EROS TERRIBILIS – POETRY

UNA NOTTE AL CASINO

Strillò il portiere: – Dove andate?
Tutte le puttane si sono coricate,
ma una casa l’ avete, oppure no?
Chi cazzo vi apre?
Ormai sono le tre! –
– Che cazzo dici?
Passa un grosso guaio!
Noi siamo giusto giusto, sei chiavate.
A quattro soldi a testa, a te, portiere
t’ entra subito una Lira.
Apri … per l’ ossa dei tuoi morti, adesso. –

E salirono sopra.

La matressa Concetta, aprì, tenendo in mano una candela.
– Donna Concetta: voglio una fessa stretta! –
– Donna Concetta, svegliate le puttane! –
– Margherita dov’ è? –
– Chiamatemi Lisetta! –
– Sta facendo la nottata … –
– E quelle nuove? Quelle di campagna? –
– Ah, quelle:
una ha da fare e un’ altra è fuori,
è andata, mantenuta, di un signore. –

– Allora, chi ci sta? –
– C’ è Franceschella! –
– E chi la chiava quella grande stronza? –
– E c’ è pure Luisella!
Ma quella è figa da cinque soldi a botta.

– Basta!
Adesso fai così:
tu ce la chiami e noi ci si arrangia un po’ per uno.
Donna Concetta, siam così arrapati,
che sborriamo se solo ci toccate! –

Eravamo arrapati veramente:
io che tenevo il cazzo duro e grosso.
Vincenzo e Ciccio, lievemente alticci,
erano rossi come due aragoste.
E Camillo, anch’ egli mezzo brillo,
andava in cerca d’ un paio di chiappe toste:
di quelle che se tu ci poni mano
sembrano la chierica d’ un parrocchiano.

– Però, pensiamo bene, che facciamo?
Noi siamo in sei e qui ce n’ è una sola.
Ognuno poi vorrebbe far da primo,
e se per caso invece, per sfortuna,
capita dopo ad uno che ha fottuto,
ed è malato proprio al capo della fune?
Che fai, lo vai a cercare in culo alla sorella,
se ti mischia il suo mal sulla cappella?
Perciò, sai che facciamo,
o mia Concetta, mi tiri una gran sega con la mano.

Dai, su, ch’ oggi è domenica,
fammi sborrare per amor cristiano.
Guarda la mia capocchia, è grossa come un uovo,
vieni a guardarla meglio, siediti sul divano. –

– Ma tu sei matto, oppure sei ubriaco? –
– Ma prendilo nel culo, vieni vicino! –
E così, in piedi, col cazzo da fuori,
con gli occhi fuori, brillanti per la voglia,
corsi da quella vecchia prostituta,
che come tante facea la santarella,
come tante, che dopo ore di trastullo
col cazzo di chi capita, a menare
fanno finta che di questo niente sanno.

Come la canzone del Paparacianno. (*)

(*) La canzone del Paparacianno è una vecchia canzone a doppio senso che parla di un particolare cagnolino inglese, che tutte le signore vorrebbero accarezzare per trarne gran piacere.

GIOVANNI “LO STORTO”

Giovanni, detto “lo storto”: il massimo … il migliore cliente
mi fa sborrar con l’ anima, ma senza darmi niente.
Se vuoi che ti dia il massimo, offendilo, dagli dei morsi in faccia,
strillagli: sei una chiavica, poi storcigli le braccia-

Di sicuro si eccita, ma lo devi picchiare, mettergli in culo un dito,
lo devi sfondare.

Lo devi scottare, tormentare con spilli il suo cazzo ferito.
E’ un vero masochista, del sesso un disgraziato,
per avvocati e medici, è un grande depravato

ma io sono una zoccola e mi piace la manfrina,
perché mi placa l ‘anima, mi rende una regina!
Quando perde le staffe, al letto si fa legare:
allora torno femmina, mi posso vendicare.

Contro agli uomini di sempre o di questa settimana,
alzo la mano e zacchete, picchio … non son più: puttana.

dieci anni al marciapiede, come un povero straccio,
mi esplodon tra le mani, colpisco, e so quel che faccio!

Questa, la dedico a quello che, illudendomi, era una vera cacca,
mi portava a fottere, alla monta, come una vacca;
e questo è per il parroco, che per farci mangiare,
anche davanti a mamma, si facea masturbare.

Quest’ altro va a mio padre, che sorride e sta zitto,
perché gli faccio comodo: cornuto, ma è un gran dritto.

E … prendi, adesso beccati questo: un forte morso in faccia,
lo dedico a chi vive del denaro che valgo: il mio magnaccia.

