Bozzetto erotico #1. Sandra, Berlino

La guardavo seduta sul letto mentre si toglieva le calze nere, arrotolandole lentamente verso il basso. Il colore della guaina contrastava con il bianco delle sue cosce, tornite, piene, burrose. Mentre si chinava in avanti per completare l'opera, i suoi seni penzolavano in avanti. Di lei mi avevano colpito due cose, quando l'avevo incontrata sulla Orianenburge Strasse, vicino al Monbijoupark: i seni che si intuivano rotondi e abbondanti anche se portava una maglietta a collo alto e la parlata inglese che tentava, senza riuscirci, di cancellare l'accento tedesco.

Ne veniva fuori un idioma che mi aveva incuriosito, che mi divertiva, che mi sembrava particolarmente dolce al suono. Sono questi i piccoli particolari che mi rendono desiderabile una donna. Ci eravamo accordati velocemente sul prezzo ed eravamo andati in un vicino alberghetto che accoglieva le prostitute e i loro clienti.
Ora eravamo lì, in una stanza spoglia ma calda, che ci proteggeva dalla temperatura rigida di Berlino. Aveva appena finito di togliersi le calze e ora mi guardava sorridendo: “Da cosa vuoi cominciare?”
Me ne stavo appoggiato alla parete, mentre fumavo una sigaretta e la guardavo intensamente.

Mi sembrava di avere un'aria cinematografica ma probabilmente l'effetto virava più sul ridicolo. “Vorrei…” provare ad abbozzare, ma quasi mi vergognavo a finire la frase, “Potremmo… insomma, potresti iniziare a fare…” “Vieni qui”, tagliò corto lei e io mi sentii così sollevato da riuscire ad abbandonare quella posa artificiosa, spegnere la sigaretta nel posacenere sul comodino e fare qualche passo per avvicinarmi.
Se ne stava ancora seduta sul letto e appena le fui davanti iniziò a sbottonarmi i pantaloni.

La guardavo, bionda e dalla pelle candida, formosa, quasi uno stereotipo estetico. Avrei quasi voluto che mentre cercava di tirarmelo fuori assumesse quella espressione che talvolta si legge nei peggiori racconti erotici: “Me lo tirava fuori e il suo sguardo era quello di una bambina intenta a rubare dal vasetto della marmellata”. Per fortuna, almeno nei gesti e nelle espressioni, sfuggiva ai cliché e alla banalità. I suoi occhi marroni guizzavano, ma senza tradire alcun senso di trasgressione, di divertimento o di passionalità.

Era una prostituta: non le dispiaceva – o almeno, mi sembrava di non dispiacerle – ma nemmeno era in preda a chissà quale sentimento.
Quando riuscì a tirarmelo fuori era già duro e un po' lei se ne stupì. “Mi eccito facilmente… ti avverto, potrei anche non durare molto…” A queste parole, lei sorrise divertita: non capii se per mettermi a mio agio o perché trovava divertente questa mia difesa non richiesta. Lo prese in bocca, recitando quasi una parte: iniziò a leccarlo dolcemente, mollemente come dolci e molli erano le fattezze del suo corpo.

Saettava con la lingua su tutto il glande, ora insistendo sul frenulo, ora alternando delle piccole succhiatine sulla parte superiore. Intanto con la mano accarezzava lievemente i testicoli. Sentii subito un brivido lungo la schiena. Eh no, non sarei durato probabilmente a lungo.
Mentre lavorava alacremente, le guardavo la testa e le passavo una mano tra i capelli setosi.
Chissà chi era veramente Sandra e quale nome fosse davvero il suo. Cercando di distrarmi e di non accelerare eccessivamente il finale, guardai fuori dalla finestra la piccola porzione del gelido panorama della città.

Pensai che quella burrosità di Sandra era perfettamente in sintonia con Berlino. Non so perché avevo questa sensazione. Me la immaginai mentre da adolescente tornava da scuola insieme alle amiche, prendendo la metro. Immaginai i sogni che aveva dovuto avere, i progetti per la vita futura. Non mi riusciva però di pensare che fosse divenuta una prostituta per necessità. Il suo aspetto, la cura per i vestiti e gli accessori non sembravano essere quelli di una semplice passeggiatrice, costretta a vendere il proprio corpo.

No, forse aveva incontrato nel sesso un piacere tale da farne una ragione di vita, forse provava eccitazione a darsi a pagamento a sconosciuti. Un'eccitazione che sapeva nascondere e dissimulare, che teneva tutta per sé. Fui scosso da questi pensieri dai rumori che provenivano dalla sua bocca. Fece un attimo di pausa continuando a massaggiarmelo con le mani. Mi guardò e mi sorrise ancora, come a chiedere se mi piacesse. Chiusi gli occhi e reclinai la testa all'indietro, emettendo un mugolo in risposta a quella tacita domanda.

