Cagne in caserma 2

Il mio disprezzo per le regole e il comportamento non esemplare mi guadagnarono presto il trasferimento a una caserma più punitiva, dove ebbi modo di sperimentare nuove esperienze con carne fresca e piena di foga. Con alcuni compagni di sventura avevo già avuto precedenti rapporti, perciò la voce delle mie prodezze sessuali ebbe subito circolazione, e così il mio vezzo di non indossare mai biancheria intima. Docce, camerate, e di notte pressoché ogni angolo interno ed esterno, soprattutto il parco frondoso della struttura divennero il mio luna park.

Sperimentai pratiche di sottomissione violenta e totale. Desideravo da qualche tempo di trovarmi inerme di fronte al capriccio di uno e meglio ancora di un gruppo di giovani manzi arrapati e senza freni, fingendo di negarmi e di opporre resistenza. I contatti iniziali furono tete-a-tete. Il benvenuto ebbe luogo durante una doccia serale. L'approccio di un ragazzone già eretto minacciava una scopata non esattamente consenziente; lo diventò non appena l'energumeno mi afferrò per il collo inchiodandomi al muro, ancora insaponato, e infilò senza fatica il cazzo durissimo nel culo scivoloso, sborrando abbondantemente dopo pochi colpi decisi e ben assestati.

La sera era il momento più tranquillo per abbandonarsi al grido degli ormoni. Presi l'abitudine di piazzarmi nell'unico bagno provvisto di tazza, seduto con le gambe allargate, completamente nudo e arrapato. Lasciavo la porta aperta, e i primi clienti non si fecero attendere. Infilavo la mano sotto i loro accappatoi tastando avidamente l'uccello, succhiandolo con ingordigia, e li facevo spruzzare a piacimento in faccia e sul mio corpo. Pochi mi rendevano il favore, spompinandomi o menandomelo a loro volta.

I più erano intraprendenti e decisi, e dopo essersi scaricati a dovere mi tiravano per i capelli costringendomi a infilare la testa nel cesso e mi pisciavano in faccia, come fossi una latrina; o mi assestavano poderosi ceffoni che anziché umiliarmi mi eccitavano a dismisura. Alcuni romantici sgattaiolavano nella mia branda nel buio della notte, infilzandomi dolcemente, le mie gambe attorcigliate dietro le loro schiene, il bastone saldamente nel culo, la lingua in bocca come fossi la loro fidanzatina, le mie mani salde sulle loro natiche, la mia bocca che come miele sussurrava “scopami… scopami… scopami”.

Altri più determinati mi giravano a quattro zampe e senza ritegno mi fottevano come cani, i miei mugolii che echeggiavano per la camerata. Non di rado il piacere di essere riempito e completamente dominato mi faceva mollare gli ormeggi, e a gambe larghissime mi facevo chiavare come un forsennato, senza fermarmi fino a che il cazzo dello sconosciuto non si fosse scaricato nelle mie budella. Dopo queste scopate al buio, l'estraneo ancora dentro di me, afferravo la sua mano e mi facevo masturbare lentamente, sorprendendomi a erompere in violentissime sborrate che scuotevano tutto il mio corpo.

Le spedizioni di gruppo iniziarono poco più avanti, alla fine dell'inverno. Fui svegliato in piena notte da un plotoncino di cinque tizi incappucciati che mi trascinarono in malo modo in un magazzino nel parco carri. Mi strapparono la tuta di dosso e sfoderarono cinque cazzi eretti, e per grazia molto appetitosi. Ne avevo riconosciuti estasiato un paio, di dimensioni impressionanti. Sbavavo. Usai la mia abilità per trasformarli in pali durissimi e pronti all'azione. Mi immobilizzarono e strizzarono i miei capezzoli grossi e duri come proiettili con due clip di metallo; mi infilarono sul cazzo un pezzo di tubo da irrigazione in gomma, lasciando che ne uscisse solo la cappella.

L'eccitazione e la mano di uno dei cinque che come una morsa stringeva il mio arnese gonfiarono la mia cappella a dismisura. Mi imbavagliarono, mi girarono faccia al muro e mi legarono i polsi a due dei ganci che pendevano a metà parete. Raccolsero da terra sfilacci di cuoio e tubi di gomma, e a turno mi presero a cinghiate sulle natiche costringendomi a urla sguaiate di dolore e di piacere. Mi cinsero un laccio di cuoio come cappio intorno al collo, stringendo.

Mi divaricarono le chiappe con mani d'acciaio e mi sodomizzarono con cilindri di gelido metallo, colli di bottiglia, manici di martello, pennelli, bastoni di legno levigato. La mancanza di ossigeno mi trasfigurò e portò il mio piacere allo spasimo. Temevo che avrei sborrato da un momento all'altro, ma non era che l'inizio. Gemendo pieno di desiderio inarcai il culo verso i miei aguzzini. Ricoprirono il mio sfintere sputandovi a spregio densi fiotti di saliva.

Cinque uccelloni gonfi mi impalarono alternandosi, guarnendo la penetrazione con scudisciate e i colpi violentissimi di un arnese in legno piatto. Miagolavo implorandoli che non smettessero. Mi sfondarono senza misericordia riversandomi nelle orecchie oscenità e insulti irripetibili che non facevano che aumentare la mia eccitazione. Percepivo i corpi sudati aderire alla mia schiena e spingevo all'indietro per farmi penetrare più in fondo che potevo. Pregustavo sborrate improvvise e violente. Cavalcato da dietro da un branco di mufloni imbizzarriti, mani grezze mi assestavano potenti sganassoni sulle chiappe.

Ero in visibilio. Due tra loro avevano tra le gambe un uccello asinino. Quando li sentivo risalire tra le mie cosce, sfiorarmi le palle e puntare lo sfintere salivavo e mi contorcevo come una cagnetta. “Allargami le chiappe così mettimelo al culo”, imploravo sotto il bavaglio. “Infilati tutto dammelo lo voglio tutto sfondami il culo sono la tua vacca rompimi il culo figlio di troia” continuavo a ripetere come in trance. I coglioni pieni ballonzolavano sul mio scroto pieno.

“Non ti sento… più in fondo… sbattimi… ti ho detto rompimi il culo… non ti fermare mi devi sfondare… sborrami dentro spruzzami tutto in fondo”, ero un fiume in piena. Cinque paia di coglioni sovraccarichi rovesciarono dentro di me volumi inusitati di sperma. Pietrificato dall'orgasmo gustai quel lago di liquido denso che mi riscaldava le viscere. Senza toccarmi allagai la parete e il pavimento con una sborrata senza precedenti. Fui slegato e fatto inginocchiare.

Cinque uccelli si masturbarono furiosamente davanti alla mia faccia e furono di nuovo duri, le grosse cappelle pronte a fare nuovamente fuoco. Mi toccai altrettanto furiosamente, l'uccello ancora nella guaina di gomma. Schiusi le labbra e feci scomparire i cazzi nella mia bocca, succhiandoli uno a uno senza fretta, con voluttà. Tra risate lubriche sborrarono con gioia fiotti interminabili, scaricandomi rinnovati orgasmi in gola, in faccia e su tutto il corpo. Carico di lussuria intimai che almeno mi ripulissero.

Mi fecero accovacciare, i cazzi ormai penduli. I primi timidi schizzi di urina misti a sperma si trasformarono in lunghe liberatorie pisciate che lavarono dal mio corpo ogni residuo di sborra. Al corto guinzaglio mi trascinarono per lo stanzone facendomi ripulire il casino con le ginocchia, le mani e la lingua.

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