L’amore che va oltre….

Certe volte mi chiedo quanti siamo, quanti oltre a me vivono questa situazione.
Agli occhi del mondo è la cosa più assurda che possa esistere, impossibile forse, ma per me che la vivo e che ne conosco le dinamiche non è poi così improbabile, mi capita quindi di immaginare che in casa di altra gente possa succedere lo stesso.
Mio padre è morto che avevo sei anni. Mio padre era un uomo buono dall’animo nobile, non ho mai saputo nulla di lui se non quello che mia madre ha deciso di raccontarmi, ma da quello che è accaduto dopo la sua morte, dalla sua scelta di non voler nessun accanto a lei, posso solo intuire che tutto ciò era vero, che il vuoto nel quale è sprofondata era un vuoto sincero e sincere erano le sue parole quanto mi raccontava ogni cosa di lui.

Mio padre non approverebbe, mio padre ci diserederebbe ma in fondo ho sempre pensato che in parte è stata anche colpa sua, di quel suo addio prematuro e repentino, di quel suo viaggio senza ritorno che non si è cercato ma che l’ha comunque portato via da noi.
I giorni che seguirono la sua morte li ricordo poco, mia nonna in casa per settimane e con lei amici che andavano a venivano, prima a frotte poi sempre meno, alla fine più nessuno perché il dolore e la memoria sono così, si assopiscono sotto i colpi di una vita che deve comunque andare avanti e per mia nonna fu lo stesso, la mamma di mia madre non ha mai apprezzato veramente mio padre, quasi per lei è sembrato un sollievo e mia mamma l’ha cacciata, allontanata fino quasi a farmela dimenticare.

So queste cose perché me le ha raccontate lei, perché per quanto gli anni possano averla invecchiata è rimasta la moglie fedele di mio padre per tutta la vita, anche ora che in un certo senso non è più come qualche anno fa.
Sono cresciuto solo ed esclusivamente con lei, la scuola un paio di amichetti che col tempo si sono persi e lei, io e lei, per sempre, dal mare alla montagna in estate e in inverno eravamo un’unica identità che viveva e vive tutt’ora in simbiosi, perché raccontata così, messa nero su bianco è solo una storia e le storie sono scritte per essere raccontate, non giudicate e nemmeno necessariamente capite.

A sei anni dopo qualche mese dalla morte di mio padre cominciai a chiedere a mia madre delle attenzioni particolari, nulla di assurdo o irreale, solo attenzioni che un qualsiasi altro bambino scaraventato in una situazione più grande di lui avrebbe in qualche modo preteso.
Ai miei occhi se ne era solo andato, a sei o sette non è facile metabolizzare ed accettare quello che per un adulto può essere la vita, per me mio padre era andato via e ci aveva abbandonato, si era lasciato convincere a morire e questo fu forze il dolore più grande, un senso di abbandono che cominciai a sublimare chiedendo a mia mamma di tornare a prendere il latte dal suo seno.

Gli adulti ed io oggi per primo, non sono mai realmente preparati agli eventi della vita, da bimbi vediamo i grandi sicuri e pronti ad affrontare ogni cosa, ma solo crescendo ci rendiamo conto che quella sicurezza che sembra trasparire dai nostri gesti, nasconde un grosso senso di impotenza di inesperienza e di paura, anche se adulti, anche se grandi viviamo la nostra vita imparando giorno dopo giorno sbagliando nonostante l’età, nonostante i piccoli di casa ci guardino credendo di essere capaci a risolvere tutto.

Mia madre acconsentì per questo, per paura di negarmi un desiderio, perché ai suoi occhi ero il suo piccolo orfano e perché nonostante senza alcun peccato alle spalle, qualcuno o qualcosa aveva deciso di punirmi con il peggiore dei castighi, togliendomi ciò che più di ogni cosa avrei dovuto avere vicino.
La sera andavamo nel suo letto ed io mi sdraiavo di fianco a lei, poggiando la testa sulla sua pancia ed attaccando la mia bocca ai suoi capezzoli nudi.

Succhiavo dal suo seno come fossi un neonato, come se veramente dovessi nutrirmi del suo latte e come se il suo latte scendesse realmente, evidentemente avevo bisogno di farlo e nell’innocenza più totale, da buona madre, aveva deciso di farmelo fare.
Quel rituale divenne una costante che non si interruppe più, un momento di intimità che prese un identità tutta sua, era il momento della pace se durante il giorno avevamo avuto discussioni, era il momento del riposo se come ogni bambino avevo esagerato scalmanandomi al pallone o al parco, era il momento delle domande e delle risposte se assieme parlavamo della vita e delle sue sfaccettature.

