Marco e le sue perversioni

Nessuna tregua. Marco non ne concedeva. Si era approfittato di lei, l’aveva sporcata con il suo seme, se l’era fatta nel senso più stretto del termine, aveva lasciato che altri giocassero con lei e con la sua dignità…Ma niente bastava. Nel mentre uscivano dal centro commerciale, tentava di prepararsi all’inattendibile. Ovviamente senza riuscirci. Raggiunsero l’auto di lui, che aprì le serrature. Una volta saliti, Serena lo vide trafficare con il navigatore… le venne quasi un sorriso isterico quando vide con quanta facilità impostava lo strumento sull’indirizzo di casa sua… Marco sapeva tutto… controllava tutto.

O meglio, controllava adesso la sua vita, un pezzettino di più ad ogni istante che passava. Se pensava ai suoi errori, dovuti realmente ad una fame sessuale che l’aveva presa ad un certo punto, poteva comprendere il pagare… ma a quel modo… totale, senza limiti… Marco non si accontentava di scoparla, no… voleva tutto di lei. E quel rapporto con quella bastarda di Paola poi… che si stava rivelando una pervertita assatanata… Pensava, mentre si avvicinavano a casa sua, distante non più di dieci minuti dal centro commerciale.

Marco fece l’ultima svolta, all’interno del quartiere tranquillo dove viveva lei, e si fermò al civico esatto. Fino a quel momento era rimasto in silenzio, quasi come se lei non esistesse. “Eccoci qui”, disse parcheggiando addossato al marciapiede, davanti alla villettina a schiera di lei. Una bella casetta, constatò lui, con un giardinetto ben curato antistante, una proprietà confinante con due case laterali. Serena era tesa allo spasimo. Per quanto avesse cercato mentalmente di prepararsi a quel momento, non era riuscita a calmarsi… Erano lì, davanti a casa sua… Marco stava per invadere il luogo dove viveva con suo marito, e lo invadeva forte del fatto che possedeva tutti i suoi segreti e che poteva di nuovo abusare di lei con un semplice schiocco di dita… lì, dove aveva costruito gran parte della sua vita…Tesa… tesa… allungò la mano verso la maniglia, per scendere.

“Aspetta, puttana. ” Disse lui, fermandola. Lei lo guardò incerta, senza parlare. “Passami le chiavi di casa, puttana. ” Le disse, secco. Serena aprì la piccola borsa, frugò un attimo, e una volta trovate, gliele tese. “Bene, poi domani provvederò a farne alcune copie, per me, Paola… e a chi ne avrà bisogno. ” disse ancora lui, quasi pensieroso. Serena deglutì. C’erano risvolti a cui non aveva minimamente pensato. Tipo quello. Marco le stava dicendo che praticamente lui e chissà chi altri potevano accedere a casa sua quando volevano… tra le sue cose, quando più gli garbava… era inaccettabile….

Doveva adesso scegliere bene le parole, mentre lui aveva già aperto la portiera per scendere. “Marco… non mi sembra il caso, sì insomma… mio marito, o anche i vicini, se vedessero gente che entra e esce…” farfugliò lei, nel tono più umile che potesse trovare. La vita cone un chicco di uve rosseAvevo deciso di viaggiare per sperimentarela mia capacità di adattamento a nuoveesperienze e vivere nuove avventure. Dall’America all’Europa, Italia. Conoscevoalcune parole importanti dell’italiano,avevo pochi soldi e la cosa più urgenteera trovare un lavoro per iniziare a godere del mio viaggio per l’Italia.

I miei amici mi dicevano che senzaparlare la lingua sarebbe stato più facile lavorare in un bar o in campagna a raccogliere frutta, così fu che chiacchierando in giro arrivai ad una persona che mi mise in contatto con una famiglia che aveva un vigneto, mi avrebbero dato una stanza condivisa ed un salario minimo. Dissi di si. Quando arrivai il posto era bello, una bella campagna, i proprietari una simpatica famiglia composta dalla nonna, tre nipoti, due femmine di 25 e 31 anni ed un maschio di 37, i genitori di 65-68 anni circa.

Mi accompagnarono in una casina dall’altro lato del vigneto e mi presentarono i miei compagni, una coppia di ucraini e tre uomini, uno di colore e due italiani. Mi stavano aspettando con una buonissima pastaitaliana que accompagnammo con un vino dell’azienda. Dopo una settimana mi sentivo tranquilla, comoda ed entusiasta per la mia prima paga. In uno dei giorni di lavoro raccoglievo la mia uva nel mio cestino che poi avrei svuotato nel cassone, così come facevano tutti.

In uno di questi giri mi incontrai con uno degli italiani que andava senza camicia, cosa che mi sorprese, perchè i miei compagni erano sempre attenti con me, mai si toglievano i vestiti in mia presenza, erol’unica donna a dividere la stanza con loro visto che la coppia di ucraini aveva una stanza propria. Voglio dire che in più di una settimana di lavoro e convivenza, li vidi sempre vestiti ed anche nei giorni di calore mai si eranotolti la camicia.

Quel giorno l’italiano la tolse ed io restai a guardarlo tentata, era da molto che non toccavo un uomo. Sono una donna attiva sessualmente però il fatto di avere un lavoro duro e di stare sempre nello stesso posto con la stessa gente, mi aveva un pò tolto le voglie…. fino a quel giorno. Realmente questo italiano aveva un corpo da statua, quasi perfetto per me pensai, ed ora che avevo visto cosa aveva sotto la camicia ero curiosa di vedere cosa c’era dentro i pantaloni.

Adesso, tu che stai leggendo ti sarai reso conto che la voglia di sesso mi era tornata. Si, sarà stato il sole ad attivare i miei feromoni ma adesso ero calda come il sole, sentii tra le mie gambe che anche luiaveva delle intenzioni con me. Ero di passaggio in quel posto, per lavorare, però non mi sarebbe dispiaciuto divertirmi un pò e non avrei lasciato passare l’opportunità di dare piacere al mio corpo che oltre tutto me lo stava chiedendo.

Quello stesso giorno, alla fine della giornata di lavoro, invitai i miei compagni ad una partita di carte dopo cena, bevemmo una bottiglia di vino e sfruttai la serata per tentarlo, per farlo stare dietro di me al giorno seguente. Mentre giocavamo gli raccontai della mia terra e dei suoi fiumi, e di come era normale che alcuni di noi si bagnassero nudi. Quella sera tutti e tre i miei compagni di stanza mi guardarono in maniera differente, tutti volevano mettersi nel mio letto adesso.

I tre mostravano le braccia forti. Quello che per me era un gioco per loro era diventata una competizione, il gioco mi eccitava anche se sapevo che mi sarebbe potuto costare il lavoro. A me interessava uno solo di loro, quello che per primo si era mostrato togliendosi la camicia e lasciandomi vedere il suo bellissimo corpo duro. Mi piaceva vedere i tre a mia disposizione, e quella sera, dopo la partita, fui la prima ad alzarmi dal tavolo, dopo aver raccontato di me, senza scordare qualche battutina maliziosa.

Dissi buonanotte, mi alzai eccitata e vogliosa di essere toccata dalle mani di un uomo e la colpa non era del vino. Il giorno dopo mi svegliai con la bellissima sensazione che sarebbe stato differente e mi vestii in maniera differente. Misi una canotta bianca senza reggiseno con sopra una camicetta beige un pò larga, così il mio capo non avrebbe visto come stavano i miei capezzoli, sotto una gonna lunga marrone, senza mutandine.

Mi misi a lavorare vicino all’italiano, quasi nella stessa fila di vigneto. Tutto il gorno giocai ad alzarmi la gonna alle ginocchia per il calore ed a sbottonare la camicia per lasciargli intravedere i capezzoli e quando mancava un’oretta alla fine della giornata gli chiesi “mi accompagni a fare un piccolo breack? così non resto sola nella vigna. ” Disse di si e restammo tra le file del vigneto, all’ombra. Gli chiesi un pò della sua acqua, aspettai che mi guardasse e bevvi, lascia cadere dell’acqua sullamia bocca e sul mio collo, bagnandomi così la camicia per far risaltare le mie tette.

Gli dissi “ho molto caldo, sarebbe ideale un fiume con acqua fresca, andrei correndo nuda a nuotare”, mi rispose sorridendo “ed io correrei dietro di te”. Non potei non guardare il suo pene eretto e duro e lui non riusciva a staccare gli occhi dalle mie tette. Stavamo seduti, non ce la facevo più dalla voglia di scopare e decisi di aprire le gambe davanti ai suoi occhi per lasciargli vedere cosa avevo sotto la gonna, alzandomi vide che non avevo le mutandine, restò a bocca aperta dalla sorpresa e mi disse “che bellissima pelle bruna che hai, voglio toccarti tutta”, allora mi misi davanti a lui.

Stava ancora seduto quasi schoccato per la situazione. Presi la sua faccia tra le mie mani e lo baciai con la lingua, forte, un bacio carico di saliva, poi accompagnai la sua testa tra le mie gambe e gli offrii la figa, le labbra della mia figa nella sua bocca, baciava le mie intimità e potevo sentire il calore delle sue labbra. lasciai cadere la gonna coprendo la sua testa mentre mi davasesso orale, mi sentivo una dea greca mentre guardavo il cielo e lui mi leccava la figa tra le piante d’uva.

Con le mani mi prese le natiche, stringendo e accarezzando, tolse la testa da sotto la gonna e mi guardò con gran desiderio, si morse le labbra per farmelo capire, si alzò, prese una delle mie mani e la portò al suo cazzo duro. Sbottonò i pantaloni, mi baciò e con una mano prese i miei capelli biondi, poi portò l’altra mano alla mia figa e misedue delle sue enormi dita dentro, ero bagnatissima e lui si muoveva dentro di me.

Era molto eccitante vedere le nostre figure attorcigliate tra i baci, le mani e quasi nudi. Mi fece girare mettendosi dietro di me e sentii la sua verga durissima, continuò a toccarmi i seni ed a mordermi il collo. Si abbassò del tutto i pantaloni e mi penetrò da dietro con il suocazzo, entrava e saliva gonfiandosi ogni volta di più, mi prese con fermezza in vita e mi strinse sempre di più e senza pausa continuammo a ritmo di cavalcata.

