Un mestiere come un altro

Il momento più antipatico per fare il mio mestiere è quando è estate. Fa caldo. Si suda. I clienti sudano. Io sudo. E’ tutto un mescolare liquidi e sudori e a volte è fastidioso. Mi piacerebbe che tutti i miei clienti fossero privi di peluria perché con la peluria sudano di più, ma in quel caso faccio in modo che il mio corpo tocchi l’altro il meno possibile. Una fellatio o una cavalcata con me sopra a prendere aria, con la finestra un pochino aperta, così ricevo una striscia di venticello che gradisco sulla pelle, e il problema è risolto.

Mi è più difficile con quelli che vogliono abbracciarmi, vogliono le coccole e allora qualche volta propongo di tenerci stretti tra le lenzuola, così io mi avvolgo e lui poggia sul tessuto e non su di me. Dovrebbero darci l’aria condizionata per via obbligatoria, ma siamo in un paese in cui la prostituzione per poco non è reato, figuriamoci se gli salta in mente di fare in modo da poter affittare un appartamento areato e dotato di tutti i comfort.

Poi sai, è tutta questione di denaro, dipende quanto ne hai e io ne guadagno il giusto, per campare e studiare. Dura meno e sono più fresca e riposata quando devo preparare una materia. Cosa mi piace del mio lavoro? Le colleghe. Ne ho incontrate di straordinarie, bellissime, dotate di senso dell’ironia, intelligenti, taglienti, dirette, non ce n’è una che non ti guardi dritto negli occhi perché loro sono abituate a percepire, con empatia, i bisogni dell’altro.

Quando parlo con qualcuna di loro mi sento libera, liberata. Non devo nascondere nulla. Non devo sentire prediche, sermoni, sul dovere di essere femmina in un modo o in quell’altro, perché ciascuna di loro ha la propria storia e chi più o chi meno ha vissuto esperienze belle o brutte ma comunque degne di essere raccontate.
Mi piace il fatto di aver trovato solidarietà in alcune e poi di alcuni clienti apprezzo l’apertura mentale.

Sono con me perché non hanno tempo di fare altro, perché vogliono stare con una bella ragazza che non fa troppe domande e non li mette molto a disagio, perché hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro e c’è chi con me scherza, chiacchiera, e quanto chiacchierano, di tutto quanto. Delle famiglie, le storie iniziate e finite, i fallimenti, i progetti. Ho incontrato qualcuno che era pieno di risentimento nei confronti della ex.

Soffriva tanto e ce n’è voluto per farlo sciogliere in lacrime, offrendogli carezze e vicinanza. Fin dall’inizio ho sempre capito che c’è chi ha una visione alquanto ristretta e falsata di quel che riguarda il mio mestiere. Chissà che pensano. Uomini che non possono ammazzare o stuprare altre che vengono a sfogarsi con noi. Invece non è così. Noi incontriamo la stessa dose di stronzi che puoi incontrare tu e tu e tu ogni volta che esci e vai a ballare.

Se siamo in zone protette non possono farci nulla, se siamo nascoste per paura di multe a noi e ai clienti allora ecco che si scopre come chi diceva di volerci salvare invece ci condanna a subire. Quello che non si capisce è che la maggior parte degli uomini che si rivolgono ad una prostituta lo fanno per svelare il lato più intimo di sè. E non c’è lato più intimo di quello che tocca le emozioni più profonde.

Quando i miei clienti si spogliano, tolgono gli abiti e man mano anche ogni altra copertura. Così appaiono vulnerabili come davanti a un’altra non apparirebbero mai. Perché la vulnerabilità non si concede a tutti. Di quante pressioni è vittima un uomo che si discosta da una mentalità machista si potrebbe parlare per ore. Così come dell’ansia da prestazione. Io dico quel che so a partire da me. I miei clienti sono per lo più persone che non regalerebbero tanta intimità ad altre donne, perché il gioco di potere con un’altra non reggerebbe, perché regalare tutto di te, completamente nudo, significa cedere potere all’altra e solo con me, per esempio, si sentono al sicuro, sanno che io non userò mai contro di loro le debolezze che mi hanno confessato, quelle di cui mi hanno parlato.

Io sono una prostituta e mi pagano perché così è pagato anche il mio silenzio. Altro che acquisto di carne o semplicemente di servizi sessuali. E’ come se io fossi vincolata al segreto professionale e alla più totale discrezione. Cosa che, per inciso, tutte forniamo, perché da noi vengono uomini di tutti i tipi. Molti hanno famiglia, altri sono insospettabili o persone che hanno ruoli importanti e quindi noi dobbiamo mantenere il segreto. Nella casa in cui incontro i miei clienti ci sono perfino due ingressi separati.

Da uno entrano e dall’altro escono, perché così non dovranno incontrarsi. Anche se io lascio sempre un buon margine per dare a tutti il tempo di arrivare avendo garanzia della massima discrezione. Vorrei parlarvi di un cliente che prima di venire da me non aveva mai avuto un rapporto sessuale completo con una donna. Aveva circa 28 anni e sembrava un chierichetto. Non aveva avuto l’occasione, così mi disse, o comunque non era esattamente un adone, per cui aveva molta difficoltà ad approcciare qualcuna.

Dopo quattro incontri capì che quello che gli piaceva di me era il fatto che avevo individuato quel che piaceva a lui. Voleva essere abbracciato da dietro. Voleva sentire le mie mani senza guardarmi. Voleva cose che non coinvolgevano eccessivamente il mio corpo. Infine fu felice di scoprire che era ed è gay. Ditemi voi se non ho svolto in modo eccellente il mio lavoro. Perché il lavoro non è solo dare piacere. E’ aiutare alla conoscenza di sé, dal punto di vista sessuale ma non solo.

E’ stuzzicare un immaginario a volte sopito, privo di stimoli. E’ empatizzare, comprendere quel che non riescono a dire pelle a pelle. E’ garantire un atteggiamento in cui serve sensibilità, capacità di osservazione, senso dell’ironia, a volte capacità di ridere e far ridere. Quel che siamo noi “puttane” è troppo complesso da descrivere e quando qualcuna ci qualifica semplicemente in un modo morboso, pornografico, osceno, non ha proprio capito nulla di quello che facciamo.

La verità è che tutte possono dare della zoccola ad un’altra donna ma non tutte possono e sanno fare le puttane, perché è un talento, una capacità che si affina col tempo ma che in qualche modo nessuno ti può insegnare. O ce l’hai o non ce l’hai. Io ce l’ho. E sono felice di averlo.

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