Il guinzaglio

Il guinzaglioEra una splendida giornata di metà luglio ore 10:30 mi trovavo nel garage di una coppia di Padroni Io schiavo fui contattato da loro per un trattamento educativo, la Padrona mora, con i seni prorompenti e bellissimi piedi le sembrava la più severa e autoritaria dei due,il Padrone parla a bassa voce ma con molta autorità mi disse di spogliarmi. Rimasi totalmente nudo ,depilato e rasato a dovere ,mi venne messo un collare per cani con attaccato un guinzaglio di catena ,un cappuccio di lattice nero con le aperture di bocca e occhi,un paio di sandali con il tacco e subito la Padrona mi dipinse le labbra e con sorridente disprezzo disse:lurido verme schifoso inginocchiati alla Padrona,il Padrone replicò :lurida cagna abbassati,e mi colpì tre volte con la cinghia che aveva in mano.

La padrona raccolse la cima del guinzaglio e strattonandomi, mi diresse verso il retro della loro macchina ,io camminando a quattro zampe vedevo solo le ruote del'auto e i sandali di lei. Il Padrone aprì la bauliera del Sub e mi fecero entrare in una gabbia in metallo per cani ,la Padrona legò il guinzaglio all'interno della gabbia ed esclamando…” oh…. mi sono scordata una cosa…” si girò di schiena,prese un grosso plug con una coda e lo me infilò nel buco del culo l'ano.

Mi prese la testa con le mani e,come per darmi un bacio, mi sputò ripetutamente in bocca e in faccia. Ella, sorridendo, chiuse la gabbia con un lucchetto e la bauliera con una violenza tale che lo spostamento d'aria mi tappò le orecchie. Il Padrone apri la saracinesca del garage, accese la macchina portò fuori l'auto e fece montare lei al suo fianco. Non sapevo dove mi avrebbero portato, ma dalla vergogna di essere visto da altre macchine,durante il tragitto,stavo mi mantenevo raccolto ed in basso per non farmi notare da nessuno.

La strada, non proprio completamente asfaltata, faceva sbattere la catena del guinzaglio contro la gabbia e il rumore scosse i delicati nervi della padrona, che subito andò in escandescenza dicendomi:” …. schifosissimo verme rompi le palle, vuoi smetterla con quella catena, o vuoi che fermi la macchina e ti verghi davanti a tutti? Pensi che non si capace?”Risposi “…..mi scusi signora padrona non sentirà più il rumore!””….. bene !- rispose – vedremo!”. Presi con le mani la catena ,la tirai a me per non farla sbattere, erano passati forse venti minuti dalla partenza e l'auto,entrando in una strada sterrata, continuava a scuotersi.

Vedevo dal retro un po' di polvere e facevo fatica a stare fermo,tanto che la catena di tanto in tanto continuava a sbattere. La Padrona bisbigliò delle parole nel l'orecchio di lui e, ad un tratto, la macchina si fermò, lei scese di corsa, aprì la bauliera ,aprì anche la gabbia e disse dopo aver preso il prese il guinzaglio: “…Io le cose le dico una volta sola, poi divento cattiva…”Mi fece scendere come un cagnolino, a quattro zampe, mi portò vicino al primo albero ,e mi legò con ad questo albero.

Tremavo dalla paura di essere visto ma eravamo in una strada sterrata coperta da alberi, lei tornò con dei rami raccolti sul momento e con crudele forza mi fustigò sul culo. I rami li sentivo, erano verdi e non resistevo al dolore, chiedendole pietà, di smetterla si rivolse a me e mi rispose:”Stai zitta, cagna rognosa, lurido verme!”. Nel frattempo si sentì uno scampanellìo strano ,da una viuzza interna un piccolo gregge di pecore stava arrivando,ma la mia paura era che il pastore mi vedesse così,la padrona mi porto alla macchina e nell' istante in cui giunse il pastore che vide il contesto e fece finta di niente e continuò il suo cammino.

La mia padrona mi rinchiuse senza tanta fretta nella gabbia, chiuse la bauliera e la macchina ripartì. Mi sentivo veramente umiliato,e loro continuavano a deridermi dicedomi:”…non ti preoccupare ti avrà scambiato di sicuro per una cagna!…..ahahhahah, o una pecora particolare…! oppure per un lurido schiavetto disobbediente! “La macchina svoltò a destra in una salita alla fine della quale si scorgeva un vecchio casolare. Finalmente la macchina si fermò ,scesero ambedue e mi fecero scendere sempre a quattro zampe, mi portarono all'interno di un locale del casolare.

Era una vecchio ovile ,dove all'interno erano ammucchiate diverse cose,materassi, una vecchia ruota, una seggiola da ufficio con braccioli mal ridotta e balle di fieno…. un vecchio trattore e su un lato una fontanella. La padrona si levò le scarpe e a piedi nudi,mi legò i polsi alle caviglie con una vecchia corda,poi prese una verga e finì quello che aveva iniziato ad ogni colpo mi ripeteva:”…. lurida cagna ,lurido verme,pensavi che mi fossi scordata? rispondi! “Ed io tra un gemito di dolore trovai la forza per risponderle “….

no no no padrona, basta ,basta! Lei si fermò per un attimo e mi disse:”…forse non ci siamo capiti… BASTA qua dentro lo diciamo solo noi “,prese una serie di rami con foglie,e iniziò a accarezzare la pelle del sedere e il pene con il glande scoperto prese a fustigarmi leggermente. Erano ortiche, avvertivo la sensazione di tanti spilli sulla carne nuda, avvertivo bruciore e prurito ed iniziai a muovermi e mi accasciai da un lato a terra, chiedendo: “….

Pietà, pietà, signora padrona!”Lei venne davanti al mio viso e disse:”…ripuliscimi i piedi, lurido zerbino forza! “I piedi erano polverosi e ripulirli era un impresa ,ma facevo del mio meglio e in fretta, ma lei continuava a rimetterli a terra per sporcarli, era impossibile ma continuavo. il padrone mi slegò le mani, mi tirò su per la testa rimasi in ginocchio ad un tratto lei si chinò verso di me e iniziò a schiaffeggiarmi con alternanza la faccia e il glande ripetendomi:”…non sei capace nemmeno di pulirmi i piedi…” rispondi “… lurrida cagna! “”Si! si! padrona risposi!””… non è vero verme schifoso!” disse, continuando a schiaffeggiarmi sempre più forte:Rispsosi:”….. no, no Padrona !la prego come una divinità, si fermi, per cortesia…””….. e allora a cosa serve verme la tu lurida lingua?…forse lo so rispose!.

Il Padrone mi fece alzare e con una lunga corda, mi legò i polsi e facendola passare al disopra di una vecchia trave mi issò fino a stare in punta di piedi,prese una lunga frusta e iniziò la triste opera chiedendomi di contare le frustate. Il dolore era forte e a stento riuscivo a contare! Il padrone chiese a lei quante me ne doveva dare!disse che forse una cinquantina sarebbero bastate! Implorai pietà ero alla dodicesima e urlavo schifosamente! la padrona mi ordinò di fare piano se no sarebbero state di più.

La Padrona che stava vicino alla grande porta del casolare, si accorse che forse qualcuno stava spiando, e riferendo al padrone lui si fermò…..! per me fu un sospiro di solievo,lui andò fuori e sentii che parlava ma non capii nulla,ero esausto, nel frattempo la padrona prese i suoi sandali fece per rimetterli, ma mi guardò ne prese uno e portandomelo alla bocca schiaffeggiandomi disse! stai zitta lurida serva ripuliscimi le scarpe! Agitavo la lingua per ripulire ,mentre mi strusciava le suola sulla bocca, no così “….

verme schifoso mi disse!……” Il Padrone ne frattempo la richiama fuori e dopo poco rientrano tutti e tre la padrona si rivolse a me dicendomi: “…..ti presentiamo una persona lurida cagna in calore, lui ti conosce sai chi è…..no padrona ! – risposi – “…. è il pastore che abbiamo incontrato disse lei,io mi vergognavo e abbassavo lo sguardo, e continuò, sai cosa fanno i pastori a volte con le pecore? non risposi ! te ne accorgerai….

” disse. Venni slegato e legato alla seggiola da ufficio con la faccia verso lo schienale e le cosce aperte legate ai braccioli, la seggiola anche se vecchia avendo le ruote poteva, anche se in malo modo scorrere sul pavimento. Dopo aver fatto provare al pastore qualche vergata sul mi culo sfilò il plug tirandomelo dalla coda e iniziò a pomparmelo con il suo cazzo ,facendo scorrere la sedia avanti e indietro,il padrone mi infilo il suo cazzo nella gola mentre il pastore continuava a pomparmi sempre di più ,la sedia faceva un rumore infernale per un momento pensavo che si rompesse! ma ad un tratto sento uno schizzo caldo nella mia gola ,il Padrone stava venendo e non potevo fare altro che ingoiarlo in parte,ad un certo punto il pastore mi disse:”….

stò godendo lurida troia slabbrata!…” sfilò il suo cazzo e prontamente lo mise infondo alla mia gola, mi riempì la bocca del suo caldo latte. Dopo qualche minuto iniziarono a turno a inondarmi della loro orina, compresa la Padrona che salendo su vecchio trattore mi bagnò col suo caldo liquido. Dopo ,sempre legato alla seggiola ,mi portarono fuori,vicino all'entrata del casolare e con una sistola mi ripulirono da per tutto,lasciandomi al sole ad asciugare,slegato la Padrona mi rimise adeguatamente all'interno della gabbia per cani ne bagagliaio posteriore e venni riportato a casa.

Durante tutto il viaggio la Padrona non parlò mai ma tendeva un orecchio verso di me, ma arrivati a casa disse: “Caro lurido verme non hai imparato a ripulirmi i piedi ma devo dire che la catena del guinzaglio non fa più rumore! una cosa alla volta!” Mia moglie con il neroA me e mia moglie Laura è sempre piaciuto parlare e sognare durante le nostre scopate, quando io le chiedevo al colmo dell’eccitazione che uomo le sarebbe piaciuta scoparsi, lei rispondeva sempre “ho voglia di fottermi un nero”, io la incitavo a cercarselo ma poi questo rimaneva nei sogni.

In aiuto di me e Laura venne l’invito a una cena di gala presso un’ambasciata, a questa cena erano presenti funzionari delle varia ambasciate accreditate in Italia, tra questi vi era “Josef”, gran bel ragazzo afro americano, questi la corteggiò dall’inizio alla fine del ricevimento, la invitò a ballare e durante uno dei balli Josef le passò un biglietto da visita con i suoi numeri di telefono, aggiungendo che gli sarebbe piaciuto invitarla un giorno a pranzo.. Mentre eravamo di ritorno a casa mia moglie mi raccontò tutto, mentre lo faceva la sentivo eccitata, raggiunsi la sua fica ed era un vero lago, a casa trombammo come fosse stata la prima volta.

Nei giorni seguenti invitai più volte Laura a chiamarlo, lei non voleva farlo per paura che poi tra noi qualcosa si guastasse, infine le mie insistenze la convinsero a mandargli un messaggio, dove spiegava, che pur ritenendosi lusingata del suo invito a pranzo non poteva accettare per il fatto di essere sposata, poi seguirono i saluti. Josef rispose immediatamente, con un ringraziamento per essersi fatta viva e chiese se poteva chiamarla per scambiare due parole, mia moglie rispose di si, indicandogli l’ora in modo che io fossi presente.

La sera all’ora stabilita Josef chiamò, parlarono per un po’, poi lui le chiese se almeno era possibile prendere un caffè con lei. Laura accettò e si diedero appuntamento per il giorno dopo in bar del centro, quando si incontrarono lui aveva in mano una rosa rossa e un pacchetto di cioccolatini francesi dei quali le fece dono. Dopo aver parlato per circa un’ora seduti al bar, dove Josef tra le tante chiacchiere, le disse che da lì a sei mesi avrebbe lasciato l’Italia, in quanto il suo mandato stava per scadere, poi la invitò a casa sua, ovviamente Laura rifiutò l’invito, intanto lui continuava a farle complimenti a non finire, si stavano salutando quando lui le chiese se almeno sarebbe stato possibile prendere un caffè a casa nostra, Laura rispose che avrebbe dovuto pensarci su e che gli avrebbe fatto sapere.

La sera mi raccontò il tutto, mi disse che mentre parlava con lui, sentiva l’eccitazione salire fino a sentirsi bagnata, mi confessò che avrebbe voluto scoparselo subito e che comunque notò il rigonfiamento dei suoi pantaloni di lino bianchi aumentare di volume all’altezza del cazzo. Scopammo ancora una volta da matti, l’eccitazione ci travolse, poi decidemmo che l’invito doveva essere per il sabato mattina successivo dal momento che anche io ero libero, intanto loro due continuarono a sentirsi nei giorni seguenti anche un paio di volte al giorno, finché Laura gli disse che per lei era possibile invitarlo per il sabato mattina dal momento che io ero fuori per lavoro e non sarei rientrato che in tarda serata.

Non puoi capire la nostra eccitazione al solo pensiero del sabato, sembravamo presi da raptus sessuali, eravamo letteralmente persi, tanto io che Laura, la notte ci svegliavamo scopando di nuovo. Venne finalmente il sabato, mia moglie lo aspettò in accappatoio bianco cortissimo, il suo corpo ben abbronzato risaltava in modo fantastico sotto l’indumento, ovviamente sotto non indossava nulla e i peli folti ma ben curati della fica tracimavano fuori dall’indumento. Josef arrivò all’ora stabilita, io rimasi al piano superiore, da dove potevo vedere il salotto e loro due senza essere visto, quando lo accolse lui rimase di sasso, era perso, non sapeva dove guardare, ma Laura lo tolse subito dall’impaccio, lo circondò con le braccia e lo baciò in bocca, io ebbi subito una scarica di adrenalina, intanto lui le mise una mano sotto l’accappatoio e prese ad accarezzarle un seno, poi si abbassò e iniziò a succhiarle il capezzolo, pochi istanti dopo vidi la mano di Laura indugiare sulla sua lampo del pantalone, mi resi conto che era assatanata e che non vedeva l’ora di avere il cazzo a sua disposizione.