La sborranon tardò ad uscire e sfiorarmi il culo. Ero felice e sudata, l’ombra delle viti non era stata sufficiente per tanto calore. Mi diede la sua camicia per asciugare ilsudore e pulirmi del suo latte dal culo mentre si abbottonava i pantaloni. Bevemmo acqua fresca e tornammo a lavorare, fu il nostro primo incontro di sesso ma non l’ultimo, come non fu l’ultimo giorno di lavoro. Continuai a lavorare altri due mesi poi me ne andai in un altro posto a fare un altro lavoro ed a godere di altre avventure riempiendo il mio quaderno di racconti erotici e di sesso.

Una piccola storia d’amore Le cose cominciarono a prendere una piega non piacevole, diciamo che gli affari e l'amore cominciarono ad andare in discesa, prima impercettibilmente poi con un'accelerazione imprevedibile. Capirai anche tu, che accettando prestiti al 10% ogni quindici giorni e il lavoro stagionale, capitava nei mesi morti di dover chiedere prestiti per pagare gli interessi sui prestiti precedenti e questo avveniva sempre a fine mese, quando c'erano da pagare gli stipendi al personale e la luce, carissima.

Scelta improrogabile per non chiudere, ma ad Alexandra la cosa non importava poi molto. Lei viveva nel suo mondo e comprava vestiti che poi regalava alle amiche o alle zie, comprava capelli finti che una volta applicati la involgarivano in modo esagerato, comprava scarpe (decine e decine) si metteva unghie finte, cambiava telefonino con la velocità della luce. Insomma, finchè al mattino poteva mettere mano ai soldi che le necessitavano per le sue inutili esigenze, come andassero gli affari non le importava molto.

Rientrava sempre più tardi nella notte, invece di copiare le lezioni dal libro di scuola passava le ore in classe a scrivere lettere d'amore ai suoi spasimanti, e quando quelli rispondevano conservava le missive nella sua cartella di scuola. Una perfetta cretina, se avesse voluto tenere nascosti i suoi altarini, una menefreghista invece se pensava che tanto innamorato com'ero non avrei potuto lasciarla per nulla al mondo. Corna comprese. Ho letto da qualche parte la descrizione degli stati d'animo quando si apprende di avere un cancro.

Prima l'incredulità, poi la ribellione, quindi la rassegnazione. Succede anche con le corna, te lo posso garantire. Cominciai a tener sotto controllo i messaggi sul telefonino, le carte che le scrivevano gli spasimanti, quello che scriveva lei sui suoi quaderni. Mi stupì leggere come mi descriveva, un bruto che le faceva violenza e la rendeva infelice. I biglietti degli spasimanti invece erano epici: “Da quando ti ho conosciuto so che esistono gli angeli… il profumo della tua pelle… ti aspetto tra le rose…” proprio così, tra le rose, scriveva.

Speriamo si pungesse!Quando la notte tardava oltre ogni limite accettabile uscivo a cercarla senza rendermi conto che mi esponevo a pericoli di ogni sorta, un vecchio di notte che cammina per strade secondarie è una facile preda, ma io volevo trovarla per avere dagli occhi la conferma di tutto quello che ormai il cuore sapeva da un pezzo. Una notte entro in uno di questi “drin” dove c'è pure una musica assordante. Non la trovo e mi metto in un angolo scuro ad osservare la gente.

Bevono e conversano, come facciano – a conversare, intendo – non capisco proprio con tutto quel rumore. Ad un certo punto entra lei, le braccia alzate e passi sincopati seguendo la pachata che gli altoparlanti diffondono al massimo. Grida della folla, è arrivata! Una diva. Mentre ballando si porta al centro della sala la voce di un amico la sfotte:- Alexandra, e tuo marito?- Dorme! – risponde, e tutti ridono. Guadagno l'uscita alla chetichella, anche perchè non c'e niente da dire.

Se non sottolineare un dettaglio insignificante: a quell'ora dormo perchè mi alzo alle quattro per andare a fare il pane. è buio alle quattro, l'ora più buia del giorno, quella prima dell'alba. Passo dalle case di tolleranza ed escono le puttane con i clienti che con loro hanno fatto mattina. è tutto uno scoppiettare di moto-conchos, gente che ha aspettato fuori tutta la notte per fare da taxi a questi ultimi clienti, e guadagnarsi 50 pesos…Non c'è nessuno in giro a quell'ora, io, le puttane e qualche volta Alexandra che torna a casa.

Non ho voglia di tornare, faccio un giro camminando, la strada è centrale e ben illuminata, non corro pericoli. Sulla via del ritorno proprio da quel “drin” scorgo cento metri più avanti, Alexandra che esce abbracciata con un vecchio, e la seguo a distanza. Lui è uno di quegli scalcagnati italiani in braghette, infradito e canottiera che infestano il parco di pomeriggio, lei pare divertirsi. Arrivano all'angolo della via dove abito e si baciano.

Lui la lascia e lei si gira per salutarlo e mi vede sopraggiungere. Non fa una piega. Io invece dico a lui:- Scusa, adesso che hai finito me la mandi a casa ed io ho schifo. Fammi un piacere, tienitela fino a domani e me la mandi dopo che si è fatta almeno una docciaLui è uno sportivo e non si agita troppo. Nella conversazione che segue mi dice che si chiama Giorgio, è proprietario di macchine che smuovono la terra e vive noleggiandole.

No, che me la tenga pure io, che a lui la proposta non interessa…- Ma come, la usi e me la rimandi. Tienitela tu, e ogni tanto me la scopo io…-Eh, se tu sapessi…- disse e lasciò tutto in sospeso. Se io sapessi che? Mah, non l'ho mai più saputo, ma la frase in sospeso mi colpì molto. Da quella notte, decisi di non seguire più Alessandra ma di aspettarla a casa, a qualsiasi ora fosse tornata.

Perchè aspettarla fa soffrire, ma a trovarla si soffre molto di più. §Soldi non entravano e stringere la cinghia era diventato doloroso. Alexandra invece attraversava gli eventi come una lama nel burro, senza preoccupazioni. La scuola era finita, ma lei usciva di casa alle undici di mattina e faceva ritorno alle ore più impensate. A volte portava sacchetti della spesa con pasta, formaggio, biscotti, e altre vettovaglie. Chi te li da? Oh, un'amica che ha preso a cuore la nostra situazione e ha deciso di aiutarmi.

Guarda che al mondo non esistono pasti gratis e questa tua amica se ti dà qualcosa qualcos'altro poi vorrà, ma no cosa dici. è gente buona, pure suo marito…Alcune volte tornava alle sette di sera per vedere la telenovela e prima di uscire per la notte volle imparare a navigare col Facebook che diceva avevano le sue amiche. L'avvocato che nel frattempo era diventato mio amico diceva che per il ristorante c'erano complicazioni ma che non avremmo tardato molto ad avere ragione, intanto il tempo passava e mettere insieme il pranzo con la cena sempre più difficile.

Io saltavo un pasto e con un panino e un pomodoro (dieci pesos) arrivavo a sera. Ale invece o andava a mangiare dalle amiche oppure tornava di notte soddisfatta e non pareva avere mai fame. Un giorno disse: abbiamo ottenuto un credito dal colmado. Possiamo fare la spesa per un mese e pagare quando ti arrivano i soldi. Che bello, si mangia!Una notte che smanettavo sul computer in attesa del ritorno di Ale, incappo nel suo profilo che apro perchè la password è fin troppo semplice.

Oltre a suoi messaggi in giro per il Caribe di un'oscenità impareggiabile, trovai pure il chatting che aveva fatto recentemente col proprietario del colmado che aveva miracolosamente deciso di farci credito. Ale:- Prestami mille pesosRenè:- Sai quello che mi devi fareAle:- Per quello ce ne vogliono duemilaRenè:- Ma io non voglio scopare per non mancare di rispetto nei confronti di Ronnie che è mio amico. Voglio solo toccare di sotto e ciucciare di sopraAle:- Sempre duemila.

Vieni a casaRenè:- Mia moglie mi controllaAle:- Tu portami a casa l'acquaRenè:- E quando?Ale:- Alle 7,30 quando Aldo va ad aprire il negozioRenè:- E quando andiamo al monte?Ale:- Quando vuoi ma sempre 2. 000 pesos sonoEro allibito. Leggevo cose che mi lasciavano di sasso, non per lo scandalo in sè, ma perchè non riuscivo a comprendere come Alexandra avesse potuto cambiare in quell'essere volgare che scoprivo dai suoi scritti. In quel momento rientra lei ed erano le due del mattino.

Inutile chiederle dove sei stata, ormai…Solo che stanotte ha un succhione sul collo da far paura e l'incazzatura mi viene non solo per l'accumulo degli avvenimenti ma soprattutto perchè vuol convincermi che quel pò pò di segno glielo avrei fatto io!Nacque una lite furibonda, con rinfacci, insulti, e lei che pareva piano piano perdere terreno dalle sue convinzioni, finchè messa in un angolo con le lacrime agli occhi sbottò:- Basta! Tu, mia madre, i miei parenti che mi avete preso per una prostituta! Sono stufa di tutto questo, basta! Adesso mi ammazzo…E si suicidò.

Per la verità si suicidò quattro volte, la prima, prese una manciata di pillole dal cassetto, se le ficcò in gola poi tracannò un bicchier d'acqua e rimase così, impalata aspettando l'effetto. Forse si credeva che ingurgitare una manciata di pilloline zuccherate in vendita al colmado magari con effetto placebo, l'avrebbero fatta cadere indietro stecchita. Invece non successe nulla. – Ah, sì? – gridò visto che non aveva ottenuto nessun effetto – e allora mi taglio le vene – andò in cucina prese un coltello e si tagliò le vene.

Oddio, tagliò è una parola grossa, diciamo piuttosto che mise il coltello sui polsi e lo fece andare avanti indietro un paio di volte. Ma non uscì il sangue. Buttò il coltello per terra e spalancò la porta del giardino: – Mi butto nel pozzo! – disse ed uscì. Sentii nitidamente il rumore del coperchio metallico che copriva la cisterna e poi sentii pure uno splash. Poi più nulla, solo il canto dei grilli.

