Stati Liquidi

Faccio lo Chef con una buona visibilità e riconoscibilità, quindi sono sempre a contatto con persone di ogni estrazione culturale, economica, religiosa, un parterre di diversità che rendono unica la crescita mentale. Gli odori sono le mie esplosioni irridescenti, mi lascio trasportare nello spazio scuro, la mia mente mi bombarda di energia solare, immagini, colori, esplosioni nucleari, chi mi conosce guardandomi sa che entro nella trance creativa, i miei occhi sono vetro, lucidi, le mie pupille si scuotono, ondeggiano, osservo l’inesistente, per me è lì, lo posso toccare con un guanto sensoriale, per gli altri no, sorridono rispettosi nell’attesa di essere meravigliati dalle forme che si materializzano nel piatto.

L’olfatto risveglia le mie più profonde voglie, la voracità mi porta ad annusare le donne come un cane da tartufo, sento il loro odore, è irripetibilmente indescrivibile, si materializza l’esistenza, dalle sfumature più dolci agli aromi più pungenti, sento a distanza la loro fertilità, provo un piacere nascosto.
Questo sfregamento mentale, per me sano e vitale, mi ha portato ad avvicinarmi pericolosamente ad una mia collaboratrice, una ragazza di bassa statura, un bel corpo, mani salde, simpaticissima, il suo odore era per me un elettro shock, l’odore della sua pelle si mescolava con l’artificio del profumo, una miscela esplosiva, una molotov per la mia adrenalina, lei se ne era accorta, e faceva di tutto per farmi arrivare questo bastimento di feromoni.

Facendo un lavoro muscolare la tua pelle emerge, il profumo delle viscere si mescola all’aria, al cibo, al sangue delle carni, trascinandoti in una preistoria fluida, scolpita nelle pieghe del dna, aromi intensi corporali, le donne che fanno la mia professione perdono le strutture sociali e diventano quello che sono nel mondo, fiori profumati dall’anima, fiori da impollinare.
Lei mi stuzzicava, aveva ben capito che non stavo creando piatti ma che stavo girando un film, si era accorta della mia tensione, della mia vibrazione, le mie labbra si irrigidivano mentre osservavo la sua bocca, non ricordo neanche quello che mi diceva, probabilmente mi dava dello stronzo sorridendo, ma a me non importava il suo suono, ero incantato da quella danza labiale, dallo scandire e schioccare della lingua, da quel sorriso furbo, veloce, un invito alla semina.

Finimmo il servizio della cena, come staff di cucina, essendo gli attori dello spettacolo, l’albergo ci teneva sempre una camera d’appoggio per permettere ai gladiatori di lavarsi, asciugarsi e partire per avventure notturne nella città, tutti si precipitarono a fare la doccia, io ovviamente mandavo tutti avanti, facevo la doccia sempre per ultimo perché non avevo voglia che nessuno mi facesse fretta. Ero rimasto solo in cucina a rendicontare lavori, acquisti, un normale gestione di una cucina d’alto livello, gli a****li probabilmente stavano finendo di lavarsi e asciugarsi, e si sarebbero diretti molto probabilmente a sfondarsi di vino e a fare i pirati.

Arrivai in stanza, fortunatamente la truppa si era dileguatai, mi spogliai e feci la doccia, fu una giornata molto intensa, avevamo avuto un matrimonio a pranzo e un buon numero di ospiti alla sera, ero stanco, annebbiato, la mia mente pompava l’odore di quella creatura inconsapevolmente erotica, me ne stavo sdraiato con l’asciugamano in vita nella stanza affres**ta, mobili antichi, musica in filodiffusione, sentivo le gambe che cominciavano ad abbandonarmi. La porta si aprì, con espressione stupita guardai la figura in piedi sulla porta, era la ninfetta, doveva ancora fare la doccia.

Entrò mi sorrise, era imbarazzata, il gioco con il quale mi aveva torturato tutto il pomeriggio non poteva più continuarlo, con tono dolce e timoroso nell’infastidirmi mi chiese se era un problema che si facesse la doccia. Nessun problema, risposi e continuai a tenere gli occhi chiusi, ero veramente stanco e non m’infastidiva la sua presenza. Si spogliò e rimase in mutande e reggiseno, aprii gli occhi, era bella, indifesa, una pelle candida, lei mi sorrise e imbarazzata mi disse, faccio la doccia aspettami.

Rimasi impassibile sul letto, cercando di dimenticare la sua immagine, non potevo fare figure pessime, rimanevo il suo Chef, un suo superiore, ero in trappola, mi aveva fatto scacco matto. Uscì dal bagno, aveva un viso rilassato, il vapore acqueo l’avvolgeva come una divinità, si sedette sullo stesso letto, era un letto matrimoniale, si sdraiò di fianco, era stanca pure lei, aveva lavorato molto tra una scarica elettrica e l’altra. Io fui molto dolce, le accarezzai il viso, era una carezza umana, non aveva niente di erotico e sessuale, era una ungarettiana emozione, lei lo capì che non le avrei mai mancato di rispetto, a sua volta mi accarezzò il viso chiedendomi se mi dava fastidio.

Ebbi una scarica elettrica, un formicolio in tutto il corpo, il phatos mi stava prendendo, mi feci più sicuro, meno timoroso, la baciai sulla fronte, lei non opponeva resistenza, scesi sul naso, mi abbandonai alle sue guance, sentivo il suo respiro ingrossarsi come la marea, era rilassata, era abbandonata al mio volere. Le baciai il collo, eravamo in una posizione fetale, eravamo sdraiati sul fianco, il nostro viso si stava mescolando con effusioni dolci, affusioni pericolose.

Lei cominciò a ripercorrere il mio percorso che feci su di lei, non c’eravamo ancora baciati, aspettavamo entrambi il casello autostradale, prossima uscita casello dei sorrisi. Ci guardammo, in quello sguardo c’era tutta la consapevolezza che non saremmo più tornare indietro, sguardi rassicuranti, sguardi pulsanti. Ci baciammo, un contatto lungo, umido, il suo sapore era di donna, la sua lingua cercava la mia bocca, una ricerca di cibo, sentivo il suo scuotersi, sentivo gli asciugamani che prendevano vita come dei fantasmi, svolazzavano creando un rifugio nostro interiore, era l’amore.

Ci trovammo nudi, in un albergo, era il nostro albergo, era la nostra seconda casa, mi feci più audace, mi staccai dalla bocca, voleva assaporarla, volevo scoprire la sensibilità di ogni suo centimetro quadrato, la sua carne era soda come se la pelle, i muscoli e i tendini componessero un blocco unico. Sentivo la sua tensione, sentivo il suo innarcare la schiena mentre con la lingua e le mani passavo dai suoi seni al suo ventre.

Un ventre ampio, muscoloso, definito dal lavoro, potevo già sentire sul mio corpo la sua peluria, il suo bosco segreto, brinato dalla doccia. Mi soffermai sul suo monte di venere, mi sentivo lo scalatore che deve godere della fatica nell’arrivarci, una sensazione di pace, la sua parte segreta era pronta, predisposta all’assaggio. M’intrufolai tra le sue pieghe, aveva delle grandi labbra imponenti, potevo girare intorno come un cane che ha bisogno di marcare il territorio attorno alla sua cuccia.

L’odore mi aprì le narici, seppur avesse fatto la doccia, sentì l’odore del suo sesso, ero forte, acre, erotico, era la sua anima sconvolta dalla dolcezza delle nostre coccole, potevo vedere il suo piacere, un lucida labbra naturale, fluido trasparente, saporito, aveva lo stesso sapore delle ostriche di mare che avevo usato per cena. Infilai la mia lingua nella cavità, il naso sbatteva sul clitoride, stavo assaporando un lecca lecca dall’interno della sfera, era mare, terra, aria, era buona, era mia.

Venne quasi subito con degli spasmi, le sue contrazioni muscolari le facevano serrare le gambe sulle mie guance, il suono del suo piacere era sobrio, elegante, eccitante. Si ricompose mi sorrise, e con gli occhi da furbetta mi disse ora tocca a me, scese dal collo, la sua lingua non staccò mai dalla mia pelle, voleva entrarmi dento all’altezza del cuore, sentii la sua necessita di aprirmi il costato per baciare il mio muscolo principale, il mio cuore, voleva leccare la parte pulsante di me.

Mi eccitò tantissimo quell’abbandono per me insolito, proseguì diretta al mio membro, lo prese in mano, l’osservò, lo salutò, doveva fare conoscenza mi disse, non poteva diventare sua amica senza presentazioni, lo baciò dolcemente, esplorò la pelle intorno, i testicoli, era affamata di curiosità. Lo prese in bocca, fu accecante, chiusi gli occhi, sentivo che non sarei mai potuto res****re tanto, era la prima volta che facevamo l’amore assieme e l’eccitazione era massima, era tesa, ero al limite dell’esplosione.

Le presi la testa, la fermai serrai le gambe, non volevo venire, volevo proseguire, la feci avvicinare, sentivo il bisogno di prendere fiato, un bacio. Si mise in piedi sul letto, mi guardava con la voglia ne cuore, mi disse che ora conduceva lei il gioco e non le interessava se io fossi venuto, anzi sarebbe stata felice, avrebbe voluto dire che mi piaceva. Scese lentamente con il bacino verso il mio ventre, con la mano prese il mio membro, il suo braccio attraversava il suo essere rannicchiata, la sua testa osservava la sua lenta penetrazione, impiegò un minuto nel penetrarsi solo per metà, muoveva il suo bacino avvolgendo solo il mio glande, un su e giù scandito dai secondi, lento, lussurioso.

Io ero allo spasmo ma riuscii a trattenermi, non riuscivo a staccarmi da quella danza tribale, da quel desiderio erotico di farmi venire, la sua bocca era aperta, spalancata, lei rannicchiata su di me, piedi ben saldi sul materasso, comiciò a penetrarsi in profondità aumentando la velocità, venne, la usa vagina non aveva più freni inibitori era scoppiata in un pianto caldo, una vischiosità di piacere, non mi trattenni la spostai e venni sulla mai pancia, fiotti lunghi, densi, stabili.

Si sdraiò vicino a me e si addormentò, io rimasi lì a guardare il soffitto proteggendo il suo sonno. La svegliai, ci vestimmo e andammo a casa mia, dormimmo fino alla mattina successiva, rifacemmo l’amore migliaia di volte.

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