Erano ancora in piedi davanti al divano, quando i pantaloni di lui calarono a terra, Laura si girò leggermente per far in modo che io vedessi l’arnese di lui, poi esclamò “no non è possibile, non può essere”, in effetti aveva ragione, il cazzo di Josef era spropositato, anche se io non posso lamentarmi, poi tirandosi indietro si inginocchiò e prese a leccarlo dalle palle tenendo l’asta in mano, io non vedevo l’ora di vederlo sparire dentro la sua bocca, mentre lo leccava con l’altra mano prese a slacciargli le scarpe, lo fece sedere e gli tolse il pantalone, lui si era nel frattempo tolto la giacca e la camicia, il suo corpo perfetto e ben armonizzato era in tutta evidenza, intanto Laura aveva ripreso da dove aveva lasciato, ora la vista per me era migliore, lei era sempre in ginocchio sul pavimento, quando gli prese il cazzo in bocca e se lo sprofondò in gola rimasi allibito, per oltre quattro dita rimaneva fuori, eppure conoscendo Laura, sapevo che lei riesce a farsi trapassare le tonsille.

Il pompino non durò molto, infatti Laura dopo poco si mise cavalcioni sopra di lui, prese la pertica e la indirizzò verso la sua magnifica fichetta, la vidi pian piano abbassare il bacino fin quando il cazzo scomparì per tre quarti dentro di lei, intanto io sudavo freddo, avevo il cazzo in mano e dovevo trattenermi per non godere subito, mi dissi che sarebbe stato un peccato, non volevo rompere l’incantesimo, perciò smisi di segarmi, mi imposi di guardare soltanto, ora vedevo mia moglie roteare il bacino sopra il cazzo di lui, era fantastico vedere il culetto di lei, che se pur abbronzato contrastava con il colore della pelle di Josef, incominciai a sentire mia moglie affannata, i suoi miagolii si fecero più intensi fin quando un urlo bestiale le schizzò fuori dall’ugola, poi ancora un altro e un altro ancora, so bene che quando Laura è arrapatissima gode a ripetizione.

Josef la prese per il bacino e la tirò in su, si tolse da sotto, la fece distendere sul divano, prese una sua gamba e la poggiò sopra la spalliera del divano, ora Laura aveva la fica a portata della lingua di Josef che prese a leccarla, vedevo la sua lingua scomparire dentro di lei, lo vedevo spingersi in dentro, intanto con un dito masturbava il grilletto, mi era possibile vedere la sua asta dritta come un fuso, ogni tanto la vedevo sbattere sul suo ventre, Laura era completamente persa, si tirava i capelli, poi le sue dita finivano sulla fica per allargarla tirando le labbra all’infuori, Josef decise che era giunto il momento di godere, la fece mettere in ginocchio sul divano e la impalò da dietro, ora le urla di mia moglie erano si di goduria ma anche di dolore, infatti gli chiese di non sprofondare completamente dentro di lei, a quella richiesta Josef aumentò la velocità della scopata, capii che stava per godere, non mi sbagliavo dopo un attimo lo vidi tirarsi indietro e segandosi leggermente schizzò una mare di sborra sopra la schiena e le natiche di Laura.

Caro lettore non ci crederai ma fino a quel momento Laura e Josef non si erano detti nulla, se non “buongiorno” quando lui è entrato in casa nostra, questo la dice lunga su quanta voglia aveva mia moglie di scoparselo, dalle loro bocche uscirono solo parole intrise di sesso durante la scopata, intanto lei si fece detergere la sborra con il suo accappatoio, poi lei ripulì la cappella di lui con succhiando il nettare rimasto.

Josef le chiese di andare in bagno e Laura gli indicò quello della sala, intanto disse a Josef che lei sarebbe salita a farsi una doccia, quando salì, mi trovò con il cazzo in piena erezione, volli scoparla subito, per prima cosa la leccai per benino, il sapere che era stata profanata da quel cazzo nero mi eccitava da morire, la succhiai come una caramella, il sapore della sua goduria era come al solito meraviglioso, poi la scopai, godetti in pochi secondi dentro di lei.

Chiesi a Laura se intendeva scoparlo ancora quella mattina, lei rispose che le sarebbe piaciuto, ma non sapeva se lui era della stessa intenzione, comunque chiesi a lei di non lavarsi la fica dentro, mi sarebbe piaciuto che nel caso avessero scopato di nuovo, lui succhiasse la mia sborra, poi aggiunsi che se voleva poteva farsi trapanare il culetto, lei rimase allibita, mi guardò e disse; “ma davvero credi che quella pertica entrerà nel mio culetto?”, risposi di provarci perché mi sarebbe piaciuto da morire.

Quando Laura ridiscese trovò ancora lui nudo seduto sul divano, ebbi la conferma che Josef non voleva terminare con una sola scopata, poi sentii lei che diceva a Josef “ora ci facciamo un bel caffè”, i due si trasferirono in cucina, li sentivo parlottare ma non capivo cosa si dicessero. Trascorsero circa venti minuti prima di sentirli salire in sala, io non stavo più nella pelle, non vedevo l’ora di vederli di nuovo all’opera.

Finalmente i due ricomparvero, lui si tolse il pantalone, il cazzo era mostruoso anche in fase di riposo, scendeva penzoloni tra le sue cosce e solo in quel momento mi resi conto che era circonciso. Si distesero sul divano, lui sotto e Laura sopra, presero a baciarsi, lui aveva le sue lunghe dita sopra le natiche di lei, ed essendo almeno 20 cm più alto di lei, riusciva a toccarle la fica con le dita, lo vedevo manovrare dentro la fica con le dita della mano sinistra, e con le dita destre le sfiorava l’ano, poi lo vidi prendere della saliva e bagnare il buchino, ora un solo dito massaggiava l’ano, non mi era possibile vedere il suo cazzo perchè coperto dal corpo di lei.

Poi sentii Laura dire “si ti voglio, prendimi, ho voglia di sentirti dentro di me”, lei si tolse e si mise sotto di lui, certo il divano non era il massimo della comodità, ora il cazzo di Josef era di nuovo in piena erezione, credevo che la scopasse da subito, ma lui prese di nuovo a leccarle la fica, ebbi subito un’erezione violenta, il sapere che lui stava succhiando la mia sborra mi fece impazzire di goduria, presi a masturbarmi, nel mentre vedevo la bocca di lui immersa tra i peli della fica di lei, lo sentivo succhiare, Laura si dimenava dalla goduria, poi lui si portò sopra di lei e prese a scoparla, ora vedevo benissimo il suo cazzo entrare e uscire, poi si fermò un attimo, spinse dentro piano, capii che era sua intenzione capire fin quanto poteva spingersi dentro senza farle male, infatti in quella posizione lui entrò completamente dentro, riprese a pomparla più velocemente, ora entrava tutto senza che lei provasse dolore, intanto la sua mano stringeva un seno, portò le sue labbra sul capezzolo e prese a succhiarlo, sentivo Laura miagolare come un gatto, sapevo che da lì a poco avrebbe goduto e fu così, subito dopo si mise alla pecorina, lui si eresse in piedi e prese a pomparla da dietro, intanto lo vidi far scendere la saliva tra le natiche di lei, la sputava direttamente senza prenderla prima nelle dita, poi vidi il suo dito profanare lo sfintere di lei, immaginavo già cosa sarebbe accaduto da lì a poco, infatti lui si sfilò da dentro, prese l’asta e poggio il glande sul buchetto, spinse diverse volte, ma le urla di lei lo fece desistere, Laura non era della stessa idea, si tolse e disse a Josef di attendere un attimo e senza spiegarsi oltre salì in camera, mi baciò e mi disse, ora prendo la cremina, si dissi brava fatti sfondare tutta, però mettiti in una posizione che io possa vederti, così come eri ero io non posso vedere.

Quando ridiscese prese a spompinare Josef, era terribilmente eccitante vederla succhiarsi quel palo, la sentii un paio di volte avere un rigurgito trattenuto a mala pena, poi tolse il tappo al tubetto della crema, ne prese abbastanza e si umettò il culetto, ne prese ancora e la spalmò sulla cappella, si mise inginocchiata di traverso sul divano, Josef con una gamba fuori e una ripiegata sul divano, prese a spingere un dito dentro, ci lavorò per qualche secondo, il suo dito entrava e usciva, cercava di allargare il foro, poi prese l’asta e spinse dentro, dopo diverse spinte finalmente entrò dentro di lei, dapprima Laura chiese di fare piano, lui ubbidì, si fermò, spinse piano, spinse ancora e ancora fin quando entrò completamente dentro di lei, ora lui si muoveva cautamente senza esagerare, continuò cos’ per un paio di minuti, quando capì che la strada era fatta, prese a cavalcarla con foga, vedevo il suo cazzo entrare e uscire come un pistone nel cilindro, Laura prese a invocare, si sfondami, aprimi come una mela, spaccami tutta, impalami, poi le urla di goduria la travolsero, lui continuò a sfondarla, ora i colpi erano veloci, sentivo il suo ventre sbattere sulle chiappe di lei con una violenza inaudita, era circa un quarto d’ora che lui la scopava nel culo, quando sentii lei dire “dai godiamo insieme io sto per venire di nuovo”, Josef rispose “posso venirti dentro?” no ti prego questo no, sborrami sul seno, questo mi fa impazzire, capii che era soltanto un modo per non farsi venire dentro, dopo poco lei prese a miagolare, eccomi, eccomi vengoo, hooooo, lui si sfilò da dentro, Laura si girò verso il suo cazzo, lo prese tra la sua mano e tre secondi dopo ricevette una pioggia di sborra che le colò tra il seno, uno schizzo la colpì in pieno viso.

I tradimenti di MarinaLa protagonista di questa vicenda è una donna matura di età compresa tra i 41 ed i 47 anni, che suo malgrado si trova a tradire ripetutamente il marito confessandolo candidamente. Ma partiamo dall'inizio: da quando la fanciulla era una bambina e poi una ragazzina preadolescente. Nasce in una famiglia agiata grazie al padre dirigente di azienda spesso assente per lavoro e alla madre casalinga nullafacente per tutta la vita. Riceve un'educazione molto libera e moderna senza divieti e limitazioni, e fin da ragazzina “gode” di molta libertà di movimento e di comportamento, tali da permetterle di partecipare assiduamente a festicciole e serate in discoteca, dove approccia i primi ragazzini e apprende i primi rudimenti sessuali.

La protagonista è subito molto matura per la sua età, con forte carica ormonale e fin da subito con grandissima lubrificazione della passera, elementi questi che la portano a cercare assiduamente contatti erotici con i maschi della zona. All'età di 13 anni perde la verginità per amore (termine ironico che mai per tutta la vita caratterizzerà i suoi rapporti) con un tipo più grande di lei, e da quel momento sarà un crescendo di scopate e pompini con una miriade di giovani del luogo che apprezzano la sua predisposizione.

Tutto trascorre tranquillo fino ad un evento traumatico che la condizionerà per tutta la vita. A 16 anni incontra un ragazzo molto piacevole e dotato che la fa stare bene per un po' ma che ad un certo punto della relazione crea una breccia insanabile. Il ragazzo la poteva scopare solo nei fine settimana in quanto militare, e durante un incontro domenicale la sventurata aveva il ciclo per cui la passera era off limits.

Lui propone la sodomia per risolvere il problema, ma date le dimensioni del suo attrezzo e la scarsa predisposizione della tipa, il coito risulta molto doloroso per lei quanto piacevole per lui. Le inculate si ripetono ancora un paio di volte oltre a quella, a suo dire contro la sua volontà, e sempre a casa di lei in assenza dei genitori, a sentire lei solo per non deludere il fidanzato, ma avvengono in una posizione scomoda per lei, con lui sopra e lei sotto a pancia in su e con le gambe aperte, per cui viene bloccata e chiavata nel culo senza che possa muoversi o divincolarsi.

Queste penetrazioni violente, al limite quasi di uno stupro, con abbondante eiaculazione finale, data la notevole resistenza del tipo, le provocano la dilatazione dell'anello sfinterico e notevoli lacerazioni. La storia finisce presto e lei non accetterà mai più rapporti anali completi per tutta la vita. Tra i 17 ed i 18 anni la troia conosce il futuro marito. Il termine troia viene in questo caso usato per indicare una zoccola che fa sesso solo per piacere e non per soldi o carriera, casistica questa che contraddistingue una vera puttana, ma vedremo in seguito che nella nostra storia le due definizioni in momenti diversi saranno equipollenti.

Il fidanzamento che porterà al matrimonio crea un rapporto di circa venti anni, con un uomo che nel tempo si rivela poco romantico e creativo sotto le lenzuola, con gravi problemi di eiaculazione precoce e quindi scarsa resistenza durante la penetrazione. Lei ama succhiare l'uccello al suo uomo e farsi anche leccare la fica, ma lui non gradisce e si limita per venti anni a rapporti frequenti, ogni due giorni, ma brevi, due/tre minuti massimo, prima e dopo il matrimonio, con chiavate classiche senza variazioni.

Lei spera in un miglioramento futuro ma per noia ed abitudine non se la sente di cambiare compagno e giunge al matrimonio. Nel frattempo però nascono insoddisfazioni lavorative per lei, laureata ma non appagata, e la mancanza di dialogo tra i due è palese già prima del matrimonio, tanto da farla cadere nel primo tradimento con un primo collega più giovane circa una mese prima delle nozze. Come le accadrà altre volte, infatti, lei soddisfa la ricerca di dialogo e comprensione con la ricerca di un nuovo uccello prestante e poco impegnativo, quasi un paradosso: ricerca conversazione e risolve con lunghe chiavate senza proferir parola, dove le uniche espressioni sono i mugugni e le urla di piacere.

