Piccolo Uomo (2)

– Racconto già pubblicato su altri siti –

Alcuni giorni dopo quello in cui inconsapevolmente avevo fatto una sega a mio padre, io e i miei eravamo in spiaggia con Ermanno ed Adriana. Consumavamo un pranzo al sacco all’ombra dei rispettivi ombrelloni, doveva essere un venerdì ed era poco prima dell’una perché dalla radio a transistors che la giovane coppia aveva con sé si udì l’inconfondibile sigla e l’altrettanto caratteristico grido di Lelio Luttazzi che annunciava la trasmissione dedicata alla classifica dei dischi più venduti della settimana: “Hit Paraaaade!!”.

Era il mio programma preferito e lo ascoltavo sempre con grande piacere e molta attenzione, per la verità sembrava che anche agli altri presenti facesse piacere ascoltarlo e non risparmiavano commenti e giudizi di gradimento sulle canzoni che si succedevano, solo a mio padre sembrava non interessare granché.
Quando fu annunciata “Piccolo uomo” di Mia Martini a mia madre gli si illuminò il volto con un largo sorriso ed esclamò: «Zitti! Questa me la voglio sentire tutta….. è bellissima! ».

Così per tutta la durata del pezzo nessuno disse niente, alla fine fu di nuovo lei a parlare e rivolgendosi a me domandò: «E cosa ne pensa il mio ‘piccolo uomo’?… ti piace questa canzone? ».
«Sì sì, mi piace! » risposi prontamente ma non capii perché tutti risero brevemente.
Quando fu la volta del pezzo successivo, una canzone dei Pooh, Ermanno esclamò: “Macché! Solo al quinto posto… questa merita di stare al primo, vedrete che presto ci arriverà».

Io non ero affatto d’accordo, non mi piaceva per niente ma stetti zitto e fui particolarmente felice quando invece scoprii che la canzone che preferivo più di tutte si trovava proprio al numero uno.
Appena fu annunciata “Quanto è bella lei” di Gianni Nazzaro, dichiarai apertamente la mia preferenza: «Eccola! È questa quella che a me piace di più… » al ché mia madre mi si avvicinò, mi abbracciò e mi baciò dolcemente sulla fronte dicendo : «Che bravo il mio piccolo uomo… gli piace la canzone che parla della mamma…» e anche stavolta tutti abbozzarono una breve risatella.

Finito il programma si tornò a parlare del più e del meno e nel frattempo Ermanno si assopì sul lettino da spiaggia; così ad un certo punto papà guardando verso di lui ed indicandolo con un movimento della testa disse: «Quasi quasi vado anch’io in camera a stendermi un po’ sul letto…» poi rivolgendosi a me chiese: «Vieni anche tu? ».
In realtà era una domanda retorica quella, se avessi risposto di no sicuramente sia lui che mia madre avrebbero insistito perché andassi anch’io, tanto che ormai, anche se controvoglia, rispondevo regolarmente di sì ma in quell’occasione se avessi avuto davvero la possibilità di scegliere avrei accettato con convinzione.

Quella volta ero proprio contento di andare a fare il riposino pomeridiano con papà, speravo vivamente che quanto accaduto alcuni giorni prima si potesse verificare di nuovo; ci avevo ripensato spesso.
Salutammo le donne e ci avviammo verso la nostra casetta poco distante.
Stavolta appena fummo in camera mi andai a stendere subito sul lettone e mio padre fece lo stesso.
Indossava come al solito un costume a boxer eccessivamente largo per la sua taglia, perciò anche stavolta poteva darsi che dormendo avrebbe assunto una posizione tale da lasciar intravedere il suo pisello.

Voltandogli le spalle rimasi immobile per dare l’impressione che stavo dormendo ma dopo che aveva iniziato a russare, ogni volta che lo sentivo muoversi alzavo un po’ la testa per vedere se la sua posizione poteva essere quella giusta per lasciare visibile la sua zona inguinale.
Ad un certo punto vidi che stava supino e a gambe distese e divaricate; era la stessa posizione “favorevole” dell’altra volta, così decisi di alzarmi per andare ad osservarlo dai piedi del letto.