Poco a poco in quel mondo ovattato fatto di noi e pochissimo altro ancora il tempo fece di me un adolescente come gli altri. In quel cambiamento fisico e psicologico le mie lacune e la mia incapacità di relazionarmi con il mondo esterno cominciarono a dare i primi segni tangibili di quello che poi divenne tutto il mio futuro, una solitudine più o meno forzata che mi faceva principe in casa ma inetto fuori dalle quattro mura, la malattia di mio padre, quel gene che l’aveva logorato ed annientato, aveva fatto il suo ingresso ufficiale anche in me e da quel momento le cose andarono sempre peggiorando.

Farmaci e cure antidepressive diventarono il mio pane quotidiano, pasticche e gocce facevano di me una ragazzino sempre più malato e sempre meno forte, un piccolo incapace di appropriarsi della sua vita. Mai una visita, mai una diagnosi eppure mia madre si prendeva cura di me e del mio stato psicologico e fisico come fosse un medico specializzato, << ci sono passata, so cosa devo fare >> mi ripeteva, ed io mi lasciavo curare per una malattia che oggi so di non avere mai avuto, una malattia che forse non è nemmeno mai esistita ma che ormai dopo quasi quaranta anni mi sento addosso come se l’avessi veramente, vivendo come un malato vive il suo disagio, prendendo medicinali, subendone le conseguenze e cercando una cura.

Se da un lato le attribuisco la colpa di questo mia esistenza, dall’altro non posso far altro che capire le sue ragioni.
A volte quando penso a ciò che siamo mi sembra come se tutto fosse un assurdo esperimento, una madre ed un figlio messi davanti ad un dramma per valutarne le conseguenze psicologiche che ne derivano ed effettivamente sembra esattamente così. Questa condizione ha deviato repentinamente il corso della mia vita facendolo andare in parallelo rispetto alla vita degli altri.

Viviamo lo stesso tempo, giriamo il calendario e chiamiamo i giorni della settimana con gli stessi nomi e nello stesso momento, ma chi è fuori vive tutte le esperienze possibili ed immaginabili mentre noi, dentro, andiamo per conto nostro con i nostri ritmi e facendo le nostre esperienze, regolando il nostro orologio biologico e seguendo le nostre poche ma radicate regole.
Il suo seno era ed è una di queste.
Nonostante la debilitazione fisica e mentale il mio crescere rimaneva il crescere di un qualsiasi latro individuo, le mie emozioni le mie scoperte avvennero contemporaneamente a quelle di altri ragazzini della mia età.

Il desiderio, la curiosità, la voglia di toccarmi mi proiettò dentro un mondo sconosciuto e conseguentemente affascinante, ed in quella normalità incomprensibile anche ai miei scienziati immaginari, cominciai a provare nei confronti del seno di mia madre un attrazione che mai mi era capitato di provare. Le coccole e quel senso di protezione che sentivo succhiando dai suoi capezzoli, cominciarono a diventare una voglia che sembrava partire dall’antro nascosto della mia anima.
Attendevo quel momento emozionandomi al solo pensiero, rispondendo con la mente agli impulsi del mio corpo, a quella strana cosa che faceva diventare il mio pene duro, grande e più sensibile del solito.

Nella mia incoscienza cercai di nascondere a mia madre quello che stava accadendo camuffando in mille posizioni differenti quello che era il mio momento di grazia, ma non fu sufficiente a nasconderle la verità, così un giorno come poteva essere un qualsiasi altro giorno della settimana mi ritrovai a parlare con mia madre di ciò che stava accadendo, scoprendo con mio stupore di essere entrato definitivamente nel mondo degli adulti.
Questo mi è rimasto impresso più di molte altre cose importanti, il momento in cui senza alcun avvertimento mi ritrovai proiettato nel mondo dei grandi.

Accadde una domenica pomeriggio mentre vedevamo sul divano una trasmissione della RAI, mia madre si voltò e mi disse con una calma disarmante che era normale, che era fisiologico alla mia età.
Li per li feci finta di nulla, ma poi tirando fuori tutto il suo coraggio mi spiegò di aver capito, di aver sentito nel mio modo di toccarla una differenza dovuta appunto alla mia crescita, alla mia scoperta del corpo ed a quel punto smisi di fingere ad affrontai l‘argomento.