Tra i due nascono i primi ammiccamenti, le uscite al venerdì sera da soli, e si fanno quattro belle trombate in un mese, sempre in macchina, all'insaputa dello sventurato futuro marito. I due amanti, però, sono talmente maturi e razionali, che si ripromettono di non vedersi più per salvare il matrimonio di lei, già programmato da tempo. L'occasione è troppo ghiotta per raggiungere i suoi scopi: sposare un uomo ricco e gentile per poter fare figli in serenità e rasserenare la famiglia.

Si celebra il matrimonio e la vita per lei scorre felice, apparentemente, con scopate a nastro, veloci come al solito, senza fantasia, con l'unica variazione della cavalcata con lei sopra e addirittura un cuscino sotto di lui per potersi impalare meglio sul suo uccello non particolarmente generoso e resistente. Lei impara così a scoparselo per venti anni con il preservativo (ufficialmente per evitare danni non programmati, ma in realtà ritardante per ovvi motivi) ma contorcendosi sempre più velocemente per raggiungere il godimento prima della sua eiaculazione, a causa dei citati problemi di durata.

Lei programma il primo figlio, e sembra tutto filare liscio come nelle migliori famiglie, ma la noia e la solitudine iniziano a palesarsi. Ma non riesce a cambiare, proprio per l'ottima posizione lavorativa del tipo, consulente privato delle aziende della zona, con una villa enorme regalata alla coppia dai genitori di lui, ricchi latifondisti e dunque proprietari terrieri, e non ultimo i patrimoni ormai uniti delle due famiglie che lei perderebbe in caso di separazione.

Ma i genitori del marito sono ormai anziani, per cui lui dopo la giornata lavorativa come impiegato, trascorre i pomeriggi ed i week-end estivi a lavorare nei campi, per mantenere il tenore di vita. La coppia, si rilassa comunque abbondantemente sfruttando una casa al mare d'estate ed una in montagna nei mesi invernali e nei fine settimana estivi, dove proseguono anche le chiavate ormai per abitudine e per sfogo. Lei non confessa mai i suoi pensieri ed addirittura pretende il secondo figlio, che arriva puntualmente come da programma a tavolino.

Da sottolineare il comportamento cinico ed ipocrita della signora, che a parole si dichiara non religiosa e non attratta dal matrimonio, totalmente apolitica e disinteressata delle istituzioni, tanto da non essere mai andata a votare, come il suo burattino, ma che ha programmato tutto nei minimi dettagli, con matrimonio religioso, civile e procreazione, per sistemarsi economicamente (con casa comprata e sistemata dai genitori di lui come detto). La frase “è sempre meglio mettere una firma su un contratto”, nel matrimonio esce sempre più di frequente dalla sua bocca.

I figli crescono e la vita scorre noiosa, con lui sempre a lavorare e lei chiusa i sabati e le domeniche nella villa ad annoiarsi, in quanto non avvezza ai lavori domestici quali pulire casa, lavare e stirare, in quanto adeguatamente espletati prima da una colf e poi dalla madre di lei nullafacente, anche come baby sitter. Il marito, dopo anni di intimità ed esperienza è felice di aver sposato una donna che lo eccita moltissimo, e si lascia chiavare, per i suoi standard, ogni volta che vuole.

Spesso arriva a casa voglioso e, con i bimbi che giocano in sala, chiudono a chiave la porta della cucina e se la scopa velocemente da dietro sul tavolo dedicato ai pranzi di famiglia. Ormai la noia, la routine ed il sesso poco appagante proseguono stancamente, ma lei nota che raggiunge sempre con facilità l'orgasmo, per cui non si lamenta. Ad un certo punto, la madre della sposa si ammala e tutto cambia. La poverina si trova sola a dover fare tutto, con un marito poco presente e collaborativo, ed una famiglia di lui che non aiuta in alcun modo.

Lentamente la troia si allontana dal marito mentalmente, anche se continua a scoparselo frequentemente per cui lui non si accorge di nulla, ma la porca comincia a guardarsi intorno per cercare soddisfazioni maggiori e per una sorta di qual desiderio di vendetta nei confronti di un uomo che ha fondato tutto sul denaro ma è poco amorevole e sentimentale, anche nei momenti difficili della madre di lei. In quel momento arriva un collega nuovo e lei ricomincia a fantasticare.

Prima prepara il terreno, controlla tutto nei minimi particolari e le circostanze e poi agisce con estrema lucidità e ferocia. Il collega è un po' più giovane, timido introverso ed arriva da una vecchia delusione dopo una relazione di cinque anni finita a causa di un tradimento con un extracomunitario da parte dell'ex fidanzata meridionale. Il ragazzo non si riprenderà più dal trauma, forse anche per debolezza, ma è il soggetto perfetto per il piano orchestrato dalla nostra bella troietta.

Il collega non ha affetti, non ha amici, in famiglia è considerato un fallito e sul lavoro è solo un tappabuchi senza aspettative di carriera, per cui è il soggetto ideale da sedurre. Lui non ha mai avuto esperienze sessuali con una bella ragazza, l'unica che si è scopato è quella che poi lo ha lasciato dopo averlo cornificato con un nero, ed era pure brutta, piccolina, grassa, senza tette e con un culo enorme.

La troia invece è una bella donna, non magra ma perfetta nelle forme, con grosse tette, lunghe gambe magre e fianchi da vera porca, inoltre è molto disinibita, adotta un linguaggio molto scurrile e ama vestirsi discinta. Il ragazzo non capisce subito e in un primo momento scopre una bella amicizia nata con la collega, che è sposata, per cui, per i propri principi morali, non si azzarda neppure ad immaginare che possa essere interessata a lui dal punto di vista sessuale.

Il ridicolo della vicenda raggiunge il culmine quando la donna inizia a vestirsi molto poco, con abitini corti che ad ogni movimento lasciano intravedere il perizoma e le tette, senza che il marito al mattino vedendola uscire così le chieda nulla sul suo comportamento, e senza che il collega si degni di approcciarla il qualche modo, mentre tutti gli altri colleghi pare avessero ormai capito da tempo. Ma dopo circa un anno di tentativi, lui finalmente capisce e vista la propria condizione di tristezza e solitudine accetta un primo incontro sulla macchina della collega per un saluto veloce con lei in partenza per le vacanze al mare.

Appena salito in macchina lato passeggero, lei lo bacia, gli prende una mano e se la infila tra le cosce, lui stordito sente con due dita subito conficcate nella fica una lago di umori per una grandissima voglia di cazzo, la sditalina un po' e poi le tira fuori le tettone ed inizia a succhiarle. Non gli sembra vero di avere una visione simile, una vacca vogliosa con le gambe aperte e le tettone di fuori tutta bagnata, con i capezzoli che ad ogni poppata diventano grossi e duri, inseriti in un'areola che è quasi larga come la mammellona.

Ma lei, da vera troia, dice che sono in pieno giorno, in macchina, in un luogo non appartato ed è in ritardo per cui deve partire per la montagna e a breve per il mare, e lo lascia così col cazzo duro e come unica consolazione la solita sega serale. Lei passa quindici giorni nella casa al mare spensierata, con spiaggia al mattino, shopping al pomeriggio e chiavate serali, ma con sempre una voglia pazzesca di scoparsi il collega, anche se in realtà non sa nulla di come scopa, non gli ha mai visto l'uccello e soprattutto non ne conosce la resistenza durante la trombata.

Ma l'eccitazione e la curiosità per un nuovo amico che ormai pensava di non poter possedere sono alte e così programma l'incontro fatidico. Da vera porca irriconoscente organizza il tutto lo stesso giorno in cui tornano dal mare, con una scusa esce di casa per andare al supermercato (non hanno nulla da mangiare dopo 15 gg di mare), lascia a casa il padre con i bimbi, che tanto saranno impegnati ad una festa, ruba un preservativo dalla shitola in casa che usa giornalmente con lui, e corre all'incontro.

Il momento è emozionante, ma c'è poco tempo ed il primo pomeriggio è molto luminoso, allora i due scelgono di andare in macchina in una stradina di campagna e si trasferiscono sul sedile posteriore. I vetri oscurano leggermente e nascondono le loro ombre ma la campagna non eclissa completamente l'auto, tanto che ci sono alcuni ragazzini che passano ripetutamente intorno e ridacchiano tra loro. Appena posizionati, la vacca inizia a limonarsi il suo nuovo amico e si sente tornare sedicenne, con sensazioni fortissime nella fica che inizia a bagnarsi come mai negli ultimi 15 anni.

Lui come al solito è imbranato, non sa bene come comportarsi, ha paura di fare brutta figura e quasi non parla, ma ha una grandissima voglia di fare sesso sfrenato e di fare tanti giochini erotici che con la precedente ragazza, unica peraltro della sua inutile esistenza, non poteva chiedere in quanto non graditi. Lei dopo i baci vuole subito l'uccello, allora si toglie minigonna e perizoma, non scopre neppure le poppe, glielo tira fuori dai pantaloni ed inizia a smanettarlo, anche se risulta da tempo duro ed eretto, anche se sperava fosse di dimensioni maggiori.

A quel punto lui non sa che fare, non avendo portato nulla, lei allora estrae il condom dalla borsetta e con grande imbarazzo di lui glielo calza sul cazzo con un solo movimento frutto di anni si esperienza. Sistemate le pratiche burocratiche, sempre senza dire una parola dolce, la vaccona salta con un balzo sulle gambe del collega e, inaspettatamente senza usare le mani, si trova impalata fino alla radice sul suo uccello ed inizia a cavalcare.

Il ragazzo non è abituato a tanta troiaggine ed inizia ad inarcarsi per farla godere al meglio, le accarezza il culo ma nulla più, cercando solo di mantenere un'ottima erezione per soddisfarla al meglio. Mentre la vacca se lo monta urlando da vera porca, lui scopre un altro particolare che gli fa indurire e gonfiare ancor di più l'uccello: con la mano sinistra le munge le tette, ma con la destra le mana il culo e sente il fiorellino che pulsa e si dilata ogni volta che lei sale per poi scendere di shitto e impalarsi fino alle palle, ma sopratutto sente un'incavo a forma di “V” all'attaccatura superiore delle natiche.

Guarda bene spostando la testa di lato e vede bene quella “V” tipica di quei bellissimi culi delle modelle porche che posano nude per le riviste patinate, e ciò lo ecciterà sempre come un toro da monta. Nota fin da subito che la tipa possiede una fica bagnatissima e molto larga, dovuta alle due gravidanze ed all'intensa attività sessuale dall'età di quattordici anni, e quindi non sente un granché, anche a causa del preservativo ritardante, perfetto per il marito ormai bi-cornuto, ma fastidioso per lui che non è mai peraltro riuscito a sborrare con il guanto con la prima ragazza.

Fortunatamente la troia apprezza alla grande la chiavata, sente benissimo strofinarsi la cappella nel punto giusto della fica durante la cavalcata, ed essendo abituata a scoparsi il cornuto ed a godere in tre minuti per non perdere il misero trenino, si scioglie in cinque minuti e gode come una cavalla in calore inondando di umori l'uccello del collega ed anche il sedile in pelle dell'auto. Ora, però, si presenta un altro problema: lui ha molto apprezzato l'orgasmo di fica della vacca , sempre senza parole e mugolio, quasi strozzato essendo abituata a moderarsi per non farsi sentire dai bimbi, ma non riesce a sborrare.

Il condom e la posizione non favoriscono l'eiaculazione, così la vacca prende una decisione improvvisa: si estrae l'uccello dalla fica, gli sfila il guanto ed inizia a smanettarlo; a quel punto il collega si fa coraggio e le chiede di fargli un bel pompino. A lei non pare vero e, felicissima per l'occasione (per anni infatti non ha potuto succhiare il cazzo del marito onde evitare una venuta ancor più rapida) inizia a spompinare l'uccello che l'ha fatta godere pochi minuti prima.

Prima inizia a leccargli la cappella e poi affonda la pompa sempre più in profondità, aumenta il ritmo e la forza del pompaggio e vede che il maschietto resiste molto bene a tutte le sollecitazioni di mano e di bocca, così, ancora vogliosa, gli chiede di essere chiavata una seconda volta. Lui allora la prende, la butta sul sedile di schiena, le apre le cosce e le pianta l'uccello durissimi nella passera bagnata senza condom.

Alla porcona non sembra vero, poter chiavare senza pensieri e senza guanto, poter sentire tutto fino in fondo…. si lascia andare completamente ed assapora la chiavata contraendo la fica sul cazzo con voglia e passione. Lui la monta da vero toro e lei si lascia andare a piccoli urletti di piacere, lui non viene ancora ma la chiava come un trapano cambiando continuamente ritmo e profondità della penetrazione. La fotte per trenta minuti abbondanti da sopra senza calare il ritmo e lei si sente in paradiso, senza doversi continuamente fermare, per la prima volta in venti anni, per non farlo venire come capita con il cornuto.

Ma il tempo corre, così stringe la fica e gode per la seconda volta in pochi minuti come una gran troia in calore, urlando come una vacca da monta. Sente per la prima volta da anni di aver trovato un uomo che la fa godere da vera troia senza chiederle nulla in cambio e senza protezioni e preoccupazioni, in totale controllo del suo uccello. E' ormai ora di scappare a casa dal cornuto, ma il collega è ancora lì con il cazzo duro; lei gli fa un bel bocchino da seduto, mentre lui le infila due dita nel culo bagnato, poi lui finisce il lavoretto con una sega veloce e le sborra un mezzo bicchiere di sperma in gola.

Lei ingoia tutto con estrema goduria, gli pulisce il cazzo con due leccate veloci e si riveste per tornare a casa. Mentre si ricompongono la troia ha anche la faccia tosta di fare i complimenti all'amico e di fare confronti con l'uccello del cornuto, in particolare è rimasta colpita dalla durata della chiavata e poi dal sapore dello sperma, quasi alla vaniglia, che, a suo dire, in genere è molto acido mentre in questo caso le è piaciuto molto e l'ha ingoiato con vero piacere sino all'ultima goccia.

