un dolce sorriso

Lo trovai lì, nudo nel bagno del college, il membro enorme e semirigido in mano, con oscene movenze lo stimolava, tenendolo scappucciato e non curandosi del fatto di essere nello spazio comune, dunque esposto alla vista di chiunque. Nel caso specifico, alla mia vista. Dopo essersi accorto della mia presenza, anzi, sembrò non curarsene più di tanto. Esibizionista come era, proseguì come se nulla fosse. Aveva voglia, si vedeva dalle dimensioni esagerate. Lo avevo interrotto, ce l'aveva con me, lo sentivo.

– Cos'hai da guardare? Non ne hai mai visto uno?

Nulla da dire, l'occhio mi era caduto lì e non nascondevo una certa ammirazione.

– Non ne avevo mai visto uno così grosso.

Di fronte al complimento si fece spavaldo.

– Se vuoi, puoi toccarlo. Se ti va.

Ricambiai con la stessa moneta.

– Qui, davanti a tutti?

Sul volto gli si dipinse un'espressione di autentico stupore, come dire “ma guarda tu questa troietta”.

Però doveva avere l'ultima parola, mi prese per un polso e mi trascinò nel primo cesso aperto. Una volta dentro, richiuse la porta alle nostre spalle, fermandola col chiavistello. C'era penombra, la giornata era uggiosa e dalla finestrella arrivava una lamina di luce livida. A malapena ci vedevamo in faccia.

Stavamo in piedi, lui di fronte a me, io di fronte a lui, il water fra di noi e non sapevamo che fare: perché una cosa è il sesso immaginato, la fantasia che si accende, che inventa e ti riempie dell'effimero entusiasmo dell'onanismo, altro è trovarsi col vero membro di Fabrizio a pochi centimetri da te, che potevi sentirne l'odore e se inspiravi per bene potevi anche immaginarne il sapore.

Se lo prese di nuovo in mano, lo menò un po', ma era imbarazzato: evidentemente anche per lui era la prima volta con una persona diversa da lui, non gli si induriva più di tanto. Mi si avvicinò, però non sapeva da dove cominciare. Il sesso è conquista, non imposizione. Mi sorprese con un sorriso dolce, invitante, e con una carezza che mi fece su un braccio. Istintivamente aprii la mano, glielo impugnai.

Lo teneva fuori dai pantaloni, con la sola lampo tirata giù. Con un cenno degli occhi lo invitai a sbottonarseli e in un attimo se li calò fino alle caviglie.

Adesso era nudo, dalla vita ai polpacci, la pelle bianchissima solcata da una lanugine scura, una peluria rossiccia che incorniciava un paio di testicoli grossi così e un cazzo di almeno una ventina di centimetri, che gli pendeva fino a metà coscia.

Mi accorsi che in quello spazio angusto e maleodorante non si sentiva nemmeno un respiro, né mio né suo. Lo presi frontalmente, ma mi veniva male, era una posizione innaturale. Dovevo mettermi accanto a lui, per impugnarlo nel verso giusto, ma il bagno era stretto, c'era sempre il water di mezzo, non riuscivo a trovare la posizione ideale per masturbarlo con la mano destra.

– Bacialo. Prendilo in bocca.

Me lo disse in un orecchio, forse perché un tantino si vergognava o aveva paura che qualcuno ci sentisse.

Lo guardai negli occhi, volevo fulminarlo ma mi ritrovai docile in ginocchio di fronte a lui. Lo baciai sul pube, nel punto in cui il cespuglio di peli contornava l'attaccatura del membro. Indugiai sul dorso con qualche altro bacio e gli presi in mano le palle. A quel punto lui non ne poté più, mi prese delicatamente per i capelli e mi guidò a prenderglielo in bocca. Non avevo esperienza alcuna, ma lui fu un bravo maestro.

– Piano, piano, gioia mia, sennò ti affoghi.

Riuscivo a tenere in bocca e a leccare la cappella, ma se lui spingeva un po' verso la gola mi afferrava il conato e allora mi doveva guidare nei movimenti, con lentezza e paziente dolcezza. Gli diventò duro, durissimo, e in erezione forse raggiungeva i trenta centimetri.

– Brava, brava, amore mio. Quanto sei brava.

Mi parlava come se fossi una femminuccia e in realtà lo ero, avevo fama del ricchione del college universitario solo maschile, tutti mi toccavano il culo e mi piaceva, avevo le tette – piccole ma sode – e non c'era uno che non me le avesse toccate, ma ero profondamente infelice perché amavo Giovanni e lui si era messo con Marisa, una ragazza vera, che magari aveva meno tette di me ma aveva la passera, io invece avevo il pistolino e Giovanni mi aveva pomiciata – come tutti i compagni, ma lui con più passione, con un pizzico di trasporto in più, mi aveva pure baciata sulla bocca ma senza lingua – però mi aveva detto che di spogliarmi non ne voleva sapere, perché scopare una ragazza col pisello non gli andava.

Fabrizio invece non si poneva problemi e ora che gli stavo facendo un pompino, il primo della mia vita e probabilmente anche della sua, guardandolo dal basso verso l'alto sembrava in paradiso, mi accarezzava i capelli, il viso e mi pizzicava i capezzoli con entrambe le mani, fino a quando non cominciò ad accelerare il ritmo.

– Gioia mia, sto venendo. E ora dove vengo?

Non seppi cosa rispondergli, non ne ebbi il tempo: mi schizzò tutta la faccia e meno male che riuscii a chiudere gli occhi.

Ne presi un bel po' anche in bocca, mi sporcò la maglietta e i pantaloni. Uscì dal bagno trascinando i piedi, dato che aveva i pantaloni alle caviglie, incurante di eventuali altre presenze: e meno male che non c'era nessuno. Si sciacquò l'uccello, poi tornò dentro, mi offrì pietoso un fazzolettino e un sorriso dolce.

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