Il più schifoso di tutti, ma ora gli appartengo
soldi, regali, macchina … lui comanda, e io spendo.
Giovanni, detto “lo storto”: il massimo … si eccita, solo se lo colpite,
ed io lo faccio, e con i colpi medico tutte le mie ferite.

Gli grido: Sei una chiavica, vali meno di un bottone:
tua madre fotte con tua sorella e tuo padre e ricchione.

Ma poi gli prendo la mazza e niente mi trattiene:
ritorno latrina e zoccola … e me ne vedo bene!

Duro come il marmo, liscio come la seta, è il suo cazzo,
dolce come lo zucchero, lo prendo anche nel mazzo.
Tanti anni per la strada, stronze, non fate testo,
tutte sciocchezze e chiacchiere, il vero cazzo è questo.

E per mezz’ ora: spasimo, non importa il passato,
eravamo nel fondo ed ora mi ha arrapato.

Non sono che una zoccola, lo “storto” è un masochista,
siamo gentaglia scomoda, siamo poveri cristi,

eppure, chi ci supera? Anche i regnanti, infino
non sanno che si perdono. Ci fanno un bel pompino!
Ti è piaciuto prenderle? E quante te ne ho date …
ed ora noi godiamoci le migliori chiavate.

M’ accovaccio sulla pancia, gli striscio il culo addosso
– Succhiami … sfogati, godimi e leccami la fessa.


E quando poi, sfiniti noi veniamo, con una mossa sola …
il glande, rosso fragola, mi affonda tutto in gola.

Ah, quella roba calda, con niente di più dolce il paragone faccio,
mentre mi scende in corpo, mi godo a modo mio, tutto il suo spaccio.
Gianni … “lo storto” … il massimo: si alza e lascia il letto,
e io torno stronza e zoccola; indegna di rispetto.

IL CAVALIERE IMPROTA

Il Cavaliere Improta, benestante,
autentica figura di puttaniere,
con un passato fulgido e brillante
di chiavatore esperto e bordelliere,
usa … ogni mezzo per tirarsi su:
ancora va al casino, ma non chiava più.

Si corica con numero di danza
facendo il trio: la dama e il ballerino.
Languide carezze riceve nella stanza,
si succhia un seno, abbozza un ditalino,
ma … niente: una tristezza … e che può fare?
Non chiava! Paga bene e poi scompare.

La scorsa notte, con Caterinella,
la prima di una troùpe di giocolieri,
certo non si può dire proprio “bella”,
ma è graziosa e col corpo ci sa fare:
vanta un culo iperbolico ed un seno
che nemmeno ad un morto, viene meno,
ma, per il Cavaliere: effetto zero!

Sudati, come chi fa un trasloco a Ferragosto.

Provava a stargli sotto, tutta storta,
Lo succhiava, inzuppandolo, di gusto
ma ancor nessun effetto si sortiva.

Finché, ridotta come straccio, poverina
disse: – Qui sai chi ci vuol? La sorellina! –
– Tua sorella? –
– Ma certo, l’ acrobata: un portento!
S’ avvita, fa capriole, il doppio salto,
con lei ci riuscirete certamente.
Mette le mani in terra, i piedi in alto,
Spalanca le sue cosce e, con la figa al centro
voi, da Cavaliere accorto, glielo calate dentro.

LA BANDIERA

Il simbolo Italiano è la Bandiera
con tre colori: il rosso, il bianco, il verde:
il sangue dei dispersi, la neve di frontiera
e … la speranza che giammai si perde

e tutti insieme questi tre spezzoni
formano un drappo, il nostro tricolore,
che garrisce su miliardi di pennoni
svegliando il senso eroico dell’ onore

e questo senso ispira il mio commento:
“Sale la bandiera in alto come un razzo
la gente guarda distratta un momento
e non se ne passa neppure per il cazzo”

LA CONFESSIONE

Gaetan, che si fa scrupoli
or che si vuol sposare
s’ affida a Fra’ Liborio
per farsi confessare.

– Padre, sono una malalingua
e m’ incazzo molto e presto;
ma poi dico il rosario
e quello vale questo …

Padre, sfrutto le donne
e vivo sul bordello;
poi sento messe e prediche…
e questo vale quello.

Bestemmio, rubo … truffo la gente
e rincaro la dose a ogni pretesto;
ma poi do l’ elemosina …
e quello vale questo.

E adesso, Padre, sentitela
quest’ altra cannonata:
vostra sorella, Brigida,
me la sono scopata… –

Fra Liborio lo scruta:
– Sei Gaetano? Ah, si, sei quello!
Io mi fotto tua madre:
e questo vale quello! –

RIMEMBRANZE EROTICHE

La spranga a cui tendevi la pargoletta mano
è ormai una settimana che non s’ intosta più.