Si salutano e lei come nulla fosse, tutta sudata in quanto piena estate, e con un forte sapore di sperma in bocca, torna dalla sua famiglia con la fica larga e ancora grondante di umori. Nei giorni seguenti si vedono ancora, parlano tanto sul lavoro ed in auto, ma sopratutto chiavano alla grande. Dopo una scopata da urlo, nel vero senso del termine, lei pare non aver fretta di tornare e si fermano ancora a parlare, e lui le chiede esplicitamente di non farlo innamorare di lei per non creare una situazione pericolosa e triste, ma lei non risponde e lo bacia con la lingua.

La vita scorre tranquilla, sul lavoro l'intesa è perfetta, nei mesi successivi si vedono circa due o tre volte a settimana, sempre rispettando gli impegni di lei con i figli, che non devono sapere e non devono essere penalizzati. Lei a casa è una mogliettina perfetta, continua a non svolgere alcun tipo di lavoro domestico ma si occupa a tempo pieno dei figli e del cornuto, che peraltro è totalmente assente per romanticismo e impegni dei figli nel doposcuola in quanto totalmente assorbito dal lavoro anche lontano da casa.

Lei ha ritrovato una certa voglia di chiavare anche con lui, forse stimolata dalle penetrazioni pomeridiane, ma cerca sempre, per una qual forma di rispetto nei confronti di tutti e due, di non farsi chiavare nello stesso giorno al pomeriggio dal collega e alla sera dal cornuto; ma forse il vero motivo è di non farsi trovare con la fica più larga del solito, per la scopata a nastro di pochi minuti prima che dura sempre dai venti minuti ai quarantacinque, e non ultimo il sapore di seme in gola dovuto all'ormai consueto ingoio di fine chiavata con il collega, fatti questi che farebbero venire dei dubbi anche al bonaccione del marito che non sospetta nulla.

Una sera di inizio dicembre, però, accade l'imponderabile e tutto il castello di bugie rischia di crollare: dopo cena i due mettono a dormire i bimbi e si accingono a guardare la tv prima di andare a letto, ma non ci sono film decenti per cui anticipano la nanna. Una volta arrivati in camera lei va a letto e lui, come accade sempre dal giorno del matrimonio quando c'è l'ha duro, si sfila i calzoni e di calza il preservativo senza parlare o chiedere alcunché e si dirige verso la sua passera per chiavarsela, peccato che lei poco più di 3 ore prima si sia fatta già una doppia trivella con il collega che l'ha fatta godere per due volte in 40 minuti di trapanate con il suo uccello in erezione perpetua, per cui ha la fica particolarmente sensibile e per la prima volta completamente asciutta.

La troia non sa che fare ma decide di prenderlo come le altre volte in allegria, tanto, pensa, in due minuti finisce e dorme. Invece alla prima penetrazione sente un forte dolore, spinge via il cornuto e non accetta di riprovare a farsi sbattere, lui si adira e iniziano a litigare. A questo punto lei crolla e comincia a tirare fuori la solita storia da lontano per fargli capire la verità, dicendo che con lui non si sente appagata come il primo giorno, lui non c'è mai etc etc…alla fine confessa il tradimento e lui va a dormire nella camera degli ospiti.

Il giorno seguente al mattino la insulta e se ne vanno al lavoro. Lei pensa che ormai sia tutto finito e comincia a pensare alla separazione. Ma sarebbe troppo bello e comodo se finisse così, come accade in migliaia di coppie ogni giorno nel mondo. La famiglia sembra disgregata, litigano, non si parlano, lei si sente quasi sollevata avendo confessato e da ormai per scontato il divorzio. Poi però intervengono i genitori della troia, che la invitano a pensare ai figli, al discorso economico e ai motivi per cui lei è arrivata a farsi chiavare da un altro.

Si sprecano i pomeriggi a discutere, la madre sa anche del primo tradimento un mese prima del matrimonio, le fa notare il suo comportamento non esattamente edificante anche con espressioni pesanti ed arriva pure a dirle che certe cose si fanno e non si dicono, per il quieto vivere, per i soldi e per i figli. Ottimo esempio di educazione e di insegnamento che si vuol dare ai bimbi, complimenti. La zoccola inizia a pensare, si accorge improvvisamente che il poveretto in realtà non l'ha mai tradita, mai trattata male, le ha dato una villa e una vita agiata e tutto sommato la chiava adeguatamente senza chiederle mai cose strane….. Intanto però il collega amante si sente disorientato, si è innamorato perdutamente di quella che ai suoi occhi pare al donna perfetta, che lo ha cercato in tutti i modi, e che continua a cercarlo per farsi chiavare senza remore.

La vacca nel frattempo decide di rimanere col cornuto, gli promette eterno amore e fedeltà e si rifiuta per qualche giorno di parlare con il collega, che entra in un nuovo stato di depressione, come nella precedente esperienza. Intanto nella casa del mulino bianco il burattino crede di aver ritrovato una nuova moglie, la ricopre di attenzioni, la perdona e le promette che per i suoi integerrimi principi morali non la tradirà mai e non si vendicherà mai scopandosi un'altra donna.

Lei sente di aver raggiunto il suo scopo, si è vendicata del comportamento asettico ed assente del cornuto per 20 anni, si è fatta perdonare, ed ha ottenuto una marionetta che manovra come vuole. Lui del resto cerca di recuperare l'intesa sessuale, costringendola a chiavate ripetute tutti i giorni per dimostrare che sono attratti e fatti l'uno per l'altra, non rendendosi conto che per lei ormai uno zucchino vale l'altro, come ha sempre sostenuto con le amiche.

La storia non finisce qui ma a questo punto possiamo cominciare a tracciare una prima considerazione: se ti sposi, firmando un contratto civile e prendendo un impegno morale vincolante al rispetto ed alla fedeltà eterna, se tradisci anche una sola volta rompi quel patto per sempre, vieni meno all'accordo e se non ne prendi atto trascorrerai la tua esistenza in un limbo, fatta di falsità e di finte cortesie, pregna di ipocrisie e di comportamenti meccanici che inevitabilmente si trasferiranno nei principi trasmessi alla prole.

Dall'altro lato, del resto, se accetti di sposare una donna che nei comportamenti evidenzia fin da subito tendenze da troia e ti racconta tutti i suoi trascorsi con i maschi prima di te, con una chiara predisposizione alla goduria ed alla costante ricerca del cazzo, con una storia alle spalle di un intervallo mai superiore ai due giorni tra una chiavata e l'altra, non puoi pretendere che ti sia fedele e non ricerchi nuove sensazioni, specie se non la chiavi secondo le sue tempistiche ed i suoi desideri e se deve sempre fermarsi per non farti venire prima.

Passano infatti pochi giorni dalle nuove promesse che la troia cerca di nuovo il collega e se lo scopa con ancora più voglia di prima. Intanto il cornuto aveva minacciato al telefono il povero amante ed aveva iniziato a muovere le sue aderenze per fargliela pagare. Infatti, mentre i due colleghi continuano a scoparsi con profonda soddisfazione, iniziano una serie di disavventure ed episodi negativi che tarperanno per sempre la sua carriera. Il burattino appare sempre più sicuro di sè e felice di aver vinto la guerra per tenersi la vacca, ma non sa o forse finge di non sapere che lei continua imperterrita nelle sue scivolate sull'uccello del collega, o come ama spesso dire ” ogni tanto si fanno un giro insieme”, per i cinque anni successivi.

Agli occhi di un esterno, infatti, parrebbe sin troppo facile dedurre dai comportamenti della vacca un non so che di apatia, anche solo dal modo di comportarsi; lei infatti non gli prende mai l'uccello in mano per farsi chiavare, non lo spompina mai, non lo bacia neppure, apre solo le gambe quando lui la prega di dargliela, ma rimane passiva. Gli accordi infatti sono che lui la tiene in casa ma solo se si comporta da moglie, lasciandosi quindi chiavare senza ritrosia, ma lei ormai non riesce più ad essere pro attiva nel prendere l'iniziativa poiché pensa sempre all'altro pisello.

Ma il cornuto ormai è sicuro della sua fedeltà, tanto da non chiedersi mai il motivo per cui lei in alcuni giorni della settimana si rifiuti di farsi montare, mente in altri no (forse perché nel pomeriggio è già stata sbattuta con violenza per cui ha la fica irritata), non le controlla mai il telefono e la porcona gode di una fiducia totale. E pensare che basterebbe un semplice controllo via internet presso l'operatore telefonico per acclarare un intenso traffico telefonico dal suo smartphone sempre allo stesso numero chiamato e poi cancellato, sia in settimana che nei week end e pure dai luoghi di villeggiatura.

Il ragazzo viene trasferito più volte, viene posto ai margini dell'azienda, ed entra in una profonda crisi esistenziale, non ha più voglia di vivere, in famiglia si sente disprezzato e deriso, mentre vede che lei è portata su un piedistallo come una santa per aver apparentemente rinunciato alla goduria personale per la famiglia. Unica ancora di salvezza per lui appare scoparsi a nastro quella troia che lo fa sentire importante e desiderato, così continua a chiavarsela senza farsi domande e porsi questioni morali, visto che per prima la vacca non ha pentimenti e continua a fingere di essersi pentita salvo poi saltargli sul cazzo ad ogni occasione utile.

Così inizia a chiederle sempre di più e le chiavate si trasformano in un film porno ogni volta. Lei gode sempre meglio e lui la allarga sempre di più in ogni pertugio. Oltre alla fica lui si dedica anche al buco del culo, per cui ha quasi un'ossessione, tanto che ormai ad ogni scopata lei gode con la minchia conficcata nella gnocca e due dita infilate nel culo che spingono e toccano addirittura la cappella all'interno della fica, mentre con la bocca munge le poppe della vacca che cavalca ed urla ad ogni venuta.

In una delle trombate, il collega, durante la solita leccata di fica che lei chiede prima di essere sbattuta da sotto, si accorge che è talmente bagnata che non riesce a succhiarle tutti gli umori, e vede che continua a produrne e che colano addirittura lungo la vagina per lubrificarle anche il buco del culo. Decide allora di chiederle di lasciarsi inculare, pur sapendo della sua fobia per il cazzo in culo, e lei, ancora molto presa emotivamente e desiderosa di soddisfarlo viste le favolose venute che le dona ogni volta, accetta di provare, confidando nel fatto di avere l'anello sfinterico già abbastanza dilatato dalle sditalinate abituali durante le chiavate nella passera.

Si piazza dunque a pecora sul sedile aggrappandosi al poggiatesta e divaricando al massimo cosce e chiappe per esporre al massimo il buco del culo al suo amico, che la afferra con una mano sul fianco e con l'altra manovra il pistone per cercare di sverginarla nuovamente. Appena lui appoggia la cappella al buco, lei inarca la schiena e lo incita alla penetrazione, allora lui comincia a spingere delicatamente e nota con sorpresa che il buco si dilata subito e lo lascia entrare subito per qualche centimetro.

Forse per l'uccello piccolo, forse per l'eccitazione, la donna non sente dolore e lo incita alla sodomia ripetuta per venirle dentro per la prima volta da quando si conoscono, lui è infoiatissimo e si impegna per incularla a sino in fondo, ma inaspettatamente, per la prima volta, a causa della fortissima eccitazione, si blocca e il cazzo gli viene molle e non riesce a sborrarle nel culo, tanto che per la frustrazione deve chiederle di spompinarglielo per un buon venti minuti.

Lui con una sega si svuoterà nella sua bocca, come di consueto. Il fato, evidentemente, ha deciso che il rapporto anale con lei non sia cosa buona e giusta e da quell'unico tentativo non lo lascerà mai più provare con l'uccello, ma si lascerà solo esplorare il fiorellino con le dita. Il rapporto tra i due colleghi appare ormai consolidato e l'affiatamento è straordinario, e pur lavorando a quaranta km di distanza, ogni singolo minuto ed ogni occasione vengono da lei sfruttati per organizzare con passione una veloce o lunga chiavata in auto o nelle colline della zona di residenza.

Il collega non riesce a capacitarsi del fatto che lei si apparti con sempre più desiderio con lui e sempre più spesso senza, del resto, cercare in alcun modo di lasciare il cornuto per crearsi una vita normale con l'unico uomo, a suo dire, che la faccia sentire veramente appagata e felice. L'amico inizia così a nutrire seri dubbi sui sentimenti di lei nei suoi confronti, si accorge che tutta la vita della vacca poggia le basi sulla menzogna e sulla falsità, e che sopratutto per lei la parola amore e rispetto che tanto spreca a vanvera durante gli accoppiamenti non hanno alcun valore reale, ma vengono utilizzate meccanicamente per dare una parvenza di giustificazione morale ai suoi comportamenti.

Del resto appare ormai evidente che la troia abbia scelto il male minore, anzi il bene migliore per lei con godimento costante doppio annesso. Per capire meglio il concetto possiamo utilizzare questo paragone quanto mai pertinente al caso di specie: pensiamo alle prostitute che esercitano liberamente in casa in quanto provenienti da famiglie disagiate, senza lavoro, con difficoltà economiche, preferiscono di gran lunga farsi chiavare a pagamento , godendo pure a volte anche loro, e guadagnando pure bene, piuttosto che spaccarsi la schiena andando a fare le pulizie nelle case piuttosto che altri lavori pesanti.

Il nostro caso è identico: la troia decide razionalmente di rimanere con il cornuto, pur non essendo appagata sessualmente e affettivamente, ma anche di farsi sbattere adeguatamente dal collega, il tutto per non perdere l'agiatezza e il tenore di vita elevato conquistato, soldi, case ed in ultimo i figli, cose materiali che l'amico non sarebbe in grado di darle, come unico sacrificio quello di farsi chiavare dal burattino a piacimento (da notare sempre con orgasmo della troia e sempre senza fatica alcuna).

Bimba non è comodo cornificare, non prendersi alcuna responsabilità per ciò che è successo, continuare pure negli anni, e godere allo stesso modo con due uccelli? Una persona normale ed onesta non riuscirebbe neppure a guardare negli occhi il marito dopo il tradimento, figuriamoci farsi chiavare pure godendo e ricercando continuamente orgasmi. La troietta è talmente vacca che è alla costante ricerca di un letto appartato dove lasciarsi inchiavardare senza pericolo di essere vista con il culo di fuori come in auto, tanto che chiede sempre più spesso all'amico di andare in un qualsiasi motel della zona.