Aspettai il tempo sufficiente, rimisi al suo posto il coltellaccio da cucina del ristorante che non aveva fatto il suo dovere coi polsi di Ale, poi uscii e la trovai in piedi sull'orlo della cisterna, con i pantaloni bagnati fino alla cintola ed il resto perfettamente asciutto. Evidentemente si era seduta sull'orlo della botola in attesa dell'ispirazione che non era arrivata. – Via Ale, – dico cercando di sdrammatizzare- Per questa notte ti sei suicidata abbastanza, adesso vieni a dormire che sennò prendi freddo…-Ah, mi prendi pure in giro? Te lo faccio vedere io! Adesso vado sull'autopista e mi butto sotto alla prima guagua che passa – sbattè la porta uscendo ed io aspettai.

Perchè il messaggio non era per niente chiaro: l'ultima guagua passava alle dieci e trenta ed erano ormai le due di notte. Si butta sotto la prima guagua vorrebbe dire che aspetta quella del mattino alle 6,30 oppure qualsiasi mezzo pesante che passa va bene?Tornò dopo una ventina di minuti. Si vede che il traffico sull'autopista non le era piaciuto, oppure chissà. Sta di fatto che senza dire una parola, si buttò sul letto e prese sonno nel giro di un paio di minuti.

Da quel giorno non si parlò mai più di suicidio. Le vicende di HollyDa quando Holly ha vinto la guerra ingaggiata con suo nipote Erick è trascorso quasi un anno. La cognata Janet è al nono mese di gravidanza. Mancano pochi giorni al parto. Il padre del bambino che porta in grembo è il marito di Holly. Geoffry dopo aver ingravidato Janet si è trasferito nell’appartamento della suocera. Il figlio nato dal loro rapporto è venuto a stare con la madre.

Yvonne ha lasciato libero suo nipote Robby di fare ritorno nella casa materna. Il vuoto lasciato dal nipote è stato occupato da suo genero. Erick è ritornato ad occuparsi del corpo della madre reso più attraente dalla gravidanza. Serghej, il marito di Janet, chiamato dalla moglie ha fatto ritorno a casa. Ha trovato il suo posto nel letto occupato dal figlio. Hanno discusso della situazione venuta a crearsi e di comune accordo, così come Janet ha previsto, decidono di far costruire un letto più grande dove è possibile stare comodamente in tre: la donna, il marito ed il figlio-amante.

Nel frattempo Serghej trova ospitalità nel letto dell’amante: sua sorella Holly che, tenuto conto delle condizioni fisiche in cui suo figlio è ridotto dopo la lunga permanenza nel letto della nonna, è ben lieta di accogliere suo fratello nella camera da letto. Di giorno dedica le sue attenzioni al recupero delle forze di suo figlio e di notte soddisfa la sue voglie sessuali facendosi cavalcare forsennatamente da suo fratello. Il tempo passa. Janet partorisce una bella bambina.

Yvonne, nonostante l’età, è nuovamente gravida. Serghej è tornato nel proprio appartamento. Insieme al figlio giocano con il corpo di Janet che si dona con grande soddisfazione alle voglie dei due uomini. Robby il figlio di Holly recupera, grazie alle cure amorevoli della madre e grazie alla forzata astinenza sessuale, le proprie forze. Il suo fallo è tornato ad indurirsi. Holly sorveglia con malcelato interesse il recupero del figlio. Ogni notte si reca nella stanza di Robby e si siede in poltrona con gli occhi fissi su un punto del corpo del ragazzo in attesa di qualche segno di ripresa.

Il segnale arriva. Un mattino Holly va dal figlio a portargli la colazione a letto. Il ragazzo sta ancora dormendo. Holly poggia il vassoio sul comodino e va ad aprire la finestra/balcone. La luce entra nella stanza. Holly ritorna verso il letto e vede. Il figlio sta dormendo nudo. È disteso sulla schiena. Il suo sguardo è attratto dal pennone che dal basso ventre del figlio si inalbera verso il cielo. Un palo lungo almeno 20 cm.

e con un diametro di 3 cm. e con un glande lucido e splendente è quanto di più bello abbia visto circolare in quella casa ed appartiene a suo figlio. Un cazzo di quelle dimensioni non l’ha mai visto. Ne suo marito, ne suo fratello e tantomeno suo nipote Erick l’hanno cosi lungo e così grosso. Ecco spiegato il motivo per cui sua madre non lasciava che suo nipote tornasse da lei. Al suo posto avrebbe fatto lo stesso.

Prende la poltrona e l’avvicina al letto. Ci si siede e si ferma a guardare la meraviglia delle meraviglie: il cazzo di suo figlio. Pensieri perversi le turbinano nella mente. Una mano si infilla nello spacco della camicia e si sofferma su una mammella. L’accarezza. Con due dita aggancia un capezzolo e lo strizza. Un mugolio le esce dalle labbra. L’altra mano è scivolata fra le sue gambe e con le dita si picchietta il clitoride.

È talmente presa dai pensieri osceni che non si accorge che il figlio si è svegliato. Robby non è per niente infastidito dalla presenza della madre. Ne tantomeno gli da fastidio il fatto che sua madre si stia masturbando. Sua nonna Yvonne lo faceva spesso in sua presenza. A lui piaceva vedere la nonna mentre si masturbava. Si eccitava. La stessa cosa gli accade vedendo sua madre che con una mano si tortura un capezzolo e con l’altra si sgrilletta il clitoride.

Un urlo liberatorio gli dice che sua madre sta avendo un orgasmo e sta godendo. È un urlo che lo eccita al punto tale da fargli indurire il cazzo fino ad avere la sensazione che stia per scoppiare. Si alza e si avvicina alla madre. Prende il cazzo con una mano e lo avvicina alla bocca della donna. Holly istintivamente dischiude la labbra e il glande vi si intrufola fra loro. Le viene naturale leccare e succhiare la poderosa verga di calda carne.

Robby afferra la testa della madre con le mani e la blocca contro il suo pube. Holly avviluppa il glande con la lingua e lo lecca mentre la sue labbra mungono il favoloso cazzo del figlio. Robby sente il piacere invadere il corpo cavernoso. Lo sente scorrere verso la cima del glande ed esplodere nella bocca della madre la quale ingoia tutta la lava che il vulcano del figlio sta eruttando nella sua bocca.

L’eruzione si estingue. Il ragazzo si distende sul letto, Il cazzo perde la sua boria e si affloscia. Holly ritorna sulla terra. Avverte il sapore dello sperma impiastricciarle la bocca. Guarda il figlio e nota che il palo si è afflosciato. “Cosa è successo?” “Quello che ho sempre desiderato. Ho goduto nella tua bocca. ” ”Oh dio. Ti ho fatto un pompino?” “No, mamma. Non credo proprio che quello sia stato un pompino. Se cosi fosse ne resterei deluso.

No. Hai solo bevuto il mio sperma. ” Indicando il fallo afflosciato. “Che fine ha fatto il tuo attrezzo?” “Sta riposando. ” “Lo sa che deve trasformarsi in idrante? Deve spegnere il fuoco che divampa nella mia vagina. Lo sa che deve trasformarsi in un ariete? Deve sfondare le mura della mia fortezza. Lo sa che la mia micina vuole ospitarlo per un periodo indefinito nella sua casa?” “Mamma lo sai che sto aspettando questi momenti già da quando ho cominciato a fantasticare sul sesso? Lo sai che sei l’incubo dei miei sogni notturni? Lo sai che le mie prime polluzioni notturne erano a te dedicate? Lo sai che ti amo e voglio stare sempre con te? Dormire nel tuo letto.

Essere il tuo amante? Mamma, voglio fecondarti; voglio ingravidarti. ” Holly non si aspetta questa dichiarazione d’amore da parte del figlio. Si fa prendere dal panico. “Non ho capito. Ripeti le ultime parole. ” “Hai sentito bene. Voglio che tu partorisca un figlio mio. ” Robby, suo figlio, vuole inseminarla. È decisamente impazzito. Una cosa è farsi chiavare e un’altra è dargli un figlio. Stare con sua nonna lo ha fatto uscire di senno.

“Non si può. Noi possiamo amarci all’infinito ma io e te non possiamo mettere al mondo dei bambini. Non ne faccio una questione morale. Lo dico perché è geneticamente sbagliato. Se non ci fossero conseguenze mi farei ingravidare. Per favore, amore mio, scaccia questo assurdo pensiero dalla tua mente. Prendi pure il mio corpo. Possiedimi. Chiavami. Ma non chiedermi di essere la tua scrofa. Niente figli. ” Cosa sta succedendo? Il cucciolo d’uomo vuole che la donna di suo padre ovvero sua madre gli dia un figlio.

Cosa deve fare per distogliere la mente del figlio da quell’assurdo pensiero. “Vuoi un figlio? L’unica donna in questa villa che può dartelo è tua zia Janet. Chiedilo a lei. Ha da poco partorito un figlio di tuo padre. Vedrai che sarà contenta di farsi nuovamente ingravidare. ” “Mamma il figlio voglio farlo con la donna che amo e quella sei tu. ” Che pasticcio. Ha penato per averlo con lei ed ora corre il rischio di perderlo di nuovo per una gravidanza.

Ha creduto che il figlio volesse solo possederla. Chiavarla. Ma mai avrebbe pensato che si spingesse fino al punto di chiederle di fargli un figlio. Quella assurda richiesta l’ha gettata nello sconforto più assoluto. Ha bisogno di parlarne con qualcuno. Le vengono in mente due sue amiche: Una psicologa ed una ginecologa. Esce dalla stanza di Robby e va nella sua stanza. Si chiude dentro. Prende il telefono e compone il primo numero. Poi chiama anche il secondo numero.

Ha parlato con entrambe ed ha fissato per il fine settimana, a casa della ginecologa, un incontro a tre. Il sabato mattina si reca all’appuntamento con le amiche. È la prima ad arrivare a casa della ginecologa. “Ciao Holly. Ti trovo in perfetta forma. Sei sempre più bella. Spero che ti tratterrai a tenermi compagnia. ” L’amica le da un bacio sulle labbra e l’abbraccia stringendola forte. Cinque minuti ed ecco che anche la psicologa è ad abbracciare la bella Holly.

