondo il viso dentro di te, al limite del soffocamento, per poi rilasciare e ripetere tutto di nuovo.
Mentre le mie labbra proseguono a pizzicare morbidamente il clitoride, ricordo di avere anche le dita a disposizione, quindi passo allo step successivo: sei sufficientemente bagnata per poter introdurre indice e medio nella tua vagina.

L’aumento evidente della lubrificazione attesta palesemente il tuo gradimento, tanto che ora non riesci proprio a mantenere il silenzio: vorrei tanto poter ammirare le tue espressioni facciali, ma in fondo quaggiù si sta benissimo… Non posso lamentarmi.
L’alternanza tra mani e bocca ti sta conducendo inesorabilmente verso la lussuria, ma non ho intenzione di chiuderla qui: è troppo presto, voglio farti soffrire ancora un po’.
Mi blocco, indietreggio, respiro liberamente. Mi preghi sottovoce di non fermarmi, ma non ho intenzione di esaudire questo tuo desiderio, per ora.

Mi alzo, sono di nuovo in piedi dietro di te. Rivolgo lo sguardo verso la gente fuori, e mi accorgo di non aver tenuto conto di un fattore: c’è una signora di mezza età che abita di fronte sul balcone, e che sta puntando la sua attenzione proprio verso di noi. Si accorge che la sto fissando, perciò si volta immediatamente e rientra in casa velocemente. L’idea di farti esibire in pubblico sta funzionando: chissà quanti altri si stanno godendo lo spettacolo che abbiamo messo su.

Tutto questo contesto mi elettrizza ulteriormente, di conseguenza decido che è arrivato il momento di scoparti: in un attimo tolgo pantaloncini e mutande, facendo schizzare all’esterno il mio membro durissimo.
Strofino il glande per alcuni secondi sulla tua apertura per inumidirlo, poi lo infilo dentro. Gradualmente, ma tutto, fino alla base. In pratica non c’è attrito.
Non controlli un grido di piacere: l’impatto del mio cazzo sulla tua emotività è stato istantaneo.

Mi adatto alle tue pareti vaginali uscendo e rientrando poco alla volta, poi dando spinte sempre più ampie e aumentando il ritmo.
Cinque colpi.
Mi pare di sentirti già su di giri: cerchi di res****re, ma senza convinzione.
Dieci colpi.
La forza ti sta abbandonando, le ginocchia cedono: adesso sono io a reggerti.
Quindici colpi.
Percepisco le ondate della tua eccitazione che sgorgano verso l’esterno. La frequenza delle contrazioni cresce.

Venti colpi.
Un breve urlo di goduria. Seguito da altri più flebili, quasi strozzati. Sei in apnea. Ti irrigidisci, subito dopo inizi ad agitarti senza trovare pace. Infine, al termine delle scosse, ti rilassi.
Con il mio membro ancora dentro di te, poggi il tuo sedere sul mio pube, sconvolta dall’orgasmo.
Ma io non posso prendermi pause: ora tocca a me.
Ti faccio risistemare a pecorina, e impietosamente ricomincio a sbatterti.

Neppure un minuto dopo sono sul punto di esplodere: c’è giusto il tempo di estrarre il cazzo ed adagiarlo sul tuo culo stupendo, prima che sei o sette schizzi in rapida successione colpiscano la tua schiena.

Diversi secondi più tardi, dopo aver recuperato parzialmente la vista ancora annebbiata dallo sforzo e dall’appagamento, vedo che ti sei voltata. Hai un’espressione soddisfatta, rilassata, ma comunque mi sorridi maliziosamente.
Mi chiedi dov’è il bagno.

Te lo indico. Mi baci sulla guancia e ti dirigi a lavarti, tenendo il vestito su, alla stessa altezza di prima, per non macchiarlo e soprattutto per mostrarti esplicitamente alla platea che forse ha potuto cogliere la nostra recita.
Che visione! Questa provocazione mi fa quasi tornare la voglia di ricominciare subito.
Do l’ultima occhiata al mondo oltre la finestra, scorgendo la presenza di tre ragazzi su una panchina dall’altra parte del viale.

Sono due maschi e una femmina: uno di loro alza il braccio e fa segno “ok” col pollice in alto.
Ci metto un po’ a focalizzare bene la situazione, ma credo di aver compreso tutto.
Ricambio il gesto di assenso. Senza rivestirmi né girarmi, indietreggio, facendo vedere quello che fin lì era rimasto nascosto. Già che ci siamo…
Esco dalla mia stanza e chiudo la porta.
Giù il sipario.

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