Nonostante tutto il mio imbarazzo il suo modo di porsi mi tranquillizzò non poco, alla fine preso da un immenso senso di liberazione mi lasciai andare raccontandole tutto quello che mi stava succedendo.
Fu così che arrivò quella prima volta, la prima volta in cui potei cedermi al desiderio senza dovermi nascondere da lei.
Su quel divano in uno di quei momenti in cui meno te lo aspetti, potei finalmente toccare mia madre come da tempo desideravo fare, come uomo e non più come un bambino.

Da quel giorno per chissà quale assurda dinamica le coccole prima di addormentarmi tornarono ad essere ciò che erano sempre state, non più un desiderabile gioco erotico ma un momento di intimità materna alla quale evidentemente non voleva rinunciare neanche lei e così in maniera spontanea e naturale le due cose si scissero diventando due bisogni distinti e distinguibili. Il primo un amorevole gioco tra madre e figlio ed il secondo un naturale compromesso in continua evoluzione e proprio così arrivò la prima volta che mi masturbai davanti a lei.

La mia forzata disinvoltura con la quale abbandonavo i suoi seni per recarmi in bagno non fu sufficiente a nascondere il motivo di quei miei distacchi repentini, mia madre sapeva, aveva capito e con lo stesso amore mostrato nel prendersi cura di me, mi lasciò libero di farlo davanti a lei senza dover ricorrere alle stupide strategie con le quali ogni volta mi arrangiavo per concludere le mie passioni.
Alla fine di uno di quei giochi quando mi alzai fingendo mal di pancia mia madre guardandomi mi disse di farlo accanto a lei, mi disse che sapeva cosa sarei andato a fare e le sarebbe piaciuto che lo facessi di fianco a lei, sdraiato come sempre con la mia testa sulla sua pancia e le mie labbra sui suoi capezzoli, libero di toccarmi davanti ai suoi occhi.

Arrivai al punto più alto del piacere senza dover immaginare nulla, i seni erano realmente sul mio viso e tra le mie labbra c’era veramente il suo capezzoli, nulla poteva essere più grande di quella sensazione profonda e liberatoria e nulla fu più bello dell’abbraccio che alla fine ci unì piangendo.
Nonostante questa nuova libertà non approfittai mai della mia posizione, una sorta di timore reverenziale impedì alle mie voglie di assecondare i loro ripetuti accenni limitando le mie pulsioni a due volte al giorno, la mattina ed il pomeriggio quando c’erano le vacanze estive e dopo pranzo e la sera quando la quotidianità seguiva l’ordine naturale delle cose.

È proprio questo ad aiutare noi esseri umani a metabolizzare e ad accettare gli eventi per poi considerarli normali, l’ordine naturale delle cose.
Nessuno comprenderebbe se piuttosto che scriverlo glie lo raccontassi personalmente, tutti mi interromperebbero dicendo che la nostra è pura follia e depravazione, ma per e per mia madre accettare tutto questo è stato come accettare un romantico ed ovvio corso degli eventi, un corso che ci ha reso ancor di più un entità autonoma ed indipendente dal mondo esterno, un micro cosmo nel macro cosmo della vita che ha fatto del nostro “esperimento” un esperienza unica e forse irripetibile.

Compiuti i sedici anni la mia vita sociale era ormai del tutto inesistente, studiavo in casa grazie ad insegnanti che venivano appositamente per me. Oggi come oggi ho chiaro davanti agli occhi il perché di quei professori, perché tra tutte quelle persone nemmeno una donna aveva mai varcato la soglia di casa nostra, non perché lei avesse delle relazioni con loro tutt’altro, ma perché io non arrivassi a provare per un’altra donna lo stesso attaccamento che provavo per lei.

Con quel subdolo modo di trattenermi riuscì comunque nell’ intento e da sempre siamo ciò che siamo nonostante tutto.
Gli anni del mio passaggio dall’adolescenza all’età adulta furono anni burrascosi, non per vezzi o per irrequietezza, ma perché in quel periodo della vita il desiderio e la passione sembrano essere l’unico motivo di esistenza del nostro animo e per me nonostante tutto non vi fu eccezione.
Le mie voglie e la mia bramosia cominciarono a salire e con loro salì il numero delle mie richieste.