Pure se piscio è moscia, se guardi fa paura,
la povera creatura non si ripiglia più!

Stanotte, in un anelito, lo sguardo stralunato,
mia ha fatto una guardata, come dicesse: Ehi, tu!
Non so perché ti infurii e vai facendo il pazzo,
ma mi volevi “Cazzo” fino all’ eternità?

Ti ricordi in passato?
Quando, come cetriolo, mi sapevi ostentare?
Bhè … adesso tu ti fotti, ma io devo riposare.

QUANDO NON C'ERA IL VIAGRA

“ Perché stai sempre tra le cosce a sonnecchiare
senza svegliarti neanche per pisciare?
E dire che eri un cazzo duro e liscio,
ed ora ti sei fatto storto e moscio!

Prima arrapavi spesso, bestia da fatica,
soprattutto in presenza della fica,
adesso triste, dormi sulle palle statiche
e non ti svegli neanche tra due natiche.

Povero cazzo mio, tu m’ hai lasciato,
non so se sopravvivo al mio dolore;
povero cazzo mio, te ne sei andato
come chi s’ allontana, giace e muore. ”

Mentre con questi versi, farneticava Enrico,
parlando solo, come fosse pazzo,
lesto gli dissi: “ Lo vuoi un consiglio, amico?
Sputagli in faccia a questo vecchio cazzo!”

ODE AL PETO

Ditemi pure: porco
Ditemi: sei fetente!
ma io, quando scorreggio,
ne godo veramente.

Se mangio pasta e ceci
e di fagioli un po’
e un piacere ascoltare
come canta il popo’.

Magari è un brutto vizio,
ma, al fin, chi non lo tiene?
Anzi, povero sciocco,
chi il peto si trattiene.

Vi sfido, contradditemi,
anche senza rumore
diventa divertente
sentirne un po’ l’ odore.

E’ questa un’ abitudine
diffusa in ogni ceto;
solo i signori, i nobili,
si trattengono il peto.

Se uno, per esempio,
ha un forte mal di pancia,
gli passa tutto e subito
se due scorregge sgancia.

Scaricare dal culo
guarisce tutti i mali:
e un peto, certe volte
ti mette su: le ali.

Se questo non lo fai
la pancia, grossa e goffa,
appesterà l’ ambiente
scaricando una loffa.

E questo, è quel motivo,
chi lo trattiene è fesso:
tanto è lampante e logico,
che al fin puzza lo stesso.

E’ un vizio ereditario,
di far col culo tromba,
papà faceva un peto
più forte di una bomba.

Lo giuro e non esagero
che una volta, ricordo come adesso,
abbattette la tavola
e spaccò pure il cesso.

Poi, mi diceva: è inutile,
la scorreggia è fetente:
la puzza è micidiale,
se sganci lentamente.

C’ è chi fa la battuta,
che il peto tuo è appestato,
che è andato militare
e che l’ hanno cacciato …

allora tu ne scarichi
uno “fenomenale” …
e allora puoi gridargli:
– Tie’!
Questo è un generale! –

IDILLIO INFIMO

Un giorno una cacata solitaria
abbandonata ai bordi di un sentiero,
complice Luglio e l’ olezzo dell’ aria,
s’ innamorò di “strunzo” di pompiere.

Era ella aggraziata e formosetta,
lui era grosso, scuro, prorompente.
Lei ricordava un piccolo cappello.
Lui torreggiava: imponente e bello.

E in una sera tutta profumata,
con la complicità d’ un gran moscone,
lui ricevette la dichiarazione
della piccola cacca innamorata.

Lui si commosse, essendo triste e solo
e da nessuno mai considerato.
Volle subito bene a “cacatella”,
di più che al culo che l’ avea creato.

Ma per sfortuna erano lontani.
E sol la luna, i sassi e le verzure
del piccolo viale solitario,
potevano conoscere i tormenti
di quei due timidissimi escrementi.

E un bel mattino, erano le otto,
un secchio d’ acqua, lesto, da un balcone,
l’ effetto provocò sul grande amore,
come il famoso libro galeotto,
che a Paolo ed a Francesca prese il core.

Benedicendo insieme la secchiata
in fine, al cor si strinsero gli amanti.

Piccoli oggetti, dell’ amore indegni,
scambiarono tra loro, come pegni.

E scivolando nell’ acqua delle alici,
seguiti dai “moschilli” planarono, felici.
Così finì che cacca di stiratrice
a nozze convolò con stronzo di pompiere
e dopo in viaggio stettero abbracciati
tra due cocci di “cantaro” spaccati.

Libramente tratto da: L'inferno della Poesia Napoletana.
Giovanna c. 2013.

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