“È trascorso molto tempo dall’ultima volta che sei venuta a farmi visita. A che dobbiamo questa chiamata?” Holly le guarda. Sono le sue più care amiche. Tra loro non ci sono segreti. Ognuna di loro conosce vita, morte e miracoli delle altre. Hanno in comune molte cose tranne una. L’unica ad essere sposata è Holly. Le altre due sono libere. Non hanno legami tranne quelli con i figli di cui non ne conoscono la paternità.

Tutte e tre sono bisex. Piacciono agli uomini come alle donne. Fra loro tre ci sono stati e ci sono ancora anche legami omosessuali. Le tre donne sono state compagne di letto. Anche se i loro incontri amorosi durano ancora raramente si vedono. “Ragazze, mi trovo in un grosso pasticcio. Sono innamorata. ” Le due amiche la guardano e poi si guardano. È la psicologa a parlare. “Ci hai chiesto di incontrarci per dirci che sei innamorata? Questo sta ad indicare che l’uomo in questione non appartiene alla ristretta cerchia familiare.

Da quel che sappiamo gli uomini di famiglia sono assidui frequentatori del tuo talamo. Tuo marito e tuo fratello fanno a gara per depositare il loro cazzo nella tua vagina. Tu ne sei soddisfatta. Perché ti vuoi imbarcare in una nuova storia. E chi è questo stallone che ha attirato le tue attenzioni su di se?” “Sappiate che gli uomini di famiglia sono diventati tre. Oltre i due di cui già sapete se ne aggiunto un terzo: mio nipote.

” È il turno della ginecologa. “Tuo nipote? Il figlio di tuo fratello. Ma è un ragazzo. Ti sei portata a letto Erick? Lo hai scopato. Scusa se te lo dico: sei diventata una puttana. È di lui che sei innamorata?” “Ti prego di non offendere. No. Non è di Erick che sono innamorata ma di suo cugino, mio figlio Robby. ” Le due la guardano a bocca aperta. “Tu ami tuo figlio? Tu che hai sempre detto che non avresti mai fatto sesso con un tuo figlio vai ad innamorarti proprio di Robby.

” “Riconosco di aver avuto torto. Come mia madre che si fa chiavare da mio fratello, anch’io desidero farmi cavalcare da mio figlio. ” “Vuoi dire che non lo hai ancora chiavato?” “No. Ha solo scaricato il suo squisito sperma nella mia gola. ” “Gli hai fatto un pompino?” “No. Ha messo il suo cazzo nella mia bocca ed ha goduto. ” “Deve essere un vero maiale. ” “Lo ha addestrato sua nonna, mia madre.

” “Tua madre ti ha preceduto e gli ha fatto da maestra. Brava Yvonne. Merita un encomio solenne. Ancora non ci hai detto la vera ragione per cui ci hai convocate. Sono sicura che non è l’amore per tuo figlio che ti ha spinto a chiamarci. ” Holly le fissa negli occhi. “Vuole un figlio. ” “Chi vuole un figlio?” “Robby vuole fecondarmi. Vuole ingravidarmi. Ha detto che solo concependo un figlio suo gli do la dimostrazione di amarlo veramente.

Ecco perché vi ho chiamate. Cosa devo fare?” Le due amiche le si avvicinano. La psicologa è la prima a parlare. “Poverina. Sei in un bel pasticcio. ” La ginecologa le dice di non farne un dramma. “Continua a prendere la pillola. Portalo a letto. Digli che hai bisogno di riflettere sulla sua richiesta. Mentre rifletti ti fai chiavare. E poi…” “Poi verrà pure il momento che dovrò dargli una risposta. ” La ginecologa la prende per mano e la invita a seguirla.

La psicologa le sta dietro. Raggiungono una stanza. La porta viene aperta ed entrano. Nella camera ci sono un ragazzo di circa 20 anni; una ragazza di 18 anni ed una bambina di due anni. I tre sono tutti figli della ginecologa la quale si china sulla bambina e la prende in braccio. “Questa è il poi. ” E indicando suo figlio “e questo è suo padre. ” Holly la guarda con aria sconvolta.

Esce dalla stanza e ritorna nel salone. La psicologa e la ginecologa con la bambina in braccio la seguono. “Hai partorito una figlia che è frutto del rapporto che hai con tuo figlio. Ti sei fatta ingravidare dal tuo primogenito? L’hai tenuto nascosto anche a noi due. Perché?” “L’unica a non saperlo eri tu. Non te l’ho detto perché sapevo in anticipo le tue reazioni. Eppoi non sono l’unica a trovarsi in questa situazione.

” Holly sposta i suoi occhi sulla psicologa la quale tende una mano verso il viso dell’amica e l’accarezza. “Amore. Sono nella stessa condizione. Anch’io ho una figlia avuta con il mio primogenito e sono contenta. ” Holly è sconvolta. Le sue compagne di letto si sono accoppiate come bestie con i rispettivi figli e dall’accoppiamento sono nati due bambini. È questa la sorte che le spetta se si fa chiavare da suo figlio? Anche lei sarà come se fosse una cagna che soggiace alle voglie del maschio.

Con la mente in subbuglio Holly raccoglie la sua borsa e va via. Rientra a casa e si dirige in camera sua. Si spoglia lasciando solo il reggiseno e le mutande di pizzo nero. Si distende sul letto e chiude gli occhi. Immagini da film hard le si proiettano nella mente. Si vede lei stessa in posizione carponi e il figlio che le è dietro disteso sulla sua schiena con le mani ancorate alle sue tette.

Si vede nuda con il pancione cresciuto a dismisura e il figlio che la monta standogli dietro. Si vede con un bambino fra le braccia che sta succhiando latte dalle sue mammelle mentre Robby la guarda. Mentre le scene si susseguono uno dietro l’altra avverte una presenza ad un lato del letto. Apre gli occhi e lo vede. È Robby. È nudo. La sua figura la sovrasta. “Mamma sei bellissima. ” La sta guardando con occhi carichi di desiderio.

“Mamma mi faresti un pompino. Di quelli con la P maiuscola. ” Solo allora si accorge che il cazzo del figlio si erge imperioso e punta verso di lei. L’oggetto dei suoi desideri, l’incubo dei suoi sogni è lì davanti ai suoi occhi e le sta parlando. Vuole essere baciato; leccato; succhiato. Holly si sbottona il reggiseno e le sue bellissime tette esplodono balzando sotto gli occhi avidi del figlio. “Stenditi. ” Il ragazzo prende posto sul letto.

La madre si porta fra le gambe del figlio e gliele fa allargare. Circonda il cazzo del giovane puledro con le sue mammelle e lo massaggia. “Mamma è bellissimo quello che mi stai facendo. ” Lei non risponde. Continua a massaggiare quel grosso fallo con le sue tette per diversi minuti. Poi smette. Con la mano avvolge il giovane fallo e lo stringe. China la testa verso il luccicante glande e lo bacia. Robby geme.

La madre tira fuori la lingua e la fa vibrare sopra ed intorno a quel grosso glande. Le papille della lingua lo sentono pulsare. Senza staccare la lingua dalla superficie del favoloso oggetto scende leccando l’intera asta. Giunge sui testicoli. Sono gonfi e bollenti. Li lecca. Apre la bocca e con le labbra li circonda. Li succhia. Il figlio mugola di piacere. Sostituisce la bocca con il palmo di una mano. Leccando risale lungo la verga.

Fa scorrere la lingua più volte sulla superficie del cazzo. Ritorna sul glande. Con la punta della lingua solletica il prepuzio. Dischiude le labbra ed il grosso glande sparisce nella bocca materna. Robby ha un sussulto. Sente la lingua della madre avviluppare il suo glande. Gli piace. Lancia un lungo ululato. Deve fare un grosso sforzo per non sollevare il bacino e affondare il cazzo nella gola della madre. A farlo scivolare verso la profondità della sua gola ci pensa la madre.

Holly incomincia a farsi penetrare la bocca. Lo fa lentamente. Il cazzo di Robby scivola nella bocca della madre che lo riceve facendo lavorare la sua lingua che lecca veloce la lunga asta di carne. Le labbra di Holly toccano il pube del figlio. Gli ispidi peli che formano la corona che circonda la base del fallo le solleticano il naso. Il cazzo del figlio, 20 cm di dura carne, è interamente affondato nella sua bocca.

Il glande ha raggiunto la trachea. Lei stessa è sorpresa della capacità di ricezione della sua bocca. Pochi secondi di sosta e poi riprende a far indietreggiare lentamente la bocca senza smettere di far vorticare la lingua intorno al glande. Quando le labbra incontrano il prepuzio Holly riprende a far scorrere la bocca di nuovo verso la radice del cazzo. L’operazione si ripete per diverse volte. Ad ogni su e giù gli ululati di Robby si fanno sempre più intensi è più ravvicinati.

Holly capisce che il figlio sta per avere il suo momento di godimento. Il ragazzo sente salire lungo il condotto uretrale il suo piacere che culmina in una esplosione di sperma che fuoriuscendo come lava da un vulcano raggiunge la gola di Holly. Uno, due, tre, quattro potenti bordate di denso sperma vengono sparate nella gola materna che si premunisce di convogliarle nel proprio stomaco. Quando è sicura che il cazzo del figlio non ha più il denso liquido da farle bere Holly si solleva e si siede a cavalcioni del figlio.

Poggia le mani sul petto del ragazzo e aspetta. Robby apre gli occhi e guarda sua madre. Holly vede negli occhi del figlio il compiacimento per quello che ha ricevuto. “Mamma, sei stata fantastica. Hai succhiato il mio cazzo come nessun’altra ha mai fatto. Hai superato tua madre che pure è una maestra nell’arte del succhiare cazzi. ” Holly è soddisfatta. “Sono contenta che ti sia piaciuto. Non credi che meriti un premio. ” “Cosa vuoi che ti dia?” “Perché non mi ripaghi della stessa moneta.

