I suoi piedi

Era un ragazzo veramente a modo, di animo gentile, e dote rara, sapeva veramente ascoltare le altre persone. Quando lo vidi per la prima volta mi trovavo in un bar del centro di Milano, dove si stava celebrando la festa di laurea della mia cara amica Marta. Il giovane attrasse la mia attenzione, doveva a vere all'incirca 22, 23 anni, ma mi affascinarono immediatamente la delicatezza quasi femminile dei suoi lineamenti, il modo discreto con cui riusciva a dialogare con più persone contemporaneamente, con garbo inusuale per un ragazzo tanto giovane.

Sembrava evidente, o poteva essere solo un'impressione che tutto ciò derivasse da una qualche esperienza lavorativa o da chissà quale educazione ricevuta. Più lo osservavo e maggiore diventava l'attrazione che provavo nei suoi confronti. Certamente non era un gay. Eppure una forte femminilità t****lava da ogni suo atto. Mai prima di allora mi ero sentito tanto attratto da una persona appartenente al mio medesimo sesso, era la prima volta e questo mi turbava. Marta mi toccò una mano << Luca è un tipo affascinante, non trovi? >> Quella domanda aggiunse un ulteriore carico di disagio alla mia già precaria situazione, se Marta si era accorta del mio interesse per il giovane, probabilmente molte altre persone presenti nel locale avevano notato il medesimo particolare.

<< Luca è un ragazzo speciale, lavora come commesso in un negozio di scarpe in via Torino dove qualche volta faccio acquisti, anzi a dir la verità ci entro solo quando vedo lui. >> Questo particolare mi incuriosì e mentre continuavo ad osservare il ragazzo chiesi: << Perché questa preferenza, le scarpe in vendita sono sempre le stesse, che sia lui a venderle o sia un altro. >> Marta sorrideva mentre io parlavo, l'avevo notato perché la smania di sapere mi aveva spinto a volgere lo sguardo verso di lei.

Finalmente rispose e già i suoi occhi esprimevano tutto: << Non puoi capire se non provi, sono le sue mani e il modo raffinato che ha nel toccarti i piedi, è un gesto che compie con amore capisci? Si tratta di un'esperienza altamente erotica, dovresti provare per capire, non te lo posso spiegare. >> << Fattelo, che te ne frega, almeno ti puoi fare massaggiare i piedi quanto vuoi! >> La mia affermazione era uscita dai denti come un moto indisponente, rabbioso e cinico.

Certo Marta sapeva della mia passione per i piedi di donna, in particolare quando calzano collant di nylon e le sue parole celavano, neanche troppo velatamente, una sottile provocazione. << Umm, qualcosa mi dice che preferisce i maschietti, e poi lo sai i massaggi ai piedi mi piacciono, ma poi ho bisogno di altro…>> Marta si spostò ad intrattenere altre persone venute per lei al ricevimento, così io rimasi solo col mio turbamento.

Mi avvicinai a Luca solo per osservare le sue mani, quelle mani che accarezzavano decine, forse centinaia di piedi rivestiti di nylon che emanavano effluvi e calore che si propagavano al suo corpo snello e aggraziato, ora tutta quella energica carica erotica si trovava a pochi centimetri da me, quasi ne potevo sentire la presenza.

Il sabato mattina successivo mi aggiravo nervosamente per via Torino e spiavo all'interno di tutti i negozi di scarpe che incrociavo nella speranza di vedere Luca.

La notte della festa ero rientrato a casa eccitatissimo e avevo imposto a Laura, mia moglie, un paio d'ore di sesso esagerato. Lei era comprensiva e assecondava le mie pulsioni feticistiche. Le piaceva masturbarmi con i piedi, anche perché prima di farlo la sottoponevo ad una buona mezzora di massaggi plantari a base di oli particolari che rendevano i piedi morbidi come il velluto. Quella sera però esagerai un tantino, pretesi che mi leccasse tutto il corpo partendo dalla fronte fino alla punta dei piedi e non contento cercai di penetrarla col mio piedino numero 43.

Inutile dire che in un primo momento accettò, poi con tono scocciato mi disse: << Per stasera può bastare, buonanotte! >> Si addormentò quasi subito, io ero sveglio come un grillo e malgrado i tre coiti serali, mi trascinai nel salone, dove grazie a dio, troneggiava un enorme televisore Sony Trinitron. Inserii una cassetta presa a caso dalla ricca collezione di film hard core che possedevo e chiusi la serata in bellezza.

In via Torino c'erano molti negozi che vendevano calzature.