Ma, visti i rifiuti, che lui reitera per proteggerla stupidamente, in qualche modo per non far comparire i loro dati personali nei registri di quelle strutture, ne studia un'altra. In una giornata in settimana in cui entrambi sono liberi dal lavoro, lei se lo porta addirittura nell'appartamento dei suoi genitori. Passano un'intera mattinata a scoparsi e leccarsi con orgasmi multipli per lei è penetrazioni violente mai viste per lui. Iniziano subito con un bel 69 con lui sopra e lei sotto, nei lettini uniti della camera degli ospiti, lui le lappa la fica con movimentati rapidi e lenti, prima sulle grandi labbra e sul clitoride, poi fin dentro in profondità per leccarle il lago di piacere che si è formato.

Nel frattempo con una mano la prende per i capelli, le pianta il cazzone duro in gola e glielo spinge fino ad appoggiarle le palle sul naso, divertendosi stupito di cotanta troiaggine nel fantastico pompino, molto apprezzato pure dalla vacca. La mattina trascorre con lei prima impalata sul suo uccello preferito, poi chiavata a pecora con tre profondi orgasmi in sequenza e due sontuose sborrate di lui prima sulle tette e poi in gola alla porca.

Non solo, ma è talmente porca e senza vergogna che si vanta anche col collega che durante le scopate col cornuto, la loro intesa è talmente perfetta che lei contrae la fica al momento giusto, senza parlare, e sborrano insieme, lui nel preservativo e lei sul suo uccello, al solo scopo di deprimere ancor di più l'amico e vincolarlo alla sua fica sempre bagnata. Ogni occasione è utile per sperimentare nuove posizioni o pratiche più depravate, lei è prodiga di attenzioni e lui si sente finalmente felice anche se senza futuro per la vita.

Anche nei momenti in cui lei è indisposta a causa del mestruo, si sextena in pompini sontuosi senza mai stancarsi di sbocchinargli la cappella, per poi scendere fino alle palle e leccargliele con gusto e competenza, salvo poi confessare che a casa sia una pratica ormai dimenticata da circa undici anni circa. Ormai il collega ha compreso che la donna di cui si è perdutamente innamorato è una troia fin nel midollo, probabilmente ninfomane, per caratteristiche genetiche sempre portata alla ricerca di forti emozioni che solo un uccello duro e resistente può darle, non vacca per cattiveria ma per natura, tale da essere tanto porca non solo da continuare a farsi chiavare per anni da almeno due uomini contemporaneamente, ma anche da giustificare il tutto come normale e raccontare nei particolari le deludenti scopate col marito all'amico, come per dargli merito di essere il solo a soddisfarla.

Infatti l'amico continua a chiederle se sia innamorata di lui senza mai ottenere risposte incoraggianti, salvo poi raccontare particolari intimi e farsi sbattere in posizioni sempre più eccitanti. Gli incontri in auto sono per lui e per lei sempre ricchi di lunghe penetrazioni seguite da discorsi altrettanto deprimenti per le residue speranze di lui. Il collega ogni volta sempre più triste, a quel punto si sente di voler piangere, ma è innamorato di una troia, non ha più speranza e voglia di vivere, la bacia e mette in moto per portarla indietro.

Scrivere poche righe però lo aiuta per alcuni minuti al giorno a coprire il velo di tristezza e di abbandono che lo accompagna dal risveglio alle lunghe notti insonni ormai croniche. Sado-masoFinalmente è venerdì. Fra qualche ora sarò completamente suo. A sua completa disposizione. Ciao buon week-end ci vediamo lunedì, mi salutano i colleghi ed io rispondo incominciando a sentire avvampare il calore che avvolge il mio corpo. Salgo in macchina e mi avvio; fra qualche minuto sarò a casa dove mi sta aspettando Lei ….. Sarà un week-end di totale sottomissione.

Arrivo a casa, parcheggio la macchina e suono il campanello, il cancello è già aperto …. Entro e chiudo il cancello e comincio a spogliarmi …. Completamente come mi aveva ordinato Lei. Sono nudo. Piego i miei vestiti guardandomi in giro, potrebbe vedermi qualcuno …. Una macchina infatti sta arrivando, faccio in tempo a nascondermi dietro una colonna. Pochi secondi che mi sembrano un’eternità … finalmente entro in casa. Appoggio la borsa con i vestiti su una sedia e mi metto in ginocchio in attesa che arrivi Lei ….

Perdo la cognizione del tempo saranno passati 10 minuti forse 20… non sento nessun rumore … Finalmente mi chiama “Sei arrivato finalmente!!!!” vieni subito qui da me!!!! Mi alzo e la raggiungo. È seduta sul divano …. Indossa solo il suo body nero con ai piedi delle ciabatte con il tacco alto “Buonasera Padrona” le dico con gli occhi abbassati e devotamente mi inginocchio per baciarle i piedi, ma uno schiaffone mi colpisce sulla faccia e poi un altro e un altro ancora.

“Chi ti ha detto di alzarti? Ritorna immediatamente da dove si venuto e ritorna qui come un cane muoviti!!!” Immediatamente mi alzo e faccio per andare, ma Lei mi blocca per un braccio “Allora non ci siamo capiti” mi prende i capezzoli tra le dita e li strizza violentemente costringendomi ad inginocchiare. “Forse adesso hai capito … fila in ginocchio …. muoviti!!!” e mi molla un calcione nel sedere facendomi cadere a faccia in giù.

“Anzi … striscia come un verme” …. e mi molla una cinghiata sul sedere. Strisciando ritorno sulla porta d’ingresso e mi rimetto in ginocchio aspettando il suo ordine. Dopo qualche minuto mi richiama “Vieni qui miserabile inetto di uno cane”. Questa volta come un cane a quattro zampe mi accingo a raggiungere la mia padrona. Quando arrivo vicino incomincio a leccarle i piedi. Lei mi accarezza la testa e mi fa una carezza invitandomi ad alzare la testa.

Comincio a leccarle la mano. “Vedi che quando vuoi sai essere docile come un cane, e non come hai fatto questa settimana che sei stato veramente cattivo. E quando sei cattivo poi la tua Padrona ti punisce … Giusto?” “Si Padrona … sono stato cattivo e non ho ubbidito ai suoi ordini. Merito tutte le punizioni che mi vorrà dare” Lei si alza e prende un guinzaglio che mi mette al collo. Così mi trascina fino al garage.

Apre la porta e mi spinge fuori in giardino. Il nostro giardino dà su una strada ed è recintato da una staccionata. Chiunque passi di li può tranquillamente vedere quello che avviene nel giardino. Io sono titubante a uscire e, questa titubanza fa arrabbiare la mia Padrona, che comincia a darmi cinghiate sul sedere e sulla schiena. Esco fuori e lei lega il guinzaglio alla gamba del tavolo. Mi lascia li e se ne rientra dentro.

Mi guardo intorno … arriva una macchina, mi nascondo sotto il tavolo …. Arriva un’altra macchina … ho l’impressione che mi abbiano visto. Vedo la luce degli stop che si accendono … per fortuna se ne va. “Che fai sotto il tavolo? vieni fuori” non mi ero accorto che si era affacciata alla porta. Viene verso di me slega il guinzaglio e mi strattona per cercare di mostrarmi. Mi porta al centro del giardino, mi toglie il guinzaglio e mostrandomi un pezzo di legno lo lancia vicino il recinto … in ginocchio devo andarlo a raccogliere il viso si avvampa vedo una signora con un cane vero che si sta avvicinando.

Corro sperando non mi abbia visto. Arrivo e alzando le braccia porgo il bastone stretto tra i denti alla mia padrona e, con gli occhi la supplico perché mi faccia entrare. Lei capisce la mia vergogna e mi spinge verso il tavolo. Scappo sotto e cerco di accucciarmi per evitare che mi veda. Lei si siede e quando arriva la signora, la saluta cordialmente scambiando qualche parola sul suo cane. Le sento parlare sottovoce e poi una gran bella risata di entrambe.

Dalla voce mi sembra di riconoscerla, è Anna la nostra vicina, non ho il coraggio di alzare la faccia … ma quando va via fa i complimenti alla mia padrona per il suo originalissimo cane. Ma noi non abbiamo nessun cane!!!!! Mi ha visto!!!! Avvampo di calore il mio volto sarà sicuramente paonazzo!!!! La mia padrona ringrazia e dice che magari qualche giorno potremmo portarli a spasso insieme. E ridono ancora più divertite. Credo che Anna sia ancora vicino al recinto quando la mia padrona mi sferra un calcio e mi ordina di uscire … e ridendo “quante mosse … tanto ti ha visto e, a quanto mi ha detto , non è la prima volta che ti vede in versione cane, credo sia molto interessata a te.

Sarà sicuramente un’amante di cani” Mi mette il guinzaglio e mi fa girare intorno al tavolo, e ora vedo la faccia di Anna con il suo risolino. Vorrei sprofondare … “Scodinzola” mi ordina la mia padrona e io cercando di farla contenta muovo il culo proprio mentre sto davanti ad Anna. Il suo cane abbaia e la mia padrona mi ordina “Abbaia anche tu , rispondi al saluto del tuo simile”. Io abbaio goffamente e, mentre mi riporta in casa con la mano fa un segno e poi saluta Anna che ricambia, molto divertita, con un occhiolino.

Una volta dentro si toglie la vestaglia che aveva indossato per uscire e rimane ancora col suo body nero e ciabatte dal tacco alto. Mi strattona il guinzaglio e mi fa alzare le mani lasciandomi ancora in ginocchio. Quindi mi pinza i capezzoli con due pinzette a denti di coccodrillo e mi molla due ceffoni che mi fanno barcollare. Si tira fuori una tetta e mi ordina di leccargliela, io con molta devozione la incomincio a baciare e a leccare arrivando fin sul capezzolo che comincio a ciucciare.

Mi ama la mia padrona e ogni tanto mi da qualche bella ricompensa, come leccarle le tette. Mi stavo deliziando a sentire il suo sapore ma ancora due ceffoni mi riportano alla realtà. Prende un grosso pene di plastica e me lo mette in bocca “guai a te se lo fai cadere, mettiti giù a quattro zampe, non lamentarti, non parlare, silenzio assoluto. Ora ti colpirò 50 volte con la cinghia e guai a te se ti muovi ….

Intesi? “ Faccio segno di si con la testa. Arriva il primo colpo non molto forte e poi il secondo e il terzo … incomincia a tirare più forte … non mi muovo, so che poi la punizione diventa terribile. Siamo a dieci, undici …. ”Sai, Anna, la nostra vicina, ha detto che le piacerebbe tenerti al guinzaglio …” dodici colpi, tredici, quattordici … non rispondo ma avverto un forte calore alla faccia. “Dice che lei sa come trattare i cani” … quindici, sedici, diciassette, ….

venti “ma le ho detto che anche io non scherzo” … ventuno …. venticinque … “ Ormai è oltre un anno che il fine settimana addestro cani! “ … trenta, trentuno … incomincio a muovermi leggermente e questo lei lo nota e allora comincia a picchiare più forte … “ Mi ha detto Anna che spesso sente i tuoi lamenti … una volta stava venendo per vedere se ti sentissi male, ma quando è arrivata alla finestra ha visto te tutto nudo e me che ti stavo frustando … non ha voluto disturbarci , anche se avrebbe avuto tanta voglia di entrare, ed è rimasta li a guardare molto divertita” … Quaranta, quarantuno ….

Non ce la faccio più … lei ancora più forte …. Quarantacinque, quarantasei … mi cade il pene che avevo in bocca e comincio a lamentami … giù un colpo fortissimo che mi fa cadere a terra …. E un altro e un altro ancora e ancora altri sette otto colpi …. dieci ormai …. non li conto più …. Lei la mia padrona è arrabbiata … e ha ragione! Non sono stato bravo a sopportare solo 50 colpi di cinghia!.

Mi fa alzare, mi molla cinque, sei ceffoni e mi sgrida per non essere stato ubbidiente; mi toglie le due pinzette a denti di coccodrillo, e piego le ginocchia … ancora sei ceffoni … la mia faccia è un fuoco. “Lo sai che ora devo punirti ancora?” “ Si mia padrona non sono stato ubbidiente e merito tutti i castighi che mi vorrai dare” … e faccio per mettermi in ginocchio per baciarle i piedi, ma lei mi da un calcio “chi ti ha detto di inginocchiarti? La punizione sarà ancora più tremenda.

” Mi prende per il guinzaglio e mi porta alla croce a X, mi toglie il guinzaglio, mi lega le braccia e i piedi, mi fa passare una cinta che mi blocca la pancia alla croce. “Avevo pensato di darti 20 colpi ai capezzoli, ma considerato che sei disubbidiente te ne darò 50. Dovrai contarli e ringraziarmi ad ogni colpo con voce alta e sei anche autorizzato a lamentarti, ma non chiedermi di smettere, altrimenti ti darò 100 colpi.

Hai capito?” “Si padrona” mi colpisce con due ceffoni. “Hai capito” mi ripete ed io gridando a squarciagola “ Si padrona”. “Adesso hai capito … voglio sentire i tuoi lamenti, voglio vederti piangere! Voglio che anche Anna senta le tue urla” Si tira fuori entrambe le tette e le avvicina alla mia bocca …. Delizia …. Incomincio a ciucciarle una, si sposta e mi offre l’altra ….. come amo la mia padrona …. In fondo lei mi vuole bene e le punizioni che mi dà sono solo perché me le merito perché sono un incapace e non riesco ad ubbidirle come si deve.

“Ora basta” e si sposta lasciandomi il dolce sapore sulle mie labbra e nella mia bocca … prende la benda e mi copre gli occhi “Non devi vedere quando arrivano i colpi …. Ma li devi sentire!” Il primo colpo è sul pene … non molto forte …. Ma mi fa uscire il primo lamento e “Uno, grazie padrona”; poi una serie di colpi sui capezzoli, martoriati dalle pinzette a denti di coccodrillo, abbastanza forti che mi fanno lamentare, e non poco, “Due, grazie padrona, tre, grazie padrona … otto , grazie padrona”.