La mia micina vorrebbe essere baciata e leccata. ” “Non sia mai detto che non faccia godere mia madre. Dai scendi dalla mia pancia ed allarga le cosce che voglio mangiartela la tua fighetta. ” Holly si sfila le mutandine; poggia la schiena contro la spalliera del letto; allarga le cosce a 160°; tira su le gambe contro il suo corpo; poggia le dita sulle grandi labbra e facendo pressione le allarga mettendo in mostra le parti nascoste della sua polposa vagina.

“Il piatto è servito. Puoi mangiare. Spero che ti piaccia. ” Robby resta affascinato dalla bellezza della figa materna. “Mamma, è stupenda. Hai una pucchiacca grossa, rosea e luccicante. ” Si mette carponi fra le cosce della madre. Passa le braccia sotto i glutei e ancora le mani alle bianche natiche. Fionda la testa sull’organo da cui ha avuto origine il suo essere uomo. La sua bocca entra in contatto con le grandi labbra.

Le morde. I peli che fanno da corona alla superba vagina gli entrano nel bocca. L’odore di fregna in calore gli penetra nel naso. Lo inebria. Continua a mordere. La madre geme. “Figliolo da quant’è che non mangi?” Robby smette di mordere e incomincia a leccare. La sua lingua spazia sulla intera superficie vaginale della madre. La punta della lingua incontra le piccole labbra che fanno da ali all’orifizio vaginale. Le circonda con le labbra e dopo aver fatto guizzare la punta della lingua su quelle gonfie e pulsanti ali di farfalla incomincia a succhiarle.

Holly ha un brivido. Le piace quello che il figlio sta facendo alla sua sorca. Il sangue che le circola nelle vene aumenta di velocità. Il ragazzo penetra l’orifizio vaginale con la lingua e spazia sulle rosee pareti leccandole e lappando le secrezioni vaginali che, abbondanti, colano verso la sua bocca. Ai brividi che le percorrono il corpo Holly vi aggiunge anche dei tremiti e nitriti di piacere. La donna ha un primo orgasmo.

L’esplorazione dell’organo genitale materno prosegue instancabile. Le sue labbra incontrano il clitoride che è del tutto fuoriuscito dal suo nascondiglio. Il glande clitorideo viene circondato dalle labbra di Robby. Prima lo titilla con la punta della lingua poi lo lecca. La donna solleva il bacino. Il figlio smette di leccare e comincia a succhiare l’inturgidito clitoride. Sta facendo un pompino a sua madre. La donna si dimena sul letto in preda a forti convulsioni.

Un secondo orgasmo la invade. Questo è accompagnato dalla fuoriuscita dall’uretra materna di liquido denso e cremoso. Holly sta godendo. Robby lappa il nettare materno e lo ingoia. Lo trova squisito e gradevole al palato. Quando l’ape regina smette di produrre miele Robby si solleva e si distende sul corpo della madre. Non deve darle tregua. La sua verga punta dritto verso l’orifizio vaginale. Il grosso glande è fra le grandi labbra. Una spinta del bacino e l’ariete si apre la strada verso l’interno.

Favorito dalle secrezioni vaginali il cazzo di Robby scivola nel ventre della madre. Il grosso glande incontra il collo dell’utero e la spinta si ferma. Durante la penetrazione Holly lancia lunghi ululati. Suo figlio è entrato nel suo corpo. La sta chiavando. Non avrebbe mai creduto di arrivare a farsi chiavare dal proprio figlio. Il DNA ereditato da sua madre Yvonne ha favorito l’incontro tra la propria figa ed il cazzo del figlio. Solleva le gambe e le porta dietro la schiena del figlio circondandolo in un forte abbraccio.

Il sogno finalmente si sta realizzando. Nessun dubbio le attraversa la mente. Sa che sta avendo un rapporto i****tuoso. Ma non è forse i****tuoso anche il rapporto che da anni ha con il fratello? Lo ha cercato; lo ha voluto. Lei vuole possedere suo figlio come uomo. Ci è riuscita. Con una spinta i due corpi rotolano sul letto e si fermano solo quando Robby si ritrova disteso di schiena e la madre gli è a cavalcioni con il cazzo saldamente piantato nel suo ventre.

I muscoli vaginali di Holly avvolgono il cazzo del figlio in un caldo e piacevole abbraccio. Spetta a lei cavalcarlo. Poggia le mani sul torace del figlio e da inizio ad un lento galoppo. Le sue mammelle schiaffeggiano il viso di Robby che non se le lascia sfuggire. Riesce ad afferrare, uno per volta, i grossi capezzoli ed a succhiarli. Le unghia di Holly affondano nei muscoli pettorali di Robby. I grosso globi d’alabastro sono due campane in movimento continuo.

La donna, ad ogni sgroppata, lancia possenti nitriti imitata dal figlio che emette suoni di cui non si capisce a quali a****li paragonarli. Di sicuro appartengono all’a****le uomo. Il galoppo gradualmente aumenta l’andatura fino a diventare sfrenato. Il corpo di Holly incomincia a tremare. L’orgasmo sta salendo verso il cervello. Lo invade. La sconvolge. Urla. Gode. Viene. Allo stesso istante il figlio eiacula nel ventre materno. Lei sente il caldo sperma del figlio inondarle la vagina e schiacciarsi contro il suo utero.

Arriva la quiete. I due si guardano negli occhi. Sorridono. Non serve parlare per dirsi che si amano. Da quel giorno madre e figlio non smetteranno più di amarsi. Robby si trasferisce nella camera da letto della madre e insieme si lanciano in furiose galoppate. La mente di Holly raggiunge la tranquillità psicologica. Le notti non sono più prede di sogni carichi di sesso. Dorme tranquilla sapendo che il figlio è sempre pronto a soddisfare i sui istinti a****leschi.

Anastasia, pelle di luna Gli avvenimenti dell’estate di tre anni fa, in quel villaggio turistico a Corfù, impressero una profonda e radicale svolta alla mia vita di donna. Da allora, da quei giorni incredibili, l’immagine della mia esistenza e la percezione di me stessa sono cambiate in modo totale. L’esperienza che vissi su quella stupenda spiaggia, bagnata da un mare cristallino, in quel villaggio isolato nella baia vicina a Lefkimmi, segnò il punto d’inizio di una presa di coscienza definitiva e assoluta della mia sessualità, del mio modo più intimo di essere donna, di quello che veramente cercavo e di quello che profondamente desideravo; fu un’esperienza travolgente e totalmente inaspettata, ma proprio per questa ragione, completa e dirompente nella sua intensità.

In vacanza, in quel villaggio, ero andata con il mio ragazzo di allora, Luca. E con noi erano venuti anche Paolo, il più grande amico di Luca, e Vittoria, la sua ragazza. La scelta di Corfù era stata fatta da Luca e Paolo, in quanto, grandi appassionati di mare e di fondali, volevano trascorrere quindici giorni fra barca ed immersioni. Il villaggio offriva escursioni giornaliere per praticare la pesca subacquea, e questo li aveva fatti decidere per l’isola greca.

Vittoria ed io (a proposito, mi chiamo Sara) avevamo capito sin dalla partenza che, in quelle due settimane, saremmo state lasciate da sole molto spesso, visto che i ragazzi progettavano escursioni a raffica. Ma la cosa, in definitiva, non ci aveva infastidito più di tanto: la spiaggia ed il sole, i bagni e l’abbronzatura ci avrebbero reso sicuramente sopportabili le loro frequenti assenze. Quel giorno, mi pare fosse il terzo dal nostro arrivo, Vittoria ed io eravamo sdraiate sui lettini, quasi in riva al mare.

Coperte dalla testa ai piedi d’olio abbronzante, ci crogiolavamo beate sotto i caldi raggi del sole di luglio. Entrambe bionde, Vittoria ed io eravamo decisamente due belle ragazze: anche se non altissime, avevamo due corpi (che, per inciso, curavamo in modo quasi ossessivo) che, agli occhi degli uomini, non passavano di certo inosservati. Ed infatti, le occhiate che molti ci lanciavano più o meno discretamente, anche perché ci vedevano spesso sole, erano assai eloquenti.

Ma a quegli sguardi eravamo da tempo abituate. Stavamo bene con i nostri ragazzi, e l’idea di avere una storia con qualcuno, non ci passava nemmeno per la testa. In tutta onestà bisogna riconoscere che non eravamo così innamorate di Luca e Paolo: forse la nostra era più un’attrazione fisica nei loro confronti che non un vero e proprio sentimento d’amore, ma non eravamo comunque in cerca di avventure di alcun tipo. Vacanze e relax.

Il dolce far nulla. Solamente quello desideravamo trovare in quei giorni di vacanza. Anche quel giorno i nostri ragazzi erano usciti in barca al mattino, ed il loro ritorno era previsto soltanto per il tardo pomeriggio. Stavo chiacchierando tranquillamente con Vittoria, quando, con un’occhiata all’orologio, mi accorsi che erano quasi le undici. Mi alzai di shitto dal lettino e presi il pareo. – Dove vai ? – mi chiese Vittoria, girando appena la testa e facendosi ombra agli occhi con la mano.

– Me ne ero quasi dimenticata. Ieri sera ho prenotato un massaggio al centro estetico; non costa troppo, certo non come in Italia, e quindi ne voglio approfittare. Una bella rimodellata mi farà bene e mi tonificherà – le risposi infilandomi i sandali da spiaggia. – Buon’idea. Credo che domani me ne farò fare uno anche io. Anzi… visto che tu lo fai stamani… dopo mi saprai dire se ne vale la pena. — Ma certo, così io faccio da cavia, vero? – le dissi, ridendo e mettendomi gli occhiali da sole.

– Ehi… non te l’ho chiesto io di andare a farti fare un massaggio ! – mi strillò Vittoria, facendomi una linguaccia. Sorridendo la salutai, con l’impegno di tornare da lei appena finito, per poi andare a pranzo insieme. Il centro estetico del villaggio era situato in una piccola costruzione prefabbricata, distaccata dal corpo centrale della struttura principale del villaggio. All’interno vi si trovava una palestra bene attrezzata, una sauna, il reparto d’estetica e di cura della pelle, e due stanzette riservate alle clienti che desideravano un massaggio.