Nervosamente sostavo davanti alle vetrine addobbate in vista delle imminenti festività natalizie di quel 1984 con la speranza di intravedere Luca, magari intento, coi suoi modi gentili, a maneggiare qualche piede femminile caldo e sudato. Purtroppo la ricerca si rivelò infruttuosa, al quinto negozio ancora non avevo visto il commesso al centro della mia ricerca. Se non altro di bei piedi ne avevo intravisti diversi, ma di Luca nemmeno l'ombra. Nel frattempo si era fatto tardi, le 12.

45 e presto i negozi avrebbero chiuso per la pausa. Stavo ormai per perdere ogni speranza quando all'angolo con via Lupetta, in un grande negozio dall'architettura classica, finalmente lo vidi. Una prosperosa signora di mezza età, stava calzando un bel tacco 12, vernice rossa molto elegante e Luca con molta grazia, le reggeva il piede grassoccio e sicuramente accaldato. Lei sembrava molto soddisfatta delle attenzioni che il giovane commesso aveva per i suoi grossi piedi.

Passeggiava davanti al grosso specchio girandosi improvvisamente con shitti repentini che sollevavano la gonna in lana, lasciando intravedere grosse cosce ben tornite. Luca era rimasto inginocchiato sulla moquette e non staccò mai lo sguardo dai piedi della donna. Riuscii a leggere il suo labiale: << Queste sono perfette per lei! >> Dovevo decidermi, o entravo nel negozio, mi sedevo e mi facevo servire da lui, oppure lo aspettavo in strada, dove potevo fingere un incontro casuale sfruttando la contemporanea presenza di ambedue alla festa di Marta.

Ormai erano le 12. 55 e il negozio avrebbe chiuso alle 13. 00. Attesi quindi il mio momento sul marciapiede opposto all'esercizio commerciale. Finalmente alle 13. 05 il giovane uscì, vestiva un giubbotto d'aviatore marrone marca Schott e le sue gambe erano fasciate da un paio di jeans Levis 501. Una strana sciarpa con i colori della bandiera britannica impreziosiva il suo esile collo. Si era incamminato in direzione di piazza del Duomo con passo svelto e sicuro, anche grazie, avevo notato, all'ottimo paio di Timberland che calzava.

Lo raggiunsi e urtandolo di proposito dissi: << Oh! Mi scusi ero sovrappensiero…ma lei, dove l'ho già vista? Forse alla festa di Marta mercoledì sera? >> L'escamotage funzionò, il giovane sorrise: << Si certo, e mi ricordo di lei, è stato solo praticamente tutta la serata! >> Giocando sulla comune conoscenza, convinsi il commesso a seguirmi in un bar della vicina piazza Diaz che ricordavo essere dotato di tavoli con separè, garanzia di una discreta intimità.

Parlando di Marta l'ora di pausa passò in fretta. Io da parte mia, rimarcai come la donna avesse una sessualità molto marcata, tacendo la sua reale depravazione. In realtà Marta era una laida usa ad accoppiarsi con tre maschi per volta che paradossalmente non erano sufficienti a soddisfarla, cosa che peraltro io non mi sentivo di condannare. Ma quando Luca candidamente mi disse che dai piedi della donna si comprendeva tutta la profonda sensualità che la pervadeva, non fui più in grado di controllarmi.

Sfilai il piede destro dalla Barrows di cuoio grasso, doveva essere veramente caldo e umido e lo spinsi sotto il tavolo in direzione del pube del ragazzo. Luca non mostrò stupore e nemmeno tentò di ritrarsi, come avevo temuto, ma anzi allargò ancor più le gambe come gesto di assenso e infine un sorriso compiaciuto percorse il suo bel viso. Lo riaccompagnai a lavoro ma ci demmo appuntamento per l'indomani al suo appartamento, un monolocale di corso Garibaldi.

Ormai era pomeriggio, mia moglie era partita per il weekend in compagnia delle sue amiche, un'accozzaglia di zitelle frigide. Andavano spesso a San Remo in Liguria, a casa di una di loro, credo che si chiamasse Luisa, una ex indossatrice che ora si occupava di gatti randagi. Io da parte mia preferivo così. Il sabato pomeriggio la casa dei miei genitori che si trovava dalle parti di piazzale Lagosta al quartiere Isola, era occupata unicamente dalla domestica di colore al servizio della mia famiglia da più di trenta anni.

I miei tutti i fini settimana, si trasferivano a Monticello in un altro appartamento situato all'interno di un villaggio controllato da guardie armate per motivi di sicurezza. In realtà si trattava di un club per golfisti. Le ville sorgevano direttamente sui campi da golf. Quando ero ragazzo odiavo quel posto, era come essere prigionieri dei propri stessi soldi. Michelle, la domestica cinquantenne di origine nigeriane, era entrata nella nostra casa poco più che ragazzina, e devo ammetterlo, poche donne mi avevano fatto godere come lei, certamente non mia moglie.