Durante una delle innumerevole volte in cui mi toccavo accanto a lei, sentii nello sfiorarle la mano con la mia erezione, una sorta di richiamo atavico, una voglia che ebbe su di me la stessa carica emotiva che su uno scienziato avrebbe la scoperta di una nuova molecola o di un nuovo vaccino.
Forse per sbaglio o forse perché l’inconscio supplisce le mancanze della nostra coscienza, guardai mia madre negli occhi supplicandola senza proferir parola di far si che accadesse di nuovo, di far si che il mio pene eretto e sensibile sfiorasse nuovamente la sua mano nuda e così incredibilmente avvenne, allungando appena il suo braccio lo prese in mano e cominciò a muoverlo su e giù nell’atto di masturbarmi.

Nonostante la nostra vita fosse l’unica realtà a me conosciuta, ero perfettamente consapevole di cosa stava accadendo, farsi masturbare dalla propria madre è qualcosa di realmente inimmaginabile.
Nell’atto dell’auto masturbazione i nostri pensieri riescono a raggiungere vette inarrivabili, persone più o meno vicine la nostra sfera divengono fulcro di situazioni che con la realtà non avranno mai nulla a che fare, ma quando si è toccati dalla propria madre tutto questo viene letteralmente spazzato via.

Nulla riesce a distogliere il pensiero da quell’idea, dall’idea che nostra madre ci sta masturbando, ci sta toccando per farci raggiungere un orgasmo.
Di tutti gli amori che possano esistere quello per una madre nei confronti del figlio e quello di un figlio nei confronti della madre è qualcosa di realmente più grande di un concetto esprimibile a parole, è un qualcosa di viscerale che non si può fermare all’affetto, viene dal profondo della nostra anima
come se qualcosa di noi fosse rimasto dentro di lei, non è un amore intermittente, non è un sentimento che può andare e venire, è qualcosa di eterno e di immenso che viaggerà sempre per conto proprio ed un gradino più su di qualsiasi altro amore.

Credo che nel sesso tra madre e figlio ci sia la vera essenza della vita.
Su questo argomento ho riflettuto molto a lungo, la nostra società è una società fondata su un apparente libertà con la quale nel corso dei secoli abbiamo sublimato i veri istinti naturali della nostra specie, le culture che siano esse occidentali o orientali, hanno fatto della privazione il bene comune sul quale fondare la nostra esistenza.

È così che le religioni per quanto diverse tra loro, hanno indottrinato l’uomo e la donna alla privazione degli istinti primordiali, obbligando ad esempio chi sceglie di essere un religioso, a vivere secondo leggi che forzano la natura stessa dell’essere umano, inducendolo all’astinenza, all’innaturale rinuncia alla procreazione, limitandone anche solo il piacere del pensiero.
L’uomo invece è fatto d’altro, l’uomo è un a****le con la sua storia e con le sue regole primordiali e tra queste, per quanto ormai definitivamente perso, c’è il naturale istinto di fecondare la propria madre, di appagare con essa atavici bisogni che gli permetteranno di liberarsi al mondo prendendo il suo cammino e percorrendo la sua strada.

In fondo il ciclo della vita di un uomo, per come è concepito il mondo moderno, ha un inizio ma non ha mai avuto una vera e propria fine.
Noi diveniamo essenza nel grembo di nostra madre, per nove mesi siamo con lei un’unica entità e nel corso del tempo da essa veniamo educati e preparati alla vita fino al momento in cui saremo uomini.
Questa parentesi aperta nel momento del nostro concepimento non verrà mai chiusa, cosa che invece sento debba essere definita in maniera del tutto naturale, un figlio ormai uomo dimostra la sua maturità unendosi alla madre.

Forse un tempo era veramente così, forse io non ho mai perso quel filo sottile che unisce la mia genetica alla genetica di chi viveva ancora secondo le regole della natura, milioni di anni fa e per questo ancora oggi nell’essere masturbato da mia madre provo uno stato di grazia che qualsiasi altra donna non sarebbe capace di rendermi.
Quel piccolo segreto tanto innocente iniziato all’età di sei anni, era ormai un imponente omissione nei confronti del mondo intero, una realtà celata a tutti quelli che per un modo o nell’altro avevano a che fare con la nostra quotidianità.