Lo riprese in bocca e continuò a succhiarmelo. Il mio uccello era diventato durissimo, per un attimo pensai di non averlo mai avuto così. Da lontano sentivo arrivare impetuoso l'orgasmo. La avvertii: “Sto per venire…” e lei iniziò ad andare su e giù con le labbra più velocemente. La marcia del piacere non durò molto. Un paio di secondi dopo mi irrigidii, chiudendo i pugni, come se dovessi scaricare tutta la tensione accumulata verso terra.

Schizzai tre o quattro volte nella sua bocca, mentre lei chiudeva gli occhi stretti stretti man mano che gli spruzzi di sperma arrivavano. Inghiottì tutto e continuò per un altro po' a succhiarlo, finché non lo liberò, perfettamente lindo. Mi guardò soddisfatto e il mio sguardo di rimando dovette essere proprio inebetito.
Come sempre mi succedeva dopo l'orgasmo, l'eccitazione non accennava a placarsi. Il viso di Sandra, un po' allungato, contornato dal biondume della sua chioma mi dava vigore.

Non resistetti, la presi, la buttai sul letto e fui sopra di lei. Un po' rimase sorpresa ma, quando arrivai a guardarla negli occhi, mi sembrò di scorgere un briciolo di eccitazione. La tradì una risata genuina e subito dopo la sua fretta di togliermi pantaloni e mutande. Dopo pochi attimi io ero completamente nudo e le sue mutandine erano volate dall'altro capo della stanza. Insistetti perché rimanesse in sottoveste, sotto la quale era però ora completamente nuda.

Istintivamente, misi subito una mano sulla sua fica, per tastare il terreno. I peli biondi erano setosi, e qui tornò un po' quell'aria di cliché che ogni tanto si affacciava: me ne scordai subito, quando affondai dentro un dito e la trovai inaspettatamente umida. Le piaceva e dopo qualche sfregamento fui lei stessa, con i suoi occhi, a chiedermi di andare avanti. Affondai subito il suo uccello tra le sue cosce e sembrò di penetrare il burro, sembrò che la sua vagina lo risucchiasse senza bisogno che spingessi con le reni.

Si avvinghiò con le gambe alla mia schiena, cinse il mio collo con le sue braccia e appena iniziai un movimento ritmato iniziò a gemere e a respirare. Le sue pupille mi si piantarono negli occhi e, davvero, in quel momento fui convinto che le piacesse quel gioco fatto di stanze di albergo, braccia ignote, peni duri come il marmo che erano in fondo tutti uguali ma che ciascuno dei quali avrebbe visto forse solo una volta.

Iniziai a sudare e le tirai fuori un seno che succhiai con passione e avidità. Lei sospirava e ansimava, ogni tanto doveva chiudere gli occhi. Sentivo la sua vagina che si contraeva, come un fascio di serpenti che si contorcevano intorno alla mia asta. Non diceva niente, si limitava a gemere. Il suo respiro iniziò ad accelerare vertiginosamente, si morse un labbro e si aggrappò strettamente a me con tutto il corpo, come se avesse paura di cadere, come se avesse bisogno di sentirmi ancora di più dentro di lei.

Per un secondo sospese ogni suono. Per quella breve durata, ebbi l'impressione che tutti i rumori del mondo fossero sospesi, che i nostri corpi fluttuassero fuori dalla stanza, nel vuoto, oltre lo spazio e il tempo, mi sembrò come se qualcuno avesse shittato un'istantanea del suo orgasmo. Fu quando alla fine, con un grande gemito finale, si staccò e si abbandonò sul letto che il mondo riprese il suo corso normale, ritornammo in quella stanza, su quel letto d'albergo, e ritrovai Sandra, il suo corpo caldo e sudato sotto il mio.

Quello spettacolo richiamò anche il mio piacere e, dopo qualche movimento repentino, iniziai a gemere fiotti di sperma. Ci ritrovammo a guardarci, con il respiro grosso, tremolanti e scoppiammo a ridere, senza un apparente motivo.
Ci pulimmo in bagno e poi ci rivestimmo con una certa fretta, in silenzio, senza dire niente. Le detti i soldi pattuiti che, con un'aura di professionalità, mise velocemente nella borsa. Quando scendemmo in strada, imbacuccati nei nostri cappotti, ci salutammo distrattamente e ognuno proseguì per la sua strada.

Era calato il buio e guardai il cielo nuvoloso di Berlino, mentre una brezza gelida mi passava sul viso. Pensai che Sandra era stato un incontro stupendo. Pensai che il giorno dopo avrei dovuto partire per spostarmi in un'altra città. Pensai che, in fondo, quegli incontri fugaci con donne sconosciute, senza impegni sentimentali, mi mettevano addosso una certa gioia tintinnante. Pensai che, in fondo, quella gioia era sempre effimera e si affacciò nel mio cuore una punta di tristezza.

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