Mi accolse una ragazza di una bellezza così straordinaria che aveva quasi dell’incredibile; aveva più o meno la mia età e mi disse di chiamarsi Anastasia. Era veramente stupenda. Qualunque altro termine sarebbe stato riduttivo per descrivere il suo immenso e strepitoso fascino. L’avevo già incontrata, in effetti, qualche volta sulla spiaggia o all’interno del villaggio, e avevo creduto che fosse una turista, anche lei, come me, in vacanza: decisamente alta, ma non sproporzionata, Anastasia aveva un seno pieno e notevolmente sodo, le cui forme accattivanti s’intuivano sotto la leggera e stretta maglietta bianca che indossava.

Quando l’avevo vista in spiaggia, il suo corpo fantastico era messo in evidenza da un minuscolo due pezzi che sottolineava, se mai ce ne fosse stato bisogno, le forme straordinariamente aggraziate del suo fondoschiena. Ora, mentre mi sorrideva, indossava un paio di pantaloncini corti che le lasciavano scoperte le lunghe e sensuali gambe affusolate. Il viso, incorniciato da lunghi capelli neri, che le scendevano quasi fino a metà schiena, mostrava labbra morbide e carnose, un naso non piccolo, ma dritto e perfetto, e due occhi scuri e profondi come la notte più buia.

Era veramente bella, e per riconoscerlo io che sono sempre stata critica nei confronti di tutte le altre donne…Ma la cosa che più colpiva di lei, il particolare che più s’imponeva e che maggiormente risultava affascinante, era il colore della sua pelle. Anastasia era mulatta, con quella particolare tonalità di colore della pelle, ovviamente scura, ma luminosa e splendente, come l’abbronzatura intensa e dorata che la pubblicità dell’olio solare ti promette ogni estate: e quel particolare colore, così bello e intrigante, metteva ancora più in risalto come la sua pelle fosse liscia, elastica e perfetta.

Una di quelle epidermidi che, noi donne, pagheremmo non si sa cosa per avere. Dandoci subito del tu, Anastasia mi fece accomodare in una delle due piccole stanze dei massaggi; nel poco spazio che vi si trovava all’interno c’erano un lettino per il massaggio, un basso armadietto bianco, una sedia di plastica gialla ed il condizionatore che, in assenza di finestre, garantiva una temperatura piacevolmente fresca. La ragazza mi disse di togliermi il pareo ed il costume che indossavo, e di infilarmi un paio di mutandine di carta che lei aveva appoggiato sul lettino.

Poi uscì e chiuse la porta, dicendomi che sarebbe tornata in breve tempo. Mi spogliai, rimanendo solo con le mutandine di carta come lei mi aveva detto di fare, e mi sdraiai comodamente sul lettino, aspettando il suo ritorno. Dopo un paio di minuti, Anastasia tornò. Aveva indossato un comodo e largo camicione bianco che la copriva fino alla metà delle cosce, e calzava dei sandali con il tacco discretamente alto che facevano risaltare le sue gambe tornite e di quel meraviglioso colore.

Mi fece sdraiare a pancia in sotto e dal piccolo armadietto prese alcuni contenitori di unguenti per il massaggio. Chiacchierando, mi versò sulla schiena un abbondante liquido profumato ed oleoso, e iniziò quindi a massaggiarmi. Chiusi gli occhi e mi abbandonai, completamente rilassata, alle sue esperte mani. Anastasia volle sapere da dove venissi (dopo un suo timido tentativo di dire qualche parola in italiano, eravamo passate direttamente all’inglese) e mi raccontò del suo lavoro al villaggio.

Anche io le chiesi di dove fosse originaria, e lei mi spiegò di essere nata ad Atene, da padre greco e madre cubana. Ora mi era chiara la ragione del colore della sua pelle. Mentre parlavamo, le mani di Anastasia erano impegnate a massaggiare energicamente la mia schiena, scivolando senza attrito sulla mia pelle unta di olio profumato; era una sensazione piacevolissima, e mi sentivo totalmente abbandonata, tranquilla e rilasciata come non mi capitava da molto tempo.

Ogni vertebra, ogni articolazione, ogni muscolo della mia schiena veniva lavorato e, sollecitato, con estrema accuratezza e professionalità, da quelle splendide e sapienti mani. Dopo un buon quarto d’ora, Anastasia passò ai glutei e alla parte posteriore delle cosce. Versò altro olio sulla mia pelle e continuò a massaggiare, a pizzicare, a schiaffeggiare delicatamente il mio corpo. Ma qualcosa, in me, stava lentamente cambiando, e quel senso di rilassamento in cui mi ero venuta a trovare andava trasformandosi in qualcosa di profondamente diverso.

Continuavamo a parlare di questo e di quello, tutti argomenti di poco conto, ma nella mia testa ora si stava affacciando, e sempre più insistente, l’immagine delle sue mani sulla mia pelle, delle sue dita affusolate, e dalle lunghe unghie smaltate di un vivido rosso, a contatto con le mie natiche e con le mie gambe. Sognavo la ragazza intenta non più a massaggiarmi, ma ad accarezzarmi, a sfiorarmi delicatamente l’intero corpo, lucido ed unto dell’olio con cui mi aveva cosparso.

Mi sentivo francamente imbarazzata da quei pensieri così per me insoliti, ma non mi riusciva di allontanarli dalla mente; lei continuava spedita nel suo lavoro, ignara di certo delle mie reazioni, ma io mi stavo, lentamente ma inesorabilmente, eccitando al tocco delle sue mani. Mi obbligai a pensare che si trattasse solo di fantasie, causate, forse, dalla mia inesperienza nel campo dei massaggi, che sicuramente era abbastanza normale provare quelle strane sensazioni quando qualcuno, uomo o donna che fosse, ti sfiorava con le mani in modo così piacevole.

Ma quando, ad un tratto, avvertii un fremito tra le gambe, un improvviso desiderio di toccarmi e di essere toccata, capii che non era solo il massaggio ad eccitarmi, ma che era lei, la splendida Anastasia, la causa principale di quel mio folle turbamento. – continua -capitolo 2Con un ultimo schiaffetto su una natica, Anastasia mi chiese di girarmi. Lentamente, riemergendo a fatica da quegli erotici pensieri ai quali mi ero lasciata andare, mi voltai, guardandola in viso.

E sentii il mio cuore perdere un colpo. Anastasia era stupenda ora, ancora più di quanto non lo fosse stata prima. Lo sforzo di massaggiarmi l’aveva fatta sudare: aveva il viso accaldato, tanto che un velo lucido le imperlava la fronte, bagnandole le punte della nera e maliziosa frangetta di capelli, legati adesso in una lunga coda dietro la nuca. La ragazza si versò dell’altro olio nel palmo della mano e, facendomi piegare una gamba, riprese nuovamente il suo accurato massaggio.

Ora, girata verso di lei, potevo vedere le sue mani perfettamente curate, e le sue snelle e affusolate dita, volare letteralmente sulla pelle della mia gamba, dalla coscia, passando per il ginocchio ed il polpaccio, fino alla caviglia ed al piede. Il contrasto tra le sue mani così scure e la mia pelle più chiara era a dir poco sconvolgente. Dovetti fare uno sforzo enorme per non perdere il controllo quando la sua mano mi massaggiò, una ad una, tutte le dita del piede.

Quelle sue unghie rosse risaltavano in maniera meravigliosa ed eccitante, contrastando magicamente con lo smalto argentato delle unghie del mio piede. E più lei andava avanti nel suo lavoro, più io mi sentivo sprofondare nella libidine. Ad un certo punto, dopo aver forse indugiato con la mano un attimo di troppo sul mio alluce, quasi a voler simulare l’atto di masturbarlo, Anastasia mi guardò dritta negli occhi e quindi, attaccando subito un altro discorso, mi sorrise.

Non so cosa mi prese, ma quel sorriso fu come un lampo che illumina la notte, come un bagliore accecante che all’improvviso ti acceca; fu come se lei mi avesse voluto comunicare che aveva capito tutto, come le fosse chiaro che era lei la causa del mio turbamento e della mia evidente eccitazione. Mi sentivo sempre più imbarazzata, anche perché le mie reazioni si erano fatte palesi: notai che i capezzoli mi si erano inturgiditi, diventando dritti e duri, e sentivo anche che tra le gambe mi stavo bagnando sempre più dei miei umori.

Ero più che certa che quelle mutandine di carta che indossavo fossero intrise della mia eccitazione e che mostrassero ad Anastasia tutto il mio desiderio per lei. Mi aveva preso a massaggiare l’altra gamba, quando l’occhio mi cadde sul suo seno: si muoveva libero sotto la camicia che lei indossava, e i capezzoli risaltavano nitidi contro il tessuto, eretti e puntati. Anche Anastasia era chiaramente eccitata. Le piaceva il mio corpo, e le piaceva sentire la mia pelle sotto le mani.

Come un fiume che rompe d’improvviso gli argini, così il mio desiderio, la mia voglia crescente di lei, riempì di sensuali ed erotici pensieri la mia mente impazzita. Iniziai a pensare alle sue mani sul mio seno, alla sua bocca sul mio corpo, alla mia lingua sulla sua pelle così scura ed invitante. Ero sempre più sconcertata da me stessa, incredula per tutto quello che si stava verificando nella mia testa e per le reazioni che il mio corpo mi trasmetteva con intensità crescente.

– Ecco fatto, Sara. Spero proprio ti sia piaciuto il mio massaggio. Ti puoi fare una doccia, adesso, se vuoi. Lì c’è un piccolo bagno con gli asciugamani – mi disse sorridendo, il suo sguardo fisso nel mio. Tornai bruscamente alla realtà, persa com’ero in quel sogno erotico che stavo facendo ad occhi aperti. Mi alzai dal lettino e Anastasia, uscendo, mi disse: – Fai pure con calma, tanto adesso non ho altri massaggi.