Il bisogno di mia madre come donna era ormai una costante, gli anni delle smanie da orgasmi multipli erano ormai domati ed il pensiero che quelle necessità potessero essere reciproche cominciò a farmi vedere la nostra storia secondo altre prospettive.
Dall’età dell’adolescenza ai venticinque anni mia madre si era prestata ai miei piacere senza mai chiedere nulla in cambio, da anni mi offriva il suo corpo e da anni quotidianamente si sedeva al mio fianco toccandomi amorevolmente fino all’orgasmo, ma mai una sola volta aveva chiesto di poter essere lei appagata da me e per quanto irreale possa sembrare, feci per la prima volta l’amore con lei il giorno del suo quarantacinquesimo compleanno.

La mattina di quel giorno la svegliai portandole la colazione a letto. Nel vassoio che le poggiai accanto, dentro ad una busta sigillata, le feci trovare un biglietto, era il mio regalo di compleanno, il mio modo per renderle grazie.
.
<< Cara Mamma, la nostra vita è qualcosa per il quale sembra siamo stati destinati solo tu ed io, un gioco che ci rende diversi da tutti se pur simili agli altri nell’aspetto e nel modo di essere.

Qualcosa ha giocato a noi una specie di scherzo, un dispetto che chissà quale Dio ha voluto farci per punirci di chissà quale peccato, ma oggi che sono un uomo, oggi che sono grande, mi rendo conto che questo dispetto è forse stato il più bel regalo che un essere umano abbia mai sperato di ricevere. Tu ed io stiamo assieme da sempre, da prima ancora che io nascessi, se veramente qualcuno o qualcosa ha voluto che accadesse, non ha certo tenuto conto di quanto noi abbiamo reso magica questa esperienza, di quanto io che sono tuo figlio, possa essere felice di averti con me, come madre, come amica, come musa.

Forse non sono un gran paroliere, forse non sono neanche un poeta, renderti ciò che mi hai dato usando vocali e consonanti non potrà mai avvicinarsi alla realtà delle cose, ma non mi arrendo di fronte a questa deficienza, sento dal profondo del cuore di amarti più della mia vita stessa ed ancora di più, sento il desiderio di averti come donna, di prenderti come una donna, perché nulla mi renderebbe più felice del fare l’amore con la mia dolcissima madre.

>>

Mai avevo visto i suoi occhi piangere, mai in tutti quegli anni si era lasciata andare ad emozioni che potessero dimostrare la sua fragilità, ma quella dichiarazione d’amore, quel mio modo forse infantile ma certamente sincero, era evidentemente riuscito ad abbattere quella barriera di orgoglio con la quale da sempre si era relazionata al mondo esterno e piangendo e mescolando gioia ed allo stesso tempo dolore, ci baciammo come solo pochissime madri e pochissimi figli hanno avuto il privilegio di baciarsi, con la mia bocca nella sua bocca, con la mia lingua sulla sua lingua fino ad unire i nostri corpi come alle origini, quando io figlio, ero nel suo grembo materno cullato ed amato come solo i figli possono essere.

Da quel giorno io e mia madre non smettemmo mai di fare l’amore e oggi, che lei ha cinquantasette anni ed io trentasei, continuiamo ad amarci come ci siamo sempre amati e ci ameremo fin quando ci sarà possibile farlo, perché sfuggire alle opportunità, non è certo il modo migliore di vivere la propria vita

Questa storia se pur ispirata da persone reali è frutto di una mia fantasia, è arrivata dentro di me di punto in bianco e l’ho scritta riportando le mie emozioni senza presunzione alcuna.

Scrivere è un hobby che con l’avvento di internet coltiviamo un po’ tutti, ma scrivere e saper scrivere sono due cose completamente differenti, saper scrivere implica prima di tutto leggere e questo è ciò che più di ogni altra cosa manca a chi si improvvisa scrittore come me adesso.
Ciò non toglie che i concetti esplicati non siano frutto di ragionamenti ponderati con i quali ho fatto realmente i conti ed attraverso i quali ho trovato reali risposte a domande tanto assurde quanto concrete.

Nello scrivere queste righe ho piacevolmente desiderato di essere masturbato da mia Madre ed a questo proposito, sono fermamente convinto che l’assenza di tale esperienza, neghi all’uomo la possibilità di provare sensazioni ed emozioni ancora del tutto sconosciute.

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