I colpi incominciano ad essere sempre più forti sui capezzoli, intervallati da colpi meno potenti sul pene, io ogni volta grido il numero del colpo e il grazie padrona. Ogni tanto la mia padrona mi dice di gridare più forte e di lamentarmi di più. Io cerco di fare del mio meglio, come potrei non farlo col dolore sempre più forte. Ma c’è un motivo per cui mi dice questo, ne sono sicuro, anche se non vedo, mentre con una mano mi colpisce, con l’altra si sta masturbando e più mi lamento e più gode.

La mia padrona è una vera sadica, gode a vedermi soffrire! Al quarantacinquesimo colpo penso di non farcela più … vorrei dire basta … il dolore ai capezzoli è incredibile, altrettanto al pene … lei colpisce sempre più forte …. Vorrebbe sentirmi dire “basta”… ma io resisto … “Quarantotto, grazie padrona … che male …” il quarantanovesimo e tremendo sul pene … secondo me sta godendo … la sento come sta ansimando …. L’ultimo colpo arriva fortissimo insieme ad un suo grido di godimento e mi fa quasi svenire … “cinquanta, grazie padrona, grazie padrona, grazie padrona”.

La sento che mi si avvicina e mi abbraccia … mi fa ancora più male perché mi sfiora i capezzoli con le mani e si struscia col mio cazzo sulla sua passera …. Si era denudata sento tutto il suo calore e il suo sudore che si mischia al mio …. Mi ha frustato nuda … come mi sarebbe piaciuto poterla vedere! Mi offre le sue tette da baciare ed io tra un lamento e un singhiozzo lo faccio con passione … la mia faccia è tutta rigata da lacrime e per questo il suo seno ha un sapore salato.

“ Sei stato bravo … ti sei comportato bene … avrei voluto colpirti ancora …. Ma non mancherà occasione, ora per premio ti farò leccare i mie umori “ e così dicendo mi stacca la bocca dai suoi capezzoli e mi fa leccare la sua mano con tutto il suo sapore … “Come ti amo mia padrona” … Queste ultime cose mi hanno un poco addolcito i dolori … “Adesso rimarrai legato qui, mentre io andrò a fare una doccia, dopo verrò a slegarti e mi preparerai la cena, e visto che sei stato bravo non ti pinzerò i capezzoli “ “… grazie padrona” ma non avevo capito nulla “… non ti pinzerò i capezzoli con le pinzette a denti di coccodrillo ….

Ma ti metterò delle mollette da bucato”. Comunque mi era andata bene lo stesso perché non sarei riuscito a sopportare il dolore del coccodrillo … almeno le mollette da bucato mi strizzeranno soltanto i capezzoli. Quando me li pinza, mi rendo conto che sarebbe stato lo stesso molto doloroso e comunque le dico “grazie amore padrona” … lei mi passa la mano sulla testa, una carezza della mia padrona mi farà sopportare meglio quel dolore.

Sento spegnere la luce e i suoi passi che si allontana. Letizia, sottomessa e schiavizzata Alle sette in punto Chiara si svegliò. Avvertì un piacevole solletico alle piante dei piedi, una carezza gentile su ogni dito ed un bacio appena accennato sul tallone. Mosse i piedi ed il dorso della sue estremità destra colpì la guancia di Letizia, che in ginocchio in fondo al letto e con la bocca appoggiata ai piedi di Chiara sospirava paziente.

-“Aaahhh!”- sbadigliò la padroncina, distendendo le braccia e le gambe e girandosi con la schiena in giù sul morbido materasso. “Buon giorno, mia povera schiavetta”- Letizia scostò un poco la testa, si voltò verso il viso di Chiara e poi tornò a chinarsi con la fronte fin quasi a sfiorare il pavimento. Vedere quella persona adorante al suo servizio compiacque moltissimo la signorina, che scese una gamba oltre il bordo del letto andando a premere un piede sulla nuca di Letizia.

La serva rimase immobile e Chiara aumentò la pressione della sua gamba schiacciandole la testa sulle mattonelle. La padroncina rise. -“Eh eh…sei puntuale. ”- disse –“Brava”- -“Grazie, padroncina”- -“Tu hai dormito bene?”- -“Certo”- rispose Letizia –“Grazie, signorina”- In realtà Letizia aveva dormito sotto al letto di Chiara, adagiata su di una sottile coperta di lana ed un minuscolo cuscino ruvido. Chiara aveva disposto da qualche tempo che la serva dormisse così, alla sua portata, poiché essa doveva essere sempre presente e a disposizione per quando ne avesse avuto bisogno.

Ogni tanto, nel cuore della notte, Chiara si svegliava con la voglia di farsi leccare i piedi o di urinare; allora allungava una mano sotto al materasso, afferrava la serva per i capelli e la costringeva a venire fuori dal letto, talvolta incitandola con schiaffi e strattoni. La poverina si svegliava di soprassalto e nel dormiveglia, ancora mezza tramortita, era costretta ad obbedire alla bella aguzzina e a bere la sua calda urina. Poi Chiara la congedava e ritornava a dormire.

Spesso la serva era esiliata sotto al letto con l’ausilio di calci e schiaffi. Quella sera la padroncina aveva bevuto molto ed aveva avuto bisogno di scaricarsi per ben due volte. Letizia aveva bevuto tutto con solerzia. Andava avanti così da un mese o poco più, da quando la padrona aveva deciso che una schiava part-time durante le due ore di scuola non era più sufficiente. Gliene serviva una a tempo pieno e dato che Letizia veniva da una famiglia allo sbando, nella quale nessuno si sarebbe accorto della sua mancanza, la scelta ricadde su di lei.

Chiara permetteva generosamente alla schiava di ritornare a casa tre o quattro volte la settimana al fine di cambiarsi d’abito e prendere la roba che le occorreva. Letizia aveva sistemato la faccenda con i genitori dicendo che per l’anno scolastico corrente si era trovata una camera in affitto a poco prezzo e che vi sarebbe rimasta a lungo, almeno fino alla pagella di giugno. Il problema maggiore per la convivenza di Letizia e Chiara nella casa di quest’ultima era però rappresentato dalla madre della giovane padroncina.

La signora Elisabetta era una donna di classe e bellezza inconsuete. Aveva poco più di quarant’anni ed una linea da modella, capelli bruni e lisci, labbra carnose e occhi neri e profondi. Era una donna abituata a comandare, grande manager di un’altolocata società d’azioni e personalità molto forte. Chiara l’aveva vista comandare ed umiliare molti dipendenti sul posto di lavoro, sia uomini che donne. La cosa interessante era che la madre andava particolarmente fiera di queste dimostrazioni di superiorità davanti alla figlia.

Era come se volesse insegnarle a dominare gli altri Chiara aveva appreso fin troppo bene quelle prime lezioni ed aveva fatto pratica sulle sue compagne di scuola. I ragazzi non le davano altrettanta soddisfazione, purtroppo, erano troppo rozzi. Un paio d’anni prima la signora Elisabetta aveva assunto una segretaria appena laureata e quest’ultima aveva cominciato a lavorare a casa di lei. Chiara ricordava quel periodo in modo speciale, gran parte dei rudimenti della sua vita da padrona li aveva appresi allora.

In principio la segretaria svolgeva compiti di routine, sistemava scartoffie, riordinava moduli, sbrigava pratiche. Poi il legame fra lei e la sua bella datrice di lavoro si fece più stretto, velocemente e morbosamente più stretto. Chiara prese a spiare l’ufficio della madre dove lei e la giovane praticante lavoravano una volta vide… Elisabetta lavorava alla scrivania, seduta su di un’ingombrante ma comoda poltrona in pelle e con le gambe abbandonate sul bracciolo di destra.

La segretaria se ne stava di fronte a lei, in ginocchio, ingobbita e sottomessa, praticando un rilassante massaggio ai piedi della manager. La donna sorrideva ed osservava con aria annoiata e un po’ snob la serva. Ogni tanto sfilava un piede dalla stretta carezzevole delle sue mani e glielo strofinava in faccia, sulle labbra, forzando la sua bocca con le dita e giocherellando con il suo mento, il naso ed i capelli. Di solito era Elisabetta a parlare, quando dalla stanza si udivano delle voci.

La servetta parlava poco e se lo faceva era con una voce flebile e timida. Probabilmente la padrona le aveva dato l’ordine di parlare solo in determinate occasioni. Non è che le due donne trascorressero tutto il giorno in una stanza a non far nulla, naturalmente. A volte Chiara andava a spiarle e le trovava entrambe immerse nel lavoro. Di solito le ore migliori per osservare le strane pratiche a cui Elisabetta sottoponeva la serva erano quelle precedenti alla cena, quando cominciava a far buio ed ormai il grosso del lavoro della giornata era stato sbrigato.

Una volta Chiara vide la segretaria che lucidava le deliziose scarpe nere con il tacco alto di sua madre. La donna aveva messo prima l’uno poi l’altro piede su di uno sgabellino alto trenta centimetri e la ragazza era inginocchiata davanti a lei, indaffarata con spazzola e lucido da scarpe per toglierle l’ultima traccia di polvere dal tacco. La madre di Chiara la guardava dall’alto in basso, dominandola in altezza come una montagna domina un verme che striscia a valle.

Con un’ ultima dimostrazione di superiorità Elisabetta aveva abbassato il piede sul pavimento e, facendo finta di nulla, era andata a posare la suola della scarpa sulla mano della servetta. Questa non aveva replicato nulla, si era limitata ad emettere gemiti soffocati ed ad attendere che la dominatrice sollevasse il suo bellissimo piede. In un’altra occasione Chiara vide la segretaria che dava lo smalto alle unghie di Elisabetta e rimase ben sorpresa nell’osservare quanta cura la giovane ponesse nel mettere quella rossa tintura brillante sulla punta delle dita della madre.

Un’altra volta ancora la donna era seduta sul piano della scrivania, le sue lunghe gambe accavallate penzolavano in aria sospese ad un palmo da terra. Indossava scarpe col tacco e bellissime calze nere. Le segretaria doveva aver commesso qualcosa di molto grave perché era inginocchiata davanti a lei, col capo chino e le mani dietro la schiena. La donna la guardava, dominandola con uno sguardo freddo come il ghiaccio ed i suoi occhi erano colmi di collera e disprezzo.

Poco prima Chiara aveva udito due voci levarsi dalla stanza ed aveva riconosciuto anche quella della ragazza; ciò era molto strano perché la segretaria era solita parlare sempre a bassa voce. Come se niente fosse la madre di Chiara avvicinò un piede alla faccia della serva. La punta della preziosa decolté dal tacco a punta le indicava la radice del naso come un dito inquisitore. La giovane sollevò impercettibilmente lo sguardo, esitò alcuni istanti e la donna mormorò una parola breve.

Infine la segretaria le prese piede e scarpa fra le mani e baciò. Iniziò dalla suola, polverosa e sudicia che fosse, andò al tacco, la sua lingua mulinò sulla pelle nera e brillante, poi passò al piede, sfilò la calzatura e leccò le dita e la pianta del piede. Elisabetta trovò piacere nella dimostrazione di sottomissione della sua serva, le affondò nella bocca prima un piede, poi l’altro, infine tutti e due assieme, lasciò che un altro essere umano si mortificasse al livello di un verme in ginocchio al suo cospetto.

Per tutto il tempo lo sguardo di Elisabetta rimase tuttavia freddo ed ostile. Dai movimenti frenetici delle sue mani e del suo collo si vedeva chiaramente che lo spettacolo offertole dalla ragazza che si stava umiliando prostrata sotto la scrivania le era molto gradito. Quando i suoi piedi furono evidentemente sazi di attenzioni Elisabetta passò all’umiliazione successiva. Si fece togliere le calze dalla giovane ed essa obbedì silenziosamente ed efficientemente, raccolse l’indumento dalle mani della succube, ne fece una palla e la infilò nella bocca della segretaria, naturalmente dopo avergliele strofinate sotto al naso per alcuni istanti.

Infine Elisabetta scese dalla scrivania, posando i piedi sulle mani della serva e si infilò nuovamente le scarpe. Prese la ragazza per i lunghi capelli mori e la strattonò violentemente perché essa la guardasse negli occhi. La segretaria aveva ancora le calze della datrice di lavoro in bocca. In quel momento Chiara udì un rumore per le scale, s’accorse che era tornato suo padre e s’allontanò dalla porta. La segretaria uscì dalla stanza pochi minuti dopo, era scarmigliata e rossa in viso.

Apparentemente se ne stava tornando a casa come tutti i giorni, ma Chiara la spiò sulla porta d’ingresso mentre si infilava il cappotto. -“Arrivederci”- disse alla dipendente della madre. La giovane non osò replicare al suo saluto, non dischiuse neppure le labbra. Aveva ancora le preziose calze di Elisabetta custodite della sua tiepida e sicura bocca. Continuò a tornare per qualche tempo, un paio di settimane o tre, infine Elisabetta la licenziò in tronco per chissà quale altra disobbedienza.

Dopo quella esperienza Chiara capì non solo di essere la figlia di una affascinante amazzone, ma di possedere essa stessa il carattere di una dominatrice. Perciò, quando Letizia divenne schiava a tutti gli effetti di Chiara, la giovane padroncina si premurò ben presto di portarla a casa propria. Voleva farla conoscere a sua madre, mostrarle che anche lei era benissimo in grado di dominare qualcun altro. Voleva condividere il gusto della supremazia su di un essere umano con uno spirito affine.

Era sicura che Elisabetta avrebbe approvato il talento della figlia, che l’avrebbe incitata e soprattutto che avrebbe usufruito ella stessa della faccia e della lingua di Letizia. Ma le cose non andarono esattamente così. Fu durante un giorno autunnale uggioso e grigio che la padroncina Chiara condusse Letizia per la prima volta a casa propria. C’era anche Elisabetta. La donna si stava preparando ad uscire perché doveva presenziare ad un importante riunione di lavoro.