Mi auguro che tu voglia tornare uno dei prossimi giorni, prima di partire. -E andò via, chiudendo la porta dietro di se. Mi diressi verso la piccola stanza da bagno (che entrando nemmeno avevo notato), aprii i rubinetti della doccia, miscelai l’acqua e m’infilai sotto il tiepido getto. Mi ero tolta le mutandine e avevo avuto la conferma di quanto, poco prima, avevo pensato, trovando la carta completamente intrisa dei miei umori; era perciò impossibile che Anastasia non si fosse accorta dello stato d’eccitazione in cui ero caduta.

Mi sentii avvampare per la vergogna, ma subito dopo mi tornarono alla mente i suoi seni, i suoi capezzoli duri che avevo intravisto contro la stoffa del largo camicione: Anastasia si era sicuramente accorta di quanto io mi fossi bagnata al contatto delle sue mani e, forse, si era eccitata proprio per questa ragione. L’acqua tiepida mi scivolava piacevole sul corpo, sulla pelle resa impermeabile dagli unguenti che Anastasia mi aveva così a lungo spalmato.

Mi chiesi se la ragazza fosse lesbica, o magari bisessuale; o se anche per lei, come per me, fosse stato un qualcosa di completamente nuovo, una reazione inaspettata e imprevista di fronte ad una cliente che si eccitava al suo massaggio. Con questi pensieri che mi vorticavano senza tregua per la testa, m’iniziai ad insaponare. Vedevo le mie mani passare sul mio corpo teso e fremente, e pensavo alle mani di lei, sognavo che fossero le sue ad accarezzare e a lavare la mia pelle.

Mi presi i capezzoli fra le dita, stringendoli, e, chiudendo gli occhi, immaginai che fossero le dita di Anastasia a procurarmi quelle intense ondate di piacere. Le mani scesero sul ventre, si spostarono poi sulle natiche, per giungere, alla fine, sull’interno delle cosce: sentivo che se non mi fossi masturbata sarei stata male, sia fisicamente che mentalmente. Dovevo assolutamente scacciare il pensiero di Anastasia, l’idea di fare l’amore con lei, e l’unico modo che avevo era quello di darmi un rapido quanto intenso piacere: dovevo in qualche modo soddisfare il mio desiderio sessuale, per placare quella tensione erotica che mi stava divorando.

Appoggiandomi alla parete della piccola cabina di vetro in cui era situata la doccia, con due dita della mano sinistra mi allargai le grandi labbra e con la destra presi ad accarezzare lentamente il clitoride: una violenta scossa di desiderio si propagò istantanea all’intero mio corpo. Una girandola d’immagini prese a vorticare impazzita nel mio cervello, come un caleidoscopio di accecanti lampi erotici: Luca che mi baciava il seno, io che passavo la lingua su un capezzolo di Anastasia, il pene del mio ragazzo tra le mie labbra, la lingua di quella meravigliosa donna a tormentarmi il clitoride, gli schizzi dello sperma di Luca sulla mia pancia…Sconvolta ed ansimante, le gambe che quasi non mi sorreggevano più, persa in quegli istanti di autoerotismo così assoluti e sconvolgenti, quando mi penetrai con decisione la fica con due dita, di fatto era come se fossero le dita di Anastasia ad entrare nel mio sesso bollente.

Godetti in pochi secondi, così intensamente come non mi capitava più da moltissimo tempo. Quando mi fui asciugata e rivestita con il costume ed il pareo, uscii dalla saletta per i massaggi: trovai Anastasia ad aspettarmi. Vidi che si era cambiata, rimettendo gli abiti che indossava quando ero arrivata. Le pagai quanto dovuto e quindi ci salutammo, io ringraziandola per il massaggio (e, in cuor mio, per il meraviglioso orgasmo che, grazie a lei, mi ero data sotto la doccia), e lei esortandomi a tornare presto.

Uscii dal centro estetico ancora turbata per quanto accaduto. – Allora, com’è andato questo massaggio ? – mi chiese Vittoria, non appena fui tornata in spiaggia. – A meraviglia. La massaggiatrice è una ragazza molto simpatica. E anche decisamente bella. E’ stato veramente piacevole e rilassante – le risposi. – Interessante. Davvero interessante. Mi sa che domani ci vado anche io a farmi massaggiare. Che ne dici ? — Certo, perché no ? – le risposi distrattamente, la mia mente completamente da un’altra parte.

In realtà stavo pensando a quando “io” sarei tornata da Anastasia; pensavo se era il caso di dare un seguito alle mie fantasie, se spingermi oltre e rivelare alla bella massaggiatrice, in modo chiaro ed esplicito, il mio desiderio per lei, o se, invece, era meglio lasciar perdere, dimenticare tutto, e rientrare nella mia vita di tutti i giorni, ritornare a pensare al sesso come un qualcosa da fare con Luca, comunque con un uomo, e non con una donna, con una ragazza che avevo appena conosciuta e per la quale avevo preso una sbandata.

Questi pensieri non mi abbandonarono per tutto il giorno. – continua -scritto da autore racconto erotico Diagorascapitolo 3Quella sera i nostri ragazzi tornarono verso le sei. Vittoria ed io eravamo ancora in spiaggia quando loro arrivarono. Si sedettero con noi e ci raccontarono della loro giornata e delle lunghe immersioni che avevano fatto. Parlavano di mare, di pesci, di fucili da sub, della barca, di Sotiris, il ragazzo greco che li aveva accompagnati e di cui erano ormai divenuti grandi amici.

Parlavano e raccontavano, soddisfatti e felici della loro giornata di vacanza. Io li ascoltavo, mostrando loro una falsa partecipazione alle loro parole, ma la mia mente tornava ad Anastasia, a quel massaggio, a quello che avevo intuito di lei e a quello che, forse, avevo creduto di intuire. Avevo continuato a pensarci senza sosta per tutte quelle ore, e mi ero quasi convinta di avere immaginato il tutto, di essermi lasciata trasportare dalla fantasia, di aver frainteso le reazioni del mio corpo al contatto con le mani di Anastasia.

Mi ero eccitata, questo era fuori discussione. E mi ero masturbata pensando a lei, ma anche a Luca ed al sesso che facevamo di continuo: ma quando ero stata prossima all’orgasmo, nei miei pensieri erano rimaste solo Anastasia e le sue mani, esclusivamente lei ed il suo corpo fantastico. Ma, forse, era stata la mia mente a creare tutto quel film, a farmi credere che Anastasia mi desiderasse veramente e che io desiderassi veramente lei.

Tornando indietro negli anni, non mi ricordavo di aver mai provato il desiderio di andare a letto con un’altra donna. E un desiderio così incontrollabile, per giunta. Sì, da adolescente, con la mia migliore amica di allora, quando qualche volta restavo a dormire a casa dei suoi genitori, ci eravamo toccate e accarezzate, avevamo provato a leccarci le tette per vedere se tutto quello che si fantasticava sul sesso fosse vero, ma più per un gioco adolescenziale che per un reale desiderio fisico.

Certo, era stato piacevole, non dico di no. Ma, in fondo, noi volevamo capire solamente cosa si provasse, cosa il futuro ci avrebbe riservato riguardo al sesso e all’amore. Ma sempre con la convinzione, anzi, con la granitica certezza, che la nostra realtà sessuale fosse con gli uomini, con tutti quei ragazzi che iniziavano a venirci dietro sempre più di frequente. E così in definitiva era stato. Con tutti gli uomini con cui ero andata a letto (e nemmeno così numerosi, per la verità), avevo realizzato in pieno la mia femminilità, avevo goduto del contatto con i loro corpi, avevo amato ogni istante passato con loro.

Senza mai essere sfiorata da dubbi o perplessità. Mai avevo neanche lontanamente supposto che con un’altra donna il sesso sarebbe stato più appagante, più intenso e infinitamente più dolce. Ma quel pomeriggio a Creta molte delle mie certezze stavano vacillando, molte delle cose che davo per scontate ora venivano messe in discussione, anche se Anastasia mi aveva solo fatto un massaggio, niente di più, come ne faceva a tante altre persone durante la stagione estiva.

Eppure io la desideravo, la volevo ogni istante di più; volevo perdermi sulla sua pelle, volare in paradiso tra le sue mani, godere con lei, su di lei, sotto di lei, e stretta a lei. La volevo. E questo mi spaventava, mi terrorizzava. Ma mi eccitava tremendamente. La desideravo. E, malgrado i miei sforzi per riportare la questione su un piano razionale, non ci potevo fare assolutamente nulla. Quando giunse l’ora di lasciare la spiaggia, salimmo nelle rispettive camere per prepararci alla cena.

Una volta nella nostra camera, Luca andò di filato sotto la doccia ed io, mentre aspettavo che lui finisse, mi sdraiai sul letto, ancora con il costume indossato. Mi era impossibile non farlo. Continuavo a pensare ad Anastasia. Facevo di tutto per convincermi che il mio desiderio per lei fosse una follia, una follia creata da un momento di debolezza, da un semplice ed innocente massaggio, come in effetti poi era stato. E che la mia fantasia avesse fatto il resto.

Un sogno, piacevole come pochi, ma un sogno e basta. I miei veri desideri non potevano essere quelli, come il volere sessualmente un’altra donna non era mai stata una sensazione presente in me. Era stato certamente un momento di pazzia, un attimo in cui la ragione era stata offushita dall’emotività. Tutto qui. Però…Era quel dubbio insistente che non mi dava pace. Luca uscì dalla doccia e, completamente nudo, venne a sdraiarsi sul letto, accanto a me.

– Che cosa hai fatto di bello, oggi ? – mi chiese, passandomi delicatamente una mano sulla schiena. – Niente di particolare. Siamo state in spiaggia tutto il giorno. Sole e bagni, bagni e sole. Quello che mi piace di più fare in una vacanza al mare. A dire la verità, mi sono fatta fare anche un massaggio, al centro estetico. — Mi auguro sia stata una donna a fartelo ! – mi disse Luca, ridendo, e fingendo di essere geloso.

– Certo, una ragazza veramente brava – gli risposi, sperando di riuscire a far cadere l’argomento il prima possibile. – Vediamo se io sono più bravo di questa ragazza – fece Luca, salendomi sopra e sedendosi sulle mie natiche. Prese a far scorrere le mani sulla pelle della mia schiena, slacciandomi la parte superiore del due pezzi che indossavo. Mi carezzava con delicatezza le spalle e le braccia abbandonate. Sentii subito un brivido, quel fremito ben noto che mi assaliva ogni volta che iniziava a toccarmi; quando le sue mani si avventuravano sul mio corpo, partivo subito per la tangente.