Restai deluso perché il largo costume lasciava ancora del tutto coperte le sue “vergogne”, però mentre stavo per tornare al mio posto si mosse di nuovo piegando verso l’alto la gamba sinistra e così tornai sui miei passi per guardarlo di nuovo in mezzo alle gambe.
Fantastico! Quella mossa aveva fatto spostare la stoffa del costume e adesso il membro e lo scroto erano quasi completamente visibili.
Mi avvicinai andando a mettermi al suo fianco e allo stesso modo in cui avevo fatto giorni prima, con estrema delicatezza iniziai ad accarezzargli il pisello, provocandone subito l’erezione.

Quando però lo impugnai per ripetere il giochino che consisteva nel fare apparire e scomparire la cappella sotto la pelle del prepuzio, papà si svegliò.
«Che stai facendo? » chiese con la voce un po’ rauca e ancora “impastata” dal sonno.
Ritrassi subito la mano ma senza sapere cosa dire restai in piedi a guardarlo quasi pietrificato.
Lui si alzò un po’ appoggiandosi su un gomito, questa volta alzando un po’ la voce e con un tono più arrabbiato aggiunse: «Come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere?».

«Scusami pa’ non volevo svegliarti» risposi con voce tremante.
In quel momento non riuscivo a immaginare un'altra ragione per cui mio padre potesse arrabbiarsi.
Lui continuava a guardarmi con severità e stupore ma non diceva niente, così nel tentativo di giustificarmi continuai: «È così divertente giocare col tuo pisellino, sembra quasi un a****letto…».
A questo punto con mia grande sorpresa papà mi sorrise e fece per alzarsi, indietreggiai di un passo per permettergli di mettere le gambe fuori dal letto, si alzò in piedi e con mio enorme stupore si tirò giù i suoi boxer e se li sfilò del tutto, poi si sedette sul bordo del letto e divaricò le gambe; mi indicò con lo sguardo il suo cazzo e poi disse: «Va bene, per questa volta ti ci faccio giocare un po’ ma poi mai più, intesi? ».

Annuii vistosamente ma rimasi impalato senza sapere cosa fare, allora lui disse: «Dai, inginocchiati e accarezza quest’a****letto come stavi facendo prima…».
Seguendo il suo invito mi abbassai, poi tenendo il suo pisello di nuovo floscio nel palmo di una mano, con l’altra iniziai ad accarezzarlo come se fosse un criceto o qualche a****letto simile; ecco che di nuovo cominciava ad aumentare di volume e ad emettere goccioline dal buchino sulla punta ma prima che fosse di nuovo in piena erezione papà mi chiese se volevo provare a succhiarlo.

Senza rispondere tolsi le mie mani e avvicinai la mia bocca aperta al suo cazzo ancora barzotto, lui tenendolo con le dita me lo strofinò un po’ sulle labbra prima di cacciarlo dentro.
«Tienila bene aperta, non stringere con i denti» disse, quindi mi prese la testa con entrambe le mani e muovendomela lentamente avanti e indietro fece scorrere il suo cazzo dentro la mia cavità orale.
«Adesso continua tu da solo» e così dicendo staccò le mani dal mio capo per iniziare a pizzicarsi i capezzoli.

Dopo alcuni movimenti della mia testa fui costretto a staccare la bocca, era diventato troppo grande e non riuscivo a tenerlo dentro, mi sentivo soffocare.
«Sei stato bravo, complimenti… – disse – adesso è cresciuto troppo l’a****letto perciò prova a succhiare solo la punta come quando ti succhiavi il pollice».
Lo feci e così ebbi modo di capire che quel sapore salato che sentiva il mio palato era dovuto a quelle goccioline che uscivano ogni tanto dalla punta della cappella.