Era in bagno a rifarsi il trucco quando le due ragazzine entrarono in casa. Chiara portò Letizia in salotto e si sdraiò comodamente sul divano, stendendo le gambe snelle ed allenate sui morbidi cuscini di seta. Aveva ancora le scarpe. Indicò con l’indice un punto sul tappeto. -“A terra”- disse rivolta alla schiava. Letizia s’inginocchiò. -“Toglimi le scarpe”- -“Si, Chiara”- lo fece. -“Ora rinfrescami un po’ i piedini. Sono stanchi e sudati”- disse, strofinando le piante sulla faccia della schiava.

Era vero, i calzini di spugna bianca erano madidi di sudore. Letizia fece per toglierli ma Chiara la calciò lontana con i talloni, colpendola al mento e strappandole un gridolino roco di dolore e stupore. -“Ti ho detto di togliere i calzini?”- -“No, Chiara. Mi dispiace”- -“Lecca, che aspetti?”- ordinò Chiara con voce alterata. Era magnifica e terribile al contempo nella sua comoda posizione di dominatrice. Altezzosa ed irraggiungibile come una piccola dea ma sensuale e maliziosa come una principessina viziata.

La povera Letizia leccò come meglio poteva le calze della padrona mentre quella si godeva lo spettacolo beatamente adagiata sul divano. Chiara ridacchiava ogni volta che la lingua della serva le solleticava gli spazi fra le dita; la colpa era del tessuto ruvido dei calzini che quando si strofinava sulle piante le dava un poco di prurito. Allora la giovane muoveva i piedini, li sfilava e li riavvicinava alle labbra di Letizia, le graffiava la faccia con le unghie degli alluci, le premeva le punte negli occhi e sul naso.

Dopo qualche minuto si fece levare i calzini. -“Poggiali pure sulle scarpe”- Letizia obbedì. -“Ora ricomincia da capo. Mi raccomando, bene fra le dita. Succhia fino all’ultima goccia di sudore. Voglio che tu me li lecchi così bene da non avere più bisogno di lavarli, d’accordo?”- In quel momento s’udì un rumore proveniente dal bagno. Elisabetta aveva quasi terminato di prepararsi e stava uscendo. -“La prego…sua madre sta per arrivare qui e se ci vedesse…”- balbettò Letizia –“Potrebbe…”- -“Mia madre è affar mio, lecchina.

I miei piedi e la loro igiene il tuo. Bada ai fatti tuoi e non seccarmi”- -“Ma..”- Chiara sollevò un piede e lo puntò contro il viso implorante di Letizia. -“Lecca, troia!”- -“Si, subito”- rispose mestamente Letizia. La ragazzina aveva sempre avuto un rispetto al limite dell’adorazione per la madre di Chiara. Elisabetta era la madre premurosa e buona che non aveva mai conosciuta, provenendo da una famiglia di disadattati. Teneva molto all’opinione della donna e le poche volte che l’aveva vista a scuola s’era sempre prodigata in inchini e complimenti, cose a cui Elisabetta aveva replicato con sorrisi cordiali ed affettuose carezze sul capo.

Ma in quella occasione non poté fare altro che obbedire alla padroncina. Si chinò un po’ di più e tirò fuori la lingua come aveva fatto altre centinaia di volte prima d’allora. Leccò ogni millimetro della vellutata pelle dei piedi di Chiara, che dal canto suo la lasciava fare con assoluta noncuranza. Elisabetta terminò di truccarsi ed uscì dal bagno in quel momento. Si andò a mettere le scarpe e poi si avviò verso la porta.

Per farlo dovette passare dal salotto. Giunse sulla soglia e ciò che vide la stupì non poco. Sua figlia era adagiata sul divano e teneva le gambe stese sui cuscini ad un angolo del morbido sedile. Inginocchiata davanti a lei una ragazzina della stessa età le stava leccando con ardore i piedi. Chiara la guardava tranquillamente, ogni poco muoveva i piedini, forse per farsi leccare più a fondo le estremità o forse solo per infastidirla maggiormente.

Fatto sta che Elisabetta sulle prime rimase un po’ sbalordita. Ma la sorpresa fu di breve durata. -“Che succede, Chiara?”- chiese. La figlia s’accorse della madre e la salutò; Letizia divenne di colpo rossa in viso e s’irrigidì come un bastone di legno. Chiara la colpì in faccia con un calcetto. -“Continua, tu”- ordinò con un tono che non ammetteva repliche. Letizia riprese, si sentiva avvampare di vergogna e disprezzo verso se stessa. Qualche lacrima premette per uscire dai suoi occhi.

-“Ciao, mamma”- -“Chi è lei?”- chiese la donna. -“Tutto a posto. E’ quella mia compagna di classe che conosci anche tu”- -“Ah!”- -“Letizia”- -“Bene, ma cosa sta facendo? E’ un nuovo gioco?”- Chiara spinse indietro la testa e rise. Anche la donna sorrise. Ogni traccia di sorpresa se ne era andata dal suo splendido volto. -“No…no, Letizia è la mia schiava, hai presente?”- -“La tua schiava, eh?”- chiese divertita la donna. Si avvicinò al divano.

Letizia affondò ancor più la testa fra i piedi della giovane Chiara, sperando che ciò fosse sufficiente a nascondere il proprio volto dallo sguardo della signora Elisabetta. -“Ah!”- rise Chiara –“Guarda come si nasconde il topo pur di non farsi vedere da te! Si vergogna, sai?”- -“Poverina”- disse la madre. Era in piedi ad un metro di distanza dalla schiava. -“Gli sto insegnando ad essere fedele”- -“A si?”- -“Si, apprende con lentezza. E’ stupida”- -“Chiara…!”- esclamò la donna con tono di bonario rimprovero.

-“No, sul serio. Avrebbe bisogno, secondo me, di un’altra padrona. Sai, per cambiare un po’ mano…o piede”- rise –“A volte è utile”- -“E allora?”- -“Potresti insegnarle qualcosa tu”- -“Io?”- “Perché no?”- -“Chiara, ha la tua stessa età. Ha diciotto anni! Potrebbe essere mia figlia!”- -“Ah ah…ma non lo è! E’ solo la nostra schiava. La tua e la mia! E poi di anni ne ha diciannove”- Tirò indietro i piedi, allontanandoli dalla schiava. Letizia, come vedendo nei magnifici piedini di Chiara l’ultima barriera fra se e lo sguardo di Elisabetta, si spinse in avanti per quanto le fosse possibile, cercandoli, bramandoli.

Ma Chiara glielo proibì. La serva non aveva più difese, era allo scoperto. Pianse, si sgomentò silenziosamente. Alcune lacrime solcarono le sue guance. -“Serva, saluta padron Elisabetta come si conviene ad una schiava come te”- disse Chiara, che ora sedeva sul divano con le gambe raccolte contro i guanciali di seta. Letizia si inchinò davanti alla donna sfiorando il tappeto con la fronte, strisciò fino alla punta delle sue scarpe pulite e gliele baciò.

Due baci per ogni scarpa. Poi sollevò il tiro e le sue labbra andarono a posarsi sul dorso del piede di Elisabetta. La donna la lasciò fare per un poco, poi indietreggiò. -“Basta, basta…brava sch…piccola”- disse -“Ma mamma! Non ti piace, forse?”- -“Eh, Chiara! E’ una ragazzina!”- -“Ma quello che vuoi che sia! Non lo va mica a raccontare in giro! E poi è molto fedele, una vera schiava, fa tutto ciò che le dico di fare…”- Elisabetta rimase in silenzio.

Letizia era ancora genuflessa sul pavimento di fronte a lei. -“E poi può tornare utile per tante faccende. Per esempio, le tue scarpe, vedi? Devi andare via di fretta e non sono perfettamente lucide come dovrebbero essere…”- disse Chiara. -“Letizia!”- esclamò la giovane padrona. -“Si, padroncina”- rispose la sottomessa ed il tono abbattuto con cui lo disse fece scappare un sorriso divertito alla madre. -“Le scarpe di mamma”- -“Si, padroncina”- Letizia si avvicinò ancora una volta ai piedi della donna e prese a leccarle le scarpe.

Partì dalla punta, andò fino in fondo al piede poi tornò indietro. Ingoiò la polvere e ripartì. Elisabetta questa volta non si scostò di un millimetro. Lasciò lavorare la piccola caricatura di essere umano che le stava davanti come Chiara le aveva brillantemente suggerito. Durante tutto il tempo i suoi occhi rimasero fissi sulla testa di Letizia, osservò la cura che la ragazzina metteva nella pulizia delle sue pregiate decolté nere e non riuscì a trattenere un risolino.

La lingua ed il servilismo di Letizia l’avevano contagiata ed ora non aveva alcuna remora ad impiegarla come uno strumento di piacere. Chiara guardava un po’ la madre ed un po’ la compagna di classe. Rideva e faceva commenti sul modo di inchinarsi di Letizia al cospetto della signora Elisabetta, sulla scia di saliva che la lingua tracciava a più riprese sulla pelle nera. -“Mamma, non staresti più comoda seduta?”- -“Si, hai ragione”- rispose Elisabetta.

Si sedette sul divano ed accavallò le gambe. Letizia si vide spostare i piedi da sotto il naso e rimase un attimo incerta sul da farsi. -“Continua pure, cara”- disse languidamente Elisabetta. Letizia continuò. Andò a togliere lo sporco fin sotto le suole delle sue scarpe. -“Quand’è che dovresti andar via per quella riunione?”- chiese Chiara. Elisabetta si era completamente rilassata sui morbidi cuscini del divano, aveva disteso le membra ed aveva abbandonato le gambe alle cure della serva.

-“Cosa?”- -“La riunione, mamma. Avevi un impegno, oggi!”- -“A si?”- fece la donna, sorridendo diabolicamente. –“Beh, la riunione era per oggi ma i colleghi mi aspetteranno. E poi non posso certamente presentarmi a lavoro con le scarpe sporche, ti pare?”- Chiara sorrise. Elisabetta lasciò che Letizia terminasse la sua opera e dopo dieci minuti buoni di leccaggio le scarpe erano lucide come specchi. -“Posso andare, ora”- disse, togliendo da sotto la bocca della ragazzina i propri piedi.

Letizia si sporse in avanti per continuare ma la donna la fermò con un elegante gesto del piede. I suoi tacchi erano terribili, un solo colpo ben piazzato avrebbe potuto strappare un occhio alla serva. -“Ho detto basta, ragazzina. Sei sorda?”- -“Scema! Chiedi scusa!”- sibilò Chiara. -“Scusi, signora Elisabetta…padrona…”- Elisabetta rise, si alzò dal divano e passando di fronte ad una Letizia prona e col capo chino si diresse verso la porta. -“Tornerò sul tardi, Chiara”- -“Certo, mamma”- -“Tu studia”- -“Si, mamma.

Non ti preoccupare. Vuoi che faccia preparare un bagno caldo dalla schiava per il tuo ritorno? Basta che tu mi dia un colpo di telefono con qualche minuto d’anticipo…”- -“Mmm…no, guarda. Anzi, mandala a casa sua, tra un po’. Dovrà sbrigare dei compiti per la scuola pure lei, immagino”- -“Ma no! Lei è la mia schiava, lo studio è secondario per lei. Anche se boccia non ha importanza in fondo. La sua prima preoccupazione deve essere quella di obbedirmi e di accudire la mia persona…cioè le nostre persone”- E così dicendo pose un piede sopra la testa di Letizia e le schiacciò la faccia sul tappeto.

Letizia non protestò. Lasciò che la padroncina facesse ciò che più desiderava. -“Chiara…beh, dopo ne parliamo. Intanto mandala a casa”- -“Va bene, mamma”- -“Ciao”- -“Ciao”- Si salutarono, Chiara ed Letizia rimasero sole in casa per qualche ora. Chiara cavalcò la sua serva neanche fosse un pony. Le si sedette sul dorso oppure sul collo. La usò anche come sgabello e le salì sulla schiena con il bel sedere tondo e con i piedi. Si fece leccare ancora un po’ le estremità e pretese che Letizia curasse anche le natiche, questa volta.

Poi si diresse a riflettere nel suo studio, usando Letizia come poggiapiedi. La schiava reagiva bene all’addestramento e presto sarebbe divenuta una schiava a tutti gli effetti. Chiara avrebbe voluto anche insegnarle a bere la propria urina e poi, magari fra qualche mese, l’avrebbe convinta a fare cose ancora più degradanti. Le stuzzicava molto l’idea di farsi leccare il culetto dopo aver defecato oppure quella di sputarle in bocca. Si, avrebbe cominciato di lì a qualche giorno, si ripromise.

Udì il rumore di un’automobile nel piazzale della grande casa. Era sua madre. -“Accidenti!”- pensò –“La mamma aveva detto di mandare via ‘sta stronza prima del suo ritorno”- Balzò in piedi, saltando letteralmente con tutto il suo peso sulla schiena di Letizia che fino ad allora, a quattro zampe, le aveva sorretto le gambe. -“Scema, alzati! E’ ora di andarsene!”- -“Si, padroncina”- rispose la schiava, tutta dolorante. -“Se la mamma ti trova mi sgrida.

Calati dalla finestra, vattene dal giardino”- -“Ma…padrona, siamo molto in alto qui!- -“Stupida!”- disse Chiara. Si lanciò verso la schiava e le afferrò i capelli gettandola in ginocchio –“Disobbedisci, cagna? Disobbedisci a me?”- Le sputò in faccia. -“Se mamma si arrabbia è peggio per te!”- -“Va bene, padrona. Obbedisco. …obbedisco”- Letizia si calò lungo il cornicione e la siepe d’edera che correva lungo le mura di casa cercando di non far rumore. Saltò giù da un’altezza non più così elevata come era la finestra della camera di Chiara, ma cadde ugualmente sulla ghiaia e si sbucciò una gamba ed un fianco.