Mi sfilai completamente il reggiseno, offrendomi alle sue dita esperte. Dopo qualche minuto di quella delizia, sentendomi sospirare sempre più frequentemente, Luca mi fece girare e mi sfilò anche le mutandine del costume. Ora potevo vedere la sua erezione, prepotente e turgida come sempre. Le sue mani volarono al mio seno, ai capezzoli già duri, al ventre piatto ed elastico: quindi si piegò su di me e le mani vennero sostituite dalla sua lingua, calda ed umida.

Mi leccava i capezzoli, passando da uno all’altro, prima assaporandoli con la bocca, poi sfiorandoli con le labbra e quindi stringendoli delicatamente tra i denti. Ero naturalmente già eccitatissima da quelle attenzioni meravigliose che Luca mi stava regalando, ma se chiudevo gli occhi immaginavo altre mani e un’altra bocca, altre labbra ed altri denti; e queste folli visioni dilatavano ancora di più il mio piacere, oltre ogni limite, oltre ogni confine dell’erotismo più estremo.

Mi costrinsi a tenere gli occhi aperti, a non perdermi in quelle morbose e torbide fantasie. Ora Luca stava scendendo lungo il mio corpo, la lingua che continuava ad accarezzare la mia pelle, le mani infilate sotto le mie natiche; arrivò alla morbida peluria, vi indugiò solo un attimo, scese ancora un pochino e, in punta di lingua e lieve come una piuma, iniziò a stuzzicarmi il clitoride. Mi abbandonai completamente a lui, il piacere che mi avvolgeva con ondate sempre più intense e…Ero stesa sul lettino e Anastasia aveva finito di massaggiarmi le gambe.

Mi guardava negli occhi e questa volta non mi diceva che il massaggio era terminato: quindi prendeva ancora un po’di quell’olio profumato e, con il respiro affannoso, mi iniziava ad ungere i seni. Vedevo le sue mani seguirne la curva, per poi stringerli e sollevarli, quasi accostandoli l’uno all’altro: la sua testa che scendeva verso di me e le nostre lingue che si univano finalmente in un bacio saffico, intenso e dirompente. Ora mi ero seduta sul lettino e le sbottonavo la larga camicia bianca, un bottone per volta, con una lentezza esasperante, sia per lei che per me.

E quando anche l’ultimo bottone veniva aperto, con mani tremanti le scostavo i lembi di stoffa, fino a scoprirle il seno dalla pelle scura e dai capezzoli quasi neri. E, alla fine, la prendevo in bocca, le tiravo con i denti quelle due scure punte, erette e frementi per l’intensa eccitazione. Poi le mie mani avevano preso a spalmarla di olio, a rendere lucida quella pelle da favola che mi faceva impazzire di passione……e venni nella bocca di Luca, sulla sua abile lingua.

Il piacere fu così intenso da rivoltarmi il corpo e l’anima, in un orgasmo così assoluto da risultare quasi doloroso. Luca si allungò su di me e mi baciò, la sua lingua a frugare nella mia bocca, ed io sentii il mio sapore sulle sue labbra, sulla sua pelle bagnata da quel mio incredibile orgasmo. Mi tirai su e, ancora scossa da quello che era successo al mio corpo per merito di Luca, e alla mia mente grazie al pensiero di Anastasia, lo feci sdraiare sul letto.

Subito gli afferrai con la mano il pene, scoprendo completamente la larga cappella violacea per l’eccitazione e, abbassando la testa, lo presi interamente in bocca, iniziando a succhiarlo con voluttà. – Ahh… amore… sei sextenata stasera… – mi disse Luca, appoggiando le mani sui miei capelli. – continua -[email protected][/colocapitolo 4Ora passavo la lingua sulla cappella, ora la sfioravo con le labbra, ora mi facevo scivolare il pene lungo la guancia. Mi rendevo conto di essere posseduta, quasi divorata, da un desiderio oscuro e sconosciuto, di leccare e di succhiare la virilità di Luca con una smania ed una frenesia mai provate in passato.

Ed anche Luca si era chiaramente accorto di quanto io desiderassi il suo cazzo in quel momento: lo sentivo gemere ed ansimare, torturato dalla mia bocca e dalla mia avida lingua. Ma non volevo che lui venisse tra le mie labbra o nelle mie mani: lo volevo dentro di me, dopo, e volevo sentire i suoi schizzi caldi dentro il mio corpo impazzito. Stringendo abilmente la base del suo pene, ritardando in tal modo la sua eiaculazione, andai avanti con la bocca così a lungo da farlo quasi uscire di senno, rapita da quella esaltazione sessuale per me assolutamente nuova.

Quando Luca avvertì che il piacere che la mia bocca gli stava dando si era trasformato in una sensazione quasi dolorosa, quando non resistette più a quel dolce supplizio che gli stavo imponendo, mi sollevò la testa dal suo pene e, gettandomi sul letto, mi divaricò al massimo le gambe, piegandosi a leccare la mia bagnata intimità in ebollizione. Improvvisamente, e senza volerlo, un altro flash mi attraversò la mente. La lingua di Luca era diventata la lingua di Anastasia: sentivo il mio clitoride stretto tra le labbra della ragazza, la sua lingua penetrarmi dolcemente mentre…Quando Luca prese a scoparmi quelle immagini straordinarie svanirono dalla mia mente, e mi abbandonai a lui, felice di sentirmi presa, desiderosa solo dell’orgasmo liberatorio.

Luca, stravolto dall’eccitazione, mi montava ritmicamente, penetrandomi con colpi sempre più profondi, e con velocità crescente. Portai le mie gambe sulla sua schiena, stringendolo a me ed incitandolo ad andare più veloce, a spingere più a fondo il suo cazzo dentro di me, a sfottermi con forza e con violenza. Fu una di quelle rare volte in cui riuscimmo a venire contemporaneamente: sentii i suoi getti caldi esplodere dentro il mio corpo, riempiendomi la vagina con i suoi schizzi, facendomi precipitare in un nuovo ed interminabile orgasmo, e placando quella sete inestinguibile di sesso che quella sera mi aveva assalito.

Restammo abbracciati, dopo, stanchi e accaldati, svuotati di ogni energia. Ma anche in quei momenti di completo abbandono, mentre con le mani ci toccavamo senza più alcuna frenesia, la mia mente continuava ad essere irrequieta. Accarezzavo i suoi capelli, la sua testa appoggiata sul mio seno, sentivo il suo odore di maschio, e pensavo ai capelli di Anastasia, al suo profumo di donna, alla sua pelle liscia come la seta…Smarrita ed incredula, mi chiesi ancora una volta che cosa mi stesse realmente accadendo.

La mattina successiva Luca e Paolo non avevano in programma escursioni, e così restarono con noi. Erano ancora stanchi della giornata precedente e si volevano riposare per essere in forma per il giorno dopo: Sotiris, la guida che li accompagnava, aveva organizzato un’escursione a Paxi, una piccola isola nei pressi di Corfù, per fare lunghe immersioni in una zona di mare che era il sogno di tutti gli appassionati di subacquea. Così, dopo la colazione, ci avviammo verso la spiaggia e, aperti i lettini, ci sdraiammo tutti e quattro al sole.

La giornata si annunciava particolarmente calda ed il riflesso del sole sul mare era abbacinante; ogni pochi minuti, infatti, ci tuffavamo nell’acqua, decisamente più fredda, per trovare un po’di refrigerio e di sollievo a quella calura opprimente. Tra una chiacchiera e l’altra, verso mezzogiorno, Vittoria si alzò dal lettino, dicendo a Paolo di aver preso appuntamento anche lei per un massaggio. – Ieri, Sara mi ha detto che è stato veramente piacevole, e così ho pensato di provarlo anche io – disse Vittoria, radunando le sue cose.

Fu una vera e propria sorpresa per me. Vittoria non mi aveva nemmeno accennato la cosa. Il giorno prima lei mi aveva detto che le sarebbe piaciuto farsi fare un massaggio, ma non avendone più parlato non mi aspettavo che si fosse poi effettivamente decisa ad andare da Anastasia. Provai un’invidia immediata per la mia amica, e, prepotentemente, mi tornarono ancora una volta in mente le sconvolgenti sensazioni che avevo provate il giorno precedente.

Tra una battuta scherzosa e l’altra dei ragazzi, Vittoria andò via, dicendoci che ci avrebbe raggiunto più tardi. Fino a poco prima ero stata tranquilla, sdraiata sul lettino a godermi il sole e la compagnia; avevo relegato Anastasia in un angolo della mente, avevo chiuso la porta a doppia mandata e, così almeno credevo, gettato via la chiave. Ma ora che la ragazza di Paolo era andata via, al solo pensiero che le mani di Anastasia avrebbero massaggiato anche il corpo di Vittoria, che le sue dita sarebbero state a contatto con la pelle liscia e abbronzata della mia amica, e che quel corpo, indiscutibilmente invitante e seducente, potesse risultare più gradito del mio alla bella massaggiatrice, quella che avevo scambiata per invidia si rivelò essere tutt’altra cosa: ero gelosa, ero pazzamente gelosa di Anastasia.

Questa consapevolezza mi attraversò come un fulmine la testa, il cuore e l’anima. Ogni singola cellula del mio corpo era divorata dalla gelosia. Capivo l’irrazionalità della cosa, sapevo di sbagliare tutto, ero certa che mi sarei amaramente pentita di quel mio comportamento, ma la mia voglia di lei era assoluta e si stava definitivamente tramutando nella certezza che avrei fatto di tutto, ma proprio di tutto, per averla e per stringerla tra le mie braccia.

Non sapevo come, non sapevo quando, non sapevo dove, non sapevo nemmeno quale sarebbe stata la sua reazione al mio tentativo, ma prima di partire, prima che quella strana e pazzesca vacanza fosse finita, io dovevo riuscire ad andare a letto con Anastasia.

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