Quando sedicenne vidi cosa era in grado di fare con quei suoi piedi color ebano, la mia vita subì una trasformazione totale. Mio padre, che era un famoso giornalista più volte direttore di importanti testate, se la teneva ben stretta anche adesso che attempata, aveva un po perso le fantastiche doti da contorsionista che naturalmente possedeva. La chiamai e le ordinai di preparasi al mio arrivo, anche quel sabato il suo grosso culo si sarebbe seduto sulla mia faccia, mentre i suoi piedi prensili avrebbero cinto d'assedio il mio imperiale membro.

Impazzivo per quei forti odori acri che le sue parti intime sprigionavano. I piedi realmente prensili e caldissimi, avrebbero eccitato un morto. Non usava mai le mani, non glielo permettevo. Il suo grosso sedere nero sembrava poter contenere l'intera Africa ed io ero felice di poterlo penetrare. Infine rimanendo inginocchiata e facendo unicamente uso della sua larga lingua rosa, lavava via dal mio corpo ogni umore aggiunto. Il corpo color ebano, liscio e levigato di Michelle, era una delle cose più naturali e sane di cui in vita mia avessi fatto uso.

Anche mia madre l'adorava, di certo sapeva che il marito se la faceva con regolarità da più di trent'anni, ma del resto lei era consapevole di non essere in grado di produrre lo stesso servizio che esplicava la domestica. Mi addormentai come un bambino sul seno caldo, sodo e prosperoso della donna. Quella notte sognai di baciare i piedi di Luca che mi sorrideva languidamente sdraiato su un divanetto dalla foggia antica. Lo sognai agghindato come una dama del settecento e solo i piedi me li ricordo nudi e bianchissimi.

Quando giunsi al numero civico indicatomi da Luca una crescente eccitazione cominciò a salire dal mio basso ventre, dovevo controllarmi, assolutamente frenare le basse pulsioni che tanto danno mi avevano prodotto in passato. La voce di Luca, filtrata dal citofono, mi invitò a salire al primo piano, dove avrei trovato la porta socchiusa. Il cuore mi batteva forte, non avevo mai provato queste sensazioni neppure da adolescente, non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo.

Si sentiva musica provenire dall'appartamento, la riconobbi immediatamente, del resto ero un critico musicale professionista, si trattava dei Joy Division. Aprii piano la porta, Luca era disteso sul letto, indossava unicamente dei calzoncini da calcio marca Umbro di raso azzurro e mi osservava con quel suo sguardo da cerbiatto indifeso, praticamente irresistibile. I piedi come le mani, lunghi e affusolati, di una sacralità inviolabile. Intanto dagli altoparlanti la voce di Ian Curtis cantava L'amore ci dividerà, e i poster dei cantanti dark appesi alle pareti rotolavano dai miei occhi lungo tutte le membra fino a distendersi davanti ai miei piedi.

Luca mi invitò a sedermi sul letto e io lo feci. Non osavo toccare quei piedi che ormai ritenevo sacri, ma fu lui ad appoggiarli sulle mie cosce. Vinsi ogni remora e timidamente li toccai. Una vampata di calore mi invase il viso, mi alzai in piedi super eccitato, lasciai cadere sul pavimento il costoso cappotto loden che indossavo e, molto lentamente, quasi a ritmo della musica, cominciai a spogliarmi capo per capo fino a rimanere completamente nudo al centro della stanza.

Sapevo di avere un bel fisico, muscoloso quanto basta, quasi da scultura classica, come una donna, di cui non ricordo il nome, aveva affermato in passato. Luca visibilmente eccitato si sfilò i calzoncini e allungò le sue lunghe e sottili gambe verso di me. Le piante dei piedi bianchissime riflettevano la luce delle lampade al neon che illuminavano tutta la stanza. Davanti ai miei occhi uno spettacolo di gambe fini come braccia e piedi come mani, le dita in perenne movimento sembravano essere dotate di vita propria, ne potevo comprenderne il differente carattere.

Lo sguardo salì a un pube con radi peli e un minuscolo, quanto romantico pene arricchito da un paio di minuti testicoli. Le tempie mi pulsavano, nulla poteva più trattenermi, mi lanciai verso di lui, o meglio, verso quei piedi che tanto bramavo. Li baciai, li strofinai sulla faccia e poi su tutto il resto del corpo. Luca mi abbraccio le spalle standomi dietro e spingendo le sue splendide e affusolate gambe, cominciò a masturbarmi con ambedue i piedi.

Afferrai quelle sue fresche e depilate cosce che in quel preciso istante, mentre fissavo rapito il mio cazzo avvolto in quei due prodigi naturali, sentivo quasi di mia proprietà, come il loden che giaceva sul pavimento lastricato di linoleum. Le sue mani sui miei pettorali avevano cominciato a stuzzicarmi i capezzoli e la mia erezione era diventata imponente. Contemporaneamente mi mordicchiava le orecchie, talvolta sussurrandomi le particolari sensazioni che sentiva affluire attraverso i suoi piedi.

Non passò molto tempo che venni in maniera esagerata come da molto tempo non mi succedeva più. Inondai i piedi del giovane di grasso sperma densissimo e cremoso. Luca era estasiato e felice, portò uno alla volta i suoi piedi leggiadri alla bocca e, con molta lentezza, raccolse con la lingua ogni goccia del mio seme bianco. Lo baciai senza remore, l'acre sapore dello sperma si mischiava al sapore acerbo della sua saliva acida e impastata dall'eccitazione.

In tutta questa situazione mai Luca aveva toccato il mio cazzo neppure con un dito della mano e questo mi aveva reso felice. Quel giorno fu l'inizio del periodo più bello della mia vita, dove Luca ai miei occhi era diventato “Duchessa”, così lo chiamavo nell'intimità. Era la mia bambola in carne e ossa volontariamente sottomessa alle mie voglie. Compravo per lui raffinati completi di intimo femminile, calze in nylon e scarpe di ogni foggia.

Parrucche differenti ogni settimana servivano a stimolare la mia fantasia malata sempre alla ricerca di nuove emozioni. Un sogno, un sogno che sembrava realtà. Tutto tra noi passava attraverso i piedi. Normalmente ci sdraiavamo sul letto uno in fronte all'altro e in quella posizione ci masturbavamo a vicenda, lui usando ambedue i suoi deliziosi piedi mentre io afferravo il suo minuscolo membro tra l'alluce e il dito successivo del piede destro, mentre con l'alluce del sinistro spingevo sull'ano, talvolta penetrandolo.

Godevo nel vedere quella schiuma bianca tracimare da quel cazzo più simile a un grosso clitoride che a un vero fallo. Ormai consideravo il ragazzo un'entità asessuata di mia proprietà, e purtroppo sempre più cupamente emergeva il lato oscuro, quella voglia che temevo di confessare: Volevo penetrare “Duchessa”, dovevo penetrarla. Feci l'errore di non parlarne, e intanto, il desiderio continuava a crescere. Un sabato pomeriggio avevo ordinato a Luca di indossare una splendida guepierre bordeaux orlata di pizzo che io stesso avevo acquistato da Luti in corso Buenos Aires.

Sdraiato sul letto sbandierava quelle sue splendide gambe fasciate di nylon nero e mi sorrideva di sbieco con gli occhi ridotti a due fessure azzurre. La parrucca bionda riccia e lo sguardo languido mi riportavano alla mente vecchie fotografie che avevo visto in passato di Marlene Detrich, la diva tedesca. Quei piedi che svolazzavano a pochi centimetri dal mio naso, capite, è stato troppo. Mi alzai dal bordo del letto dove ero seduto e Luca poté vedere, ammirato, l'eccezionale erezione a cui il mio cazzo era soggetto.

Avvicinai l'asta turgida al suo volto cosicché potesse aspirarne gli effluvi che emanava. “Duchessa” chiuse gli occhi trasognata, e il confine tacitamente condiviso, svanì come neve al sole. Il demone che periodicamente emerge in me, prese il sopravvento. Il demone mi ordina: Cerca e distruggi! Io non posso che eseguire. In un batter di ciglia gli fui addosso, lo immobilizzai, tenendogli le braccia bloccate dietro alla schiena e immediatamente senza riguardo alcuno puntai il mio grosso membro turgido sull'ano di quel disgraziato.

Lui piangeva, si dimenava, implorava. Ma nulla ormai mi avrebbe potuto fermare, continuavo a spingere il fallo tra quelle piccole chiappe tremolanti e bianchissime. Un rivolo di sangue cominciò a scorrere lungo la coscia destra, ma neppure quella vista bastò a placare il demone, perché sia chiaro, non ero io che violentava “Duchessa”! Quando finalmente eiaculai fu come se mi fossi risvegliato da un incubo, Luca si era strappato la parrucca e si era accovacciato nell'angolo più lontano dal letto che la stanza potesse fornire.

Singhiozzava e il suo esile corpo era tutto preda di sussulti nervosi. Ancora del sangue fuoriusciva da quell'ano che avevo maldestramente violato. Mi avvicinai, mi rendevo conto che qualsiasi scusa in quel momento non sarebbe stata presa in considerazione, ma provai ugualmente. Luca comincio a imprecare contro di me: << Vattene lurido bastardo! Se me l'avessi chiesto l'avrei fatto! Ma non cosi! Stronzo! >> I suoi occhi avevano solo odio per me: << Ma chi ti credi essere? Ho deciso io che ti volevo, povero idiota, io ho detto a Marta di parlarti di me! Quanto mai l'ho