Chiara la vide rimettersi in piedi a stento dopo aver compiuto un volo di poco meno di due metri. -“Corri”- le disse dalla finestra di camera. -“Si, padroncina”- Letizia fuggì via zoppicante. Chiara, quella sera stessa, dichiarò alla madre la sua ferma intenzione di adottare la serva, ma la risposta di Elisabetta non fu favorevole alla giovane aguzzina. -“Chiara”- -“Si, mamma”- -“E’ andata via la tua amica?”- -“La mia amica?”- chiese Chiara facendo finta di non capire –“Ah, la schiava.

Si, si. L’ho mandata a casa sua dopo una mezz’ora che tu te ne eri andata”- -“Bene, perché non voglio più vedermela in casa!”- -“Come? E perché?”- -“Chiara! E’ una tua compagna di classe!”- -“E allora che c’è di male?”- -“E io ho due volte i suoi anni”- -“E con questo?”- -“Non lo capisci da sola?”- -“No, non lo capisco. Oggi te le sei fatte leccare le scarpe, no? Non mi dirai che non ti è piaciuto? Ti sei divertita quanto me!”- -“Oggi è stato solo un momento! Si, mi sono divertita.

La tua amica è brava e paziente, ma a parte che non è giusto sottomettere ed umiliare una persona come hai, anzi abbiamo, fatto noi oggi, che cosa penserebbe la gente se venisse a sapere che in casa teniamo una ragazzina appena maggiorenne per farci lucidare le scarpe con la lingua? Io sono una donna d’affari. Non posso compromettere la mia immagine con la clientela! Ed anche tu…il prossimo anno andrai all’Università. Non sarebbe ora di accantonare queste tue manie da mistress “frusta e tacchi a spillo”?”- Chiara era scocciata.

Niente schiava in casa. Maledizione. E la mamma non sembrava essere disposta a tornare sulle sue decisioni. La sua carriera di donna manager…c’era troppo in ballo. Messa alle strette la giovane decise di giocare la sua ultima carta. -“Ma, mamma, allora la segretaria?”- Elisabetta corrugò le sopracciglia appena un poco. -“La segretaria?”- -“Si, quella ragazza che ha lavorato qua fino a qualche anno fa”- Elisabetta comprese che i piccoli momenti di relax che si era concessi con la ragazza erano stati scoperti.

-“Ci hai spiate, eh?”- -“Ebbene si, lo ammetto. Per via dei rumori che ogni tanto venivano dal tuo studio e che non erano proprio consueti. Ho visto con quanto piacere ti facevi massaggiare i piedi. E come ti divertivi a umiliare quella ragazza tormentandole la faccia con i tacchi a spillo. E poi ti facevi dare lo smalto alle unghie e ti facevi lucidare le scarpe”- -“Non con la lingua, però”- -“Ma con quella ti facevi leccare i piedi.

E una volta le hai messe le tue calze in bocca e l’hai fatta andare via così”- Elisabetta rise. -“Hai visto anche quello? Si, le mie calze in bocca. Ma mica una volta gliele ho fatte succhiare!”- -“Sei terribile. Più di me. E ora dici che io non posso tenere una schiava in casa?”- -“Te l’ho detto. Come professionista non mi posso compromettere E poi con quella ragazza era diverso, c’era un accordo fra noi.

Se lei avesse raccontato in giro qualcosa l’avrei rovinata mentre se mi avesse obbedito con fedeltà le avrei affidato un buon posto in ufficio. Quella volta che mi hai vista mentre le mettevo le calze sudate in bocca ero arrabbiata con lei perché non si era dimostrata all’altezza della mia fiducia. Sbagliò a compilare una pratica. Così la cacciai dopo essermi divertita ad umiliarla un’ultima volta. Non ha mai denunziato la cosa perché altrimenti oggi sarebbe ancora disoccupata.

So che ha trovato un impiego in un altro studio legale. Ora fa i pompini ad un noto avvocato in centro. Con te e la tua amica è diverso. Ti potrai divertire con quella ragazzina a scuola, ma qui non ce la voglio. Va bene?”- -“Come vuoi tu, mamma”- -“E anche a scuola, stai attenta! Non è affatto normale che una studentessa del liceo obblighi una sua compagna a leccarle le scarpe. Potrebbe essere giudicato qualcosa che va ben oltre il semplice gioco.

Perciò, in tutta sincerità, ti dico che preferirei che tu la piantassi con questa storia. Tuttavia ti conosco, sei testarda. Quindi se sei proprio decisa a continuare per questa strada devi promettermi di farlo perlomeno con un po’ di prudenza e buon senso. Comprendi ciò che intendo dire?”- -“Certo”- -“Allora?”- -“Letizia sarà la mia schiava solo a scuola. E questo resterà un nostro segreto. Nessun’altro sarà coinvolto nei nostri giochi, nemmeno tu se non lo vorrai”- -“Così va meglio”- disse Elisabetta.

Si lasciarono con questa promessa ma Chiara era ben intenzionata a non obbedire alla madre. -“Lasciare la schiava dopo la scuola? Sciocchezze! Letizia è la mia serva!”- pensava –“Ventiquattrore su ventiquattro e sette giorni su sette. Anche quando dorme, anzi, quando io le consento di dormire! Farò a modo mio”- Iniziò a portare Letizia in camera sua nel primo pomeriggio, facendola passare dal giardino in modo che nessuno potesse vederla entrare; la teneva sotto il letto durante la notte, obbligandola a non far rumore, se ne serviva come cesso, sveglia e scendiletto, come lustrascarpe e sguattera.

Letizia poteva andare in bagno solo quando la madre di Chiara non la poteva vedere o nelle ore di lavoro. Talvolta rimaneva nascosta nella camera della padroncina per pomeriggi interi e mangiava solo ciò che Chiara le portava. Erano gli avanzi della cena che venivano consumati freddi e mescolati tutti assieme. Inutile dire che sotto ai bellissimi piedi della padrona la vita di Letizia divenne ben presto un vero inferno. Come già detto era un mese o più che le cose andavano avanti così.

Quella mattina Chiara volle fare un nuovo esperimento. Controllò l’ora alla sveglia, erano le sette in punto. Ciò voleva dire che sua madre non sarebbe venuta a svegliarla prima della prossima mezz’ora. Mezz’ora di tempo da trascorrere con la serva. Letizia, in un mese di convivenza forzata trascorsa sotto al materasso della padrona, aveva compiuto grandi progressi: riusciva a bere perfettamente l’orina della dominatrice, sia calda che fredda. La sua lingua si era abituata a leccare per ore intere le superfici più luride e ruvide, come le suole delle scarpe.

Aveva appreso come sopportare il dolore inferto dai tacchi di Chiara quando questa si divertiva a ballarle sulla schiena o sulle spalle. La padroncina aveva meditato durante la notte su di un’ennesima tortura a cui sottoporre la schiava. Era seduta sul letto con le gambe stese sul materasso ed i piedi sospesi nel vuoto ad un palmo di distanza dal freddo pavimento. Letizia se ne stava in ginocchio con la fronte a pochi centimetri dai talloni della sua padrona, guardava per terra con aria triste e sconsolata.

Odiava il momento del risveglio perché di lì a poco si sarebbe dovuta calare dalla finestra della camera della padrona per scendere in giardino, volatilizzandosi dalla tenuta dei genitori di Chiara. La sua aguzzina le avrebbe lanciato lo zainetto da scuola e poi lei sarebbe andata a piedi fino all’istituto. Chiara vi si sarebbe recata in auto. A volte la padrona le toglieva per dispetto un quaderno o un libro dallo zaino prima di lanciarglielo e poi, a scuola, se la rideva dei rimproveri subiti da Letizia da parte dei professori.

-“Ora vado al bagno e quando torno tu mi pulirai”- disse la sadica sovrana. Letizia era perplessa. Di solito Chiara faceva pipì nella sua bocca e poi si faceva pulire dalla sua lingua. -“Non vuol farla nella mia bocca, padroncina?”- si offrì gentilmente lei. -“Eh eh!”- rise Chiara –“Non ancora, stupidella, per far questo ti occorre ancora un po’ di allenamento”- -“Come?”- -“Non hai capito, scema che non sei altro? Mica vado ad orinare!”- -“Ah, capisco, signorina”- -“Oggi comincerà il tirocinio per imparare a mangiare la mia bella cacchina.

Non sei emozionata?”- sollevò un piede e glielo pose sulla nuca. Letizia non rispose. Al solo pensiero di dover mangiare merda si sentì prossima al pianto. E sarebbe stato inutile supplicare Chiara di ritornare sui suoi propositi. Sapeva che la sua crudele principessa non avrebbe desistito dal suo intento. Chiara si alzò. -“Mettimi le pantofoline, serva”- Letizia eseguì con tanto di doveroso bacio sulla punta dei piedi della padrona. Le pantofole erano bianche con appena un accenno di tacco e lasciano scoperte le dita.

-“Brava la mia stupidella, sei fedele alla tua padroncina, vero?”- Andò in bagno. Era senza mutandine ed indossava solo la lunga camicia da notte di seta. Tornò in camera dopo qualche minuto, con un bel sorriso raggiante ed uno sguardo maligno. Si andò ad accostare al letto, sollevò la camicia da notte e si piegò in avanti, gambe dritte e mani appoggiate sul materasso. Gli orli della vestaglia ricadevano sui fianchi snelli ed il culetto era allo scoperto.

-“Che c’è? Non ti muovi? Guarda che fra un po’ la mamma mi viene a chiamare ed io devo essere già pronta!”- Letizia le si avvicinò da dietro, lentamente. Giunta con il viso a dieci centimetri dal solco fra le natiche della padroncina le sue narici furono investite dall’acre odore della cacca di Chiara. Allora s’irrigidì e non avanzò oltre. Rimase per qualche secondo con la faccia contro il bel sedere della sua signora ed annusare, combattuta fra il naturale ribrezzo che la costringeva indietro e la sua vocazione di schiava che la trainava in avanti.

Chiara presto si spazientì. -“Dico a te, leccapiedi. Ti dai da fare o no? Coraggio non vorrai che alla tua padroncina dopo pizzichi il popò, vero?”- e mentre lo diceva rinculò leggermente e strofinò la curva delle natiche sul viso di Letizia. Avvertì anche qualcosa di umido che le bagnava i glutei ma non si trattava della lingua della serva. Si voltò indietro e vide il volto di Letizia in lacrime. Rise divertita e si voltò nuovamente verso il letto, porgendo il culetto alle cure della schiava.

-“Adesso non te lo dico più, cagna! Avanti, leccami il culo!”- Letizia si fece avanti, inserì la lingua nel solco e leccò. Lente e lunghe lappate; sentì il sapore repellente ed ostile della cacca che le irritava le papille gustative. -“Ingoia!”- ordinò Chiara. Letizia era al limite. Ingoiò. -“Ancora, lecca ancora. Deve essere perfettamente pulito”- sghignazzò Chiara. Altre lappate fino in fondo all’ano, spinse la sua lingua più in profondità che poteva e deglutì ancora.

Rimosse ogni stilla di feci dal bellissimo sederino della padroncina. -“Aaaaahhh…. !”- esclamò Chiara, quando finalmente la schiava ebbe terminato –“Così può bastare”- Letizia allontanò il viso dal fondoschiena dell’altra. Le veniva ancora voglia di vomitare –“Si, padroncina”- -“Ma la prossima volta dovrai essere più rapida”- -“Certo”- -“E soprattutto la tua lingua dopo un po’ s’incrosta e non pulisce più bene come dovrebbe, lo sai?”- -“Faccio del mio meglio, padroncina”- piagnucolò Letizia –“Cerco di ingoiare”- -“Si, si, zitta stupida.

La prossima volta dicevo, devi preparare una ciotola con dell’acqua fresca. Dopo ogni dieci leccate ti darai una sciacquata alla bocca, così avrai sempre la lingua pulita e nuova come una spugnetta appena strizzata”- -“Si, mia padrona”- Chiara si cambiò d’abito. -“Preparati ad andare”- disse Letizia –“E ricomponiti. Non lo vedi che faccia hai? Va bene che sei solo una schifosa leccaculo slurpapiscio ma queste cose vanno lasciate fra noi, come ha detto mamma!”- -“Si, Chiara…”- mugolò Letizia.

Si sistemò capelli e viso come poté e si calò lungo la siepe. Dopo un mese di pratica le riusciva così bene che adesso poteva arrivare in giardino senza neppure cadere col sedere a terra. Chiara fece colazione con calma. Fette biscottate con marmellata e burro, caffellatte ben zuccherato. Scese in garage e salì in auto, come ogni giorno sarebbe arrivata a scuola prima di Letizia. Il solco fra le sue natiche era stato pulito proprio bene, non pizzicava per nulla.

Meglio così, l’addestramento per insegnare alla schiava a leccarle il culo sarebbe stato più breve del previsto. Poi, forse, sarebbe stata la volta del mangiare direttamente i suoi escrementi. Con il tempo Letizia avrebbe imparato a sopravvivere bevendo solo la pipì e mangiando solo la cacchina della sua padrona, pensò Chiara. Nient’altro da bere o da mangiare. Si, sarebbe stato proprio divertente, e poi in questo modo non avrebbe più avuto bisogno di portare gli avanzi del pranzo e della cena in camera, col rischio di essere scoperta.

E sua madre avrebbe voluto che si disfacesse di quella piccola nullità di nome Letizia! Che sciocchezza! Pensare che se non l’avesse rifiutata anche Elisabetta avrebbe potuto orinare nella bocca della stupida…Sarebbe stato un vantaggio pure per Letizia, in fondo. In due avrebbero provveduto a sfamarla e dissetarla. Anzi, forse le avrebbero causato addirittura un’indigestione! Che roba, pensò Chiara, mentre a bordo dell’auto procedeva lungo la strada che l’avrebbe condotta a scuola. Un’indigestione di cacca.

Senza motivo guardò in basso, fra i suoi piedi. Sperò che Letizia non ritardasse troppo. Aveva le scarpe sporche e prima dell’inizio della lezione sarebbe stato opportuna farsele lucidare dalla schiava.

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