Non mi piaceva ma neanche lo trovai disgustoso.
Mi chiese di leccare con la lingua tutta la punta e questa cosa cominciò a farlo gemere e ad ansimare, mentre non smetteva di strizzarsi i capezzoli.
Improvvisamente mi afferrò una spalla e mi spinse indietro per scostare la mia bocca dal suo cazzo; lo afferrò con l’altra sua mano per menarselo velocemente e quindi si lasciò cadere con la schiena sul letto; emettendo un suono a metà strada tra un grosso sospiro ed un grugnito, vidi di nuovo zampillare quel liquido bianco.

Andò ad imbrattargli tutto il petto visto che aveva puntato il suo pisello in quella direzione; poi ancora altri gemiti e un sussulto per ogni altro piccolo schizzo che usciva posandosi sulla pancia; adesso molto più lentamente continuava a far scorrere la sua mano su e giù lungo tutta la lunghezza della sua asta.
Mentre assistevo a questa scena mi sentivo totalmente frastornato, mi sembrava che stesse provando dolore o che si stesse sentendo male; improvvisamente cessò qualsiasi suo movimento tranne quello del suo ventre che si alzava e si abbassava conseguentemente al suo forte ansimare; quando lo sentii ridacchiare debolmente mi tranquillizzai.

Dopo un paio di minuti, rimettendosi seduto disse: «Allora Gia’?… ti è piaciuto giocare col mio a****letto?».
«Sì pa’… ma che ti ho fatto male prima?» chiesi non riuscendo a spiegarmi il suo strano comportamento di poc’anzi.
«No, al contrario… mi hai provocato un grande piacere, sei stato molto bravo».
«Anch’io mi sono divertito pa’… allora questo gioco lo possiamo rifare sempre?».
«Eh no, te l’ho detto dall’inizio… questa cosa non la potremo fare mai più».

«E perché?».
«Senti Gia’, ascoltami attentamente… adesso sei troppo piccolo per capirlo ma quando sarai più grandicello vedrai che lo capirai da solo… però ora c’è una cosa molto importante che dobbiamo fare…».
«Cosa?» chiesi con particolare ansia.
«Quello che abbiamo fatto deve rimanere un segreto tra me e te, non dovremo parlarne mai con nessuno… hai capito? Con nessuno nessuno».
«Neanche con la mamma?».
«Soprattutto con la mamma!… se lei viene a sapere di questa cosa non vorrà più bene né a te né a me ed io sarò costretto ad andarmene via e a lasciarvi da soli… ti piacerebbe questo?».

«Noooo» risposi scuotendo esageratamente la testa, mi stava quasi venendo da piangere.
Accorgendosi dei miei occhi lucidi di lacrime mi tranquillizzò dicendomi: «Non ti preoccupare, se non diciamo niente a nessuno e facciamo finta che non sia mai accaduto vedrai che non succederà niente di brutto…».
Mi limitai ad annuire, quindi lui continuò: «Quello che dobbiamo fare ora è giurare che non parleremo mai con nessuno di quello che abbiamo fatto oggi… fino alla morte… sei d’accordo?».

«Sì, sì… sono d’accordo».
«Bene, allora giuriamo che non lo diremo mai a nessuno… fino alla morte!».
«Sì pa’, a nessuno… fino alla morte!».
«Perfetto!» disse prendendomi la faccia con entrambe le mani e sporgendosi in avanti per baciarmi sulla fronte, poi aggiunse: «Adesso aspetta qua, mi vado a lavare e poi andiamo subito in spiaggia».
Raccolse il costume-boxer che era rimasto sul pavimento ai piedi del letto e uscì dalla stanza senza infilarselo; restai ad aspettarlo per alcuni minuti e intanto ripetevo tra me e me la frase del giuramento: “Non lo dirò mai a nessuno, fino alla morte”.

Quando tornò in camera aveva di nuovo indossato il suo costume, mi fece l’occhiolino e disse: «Dai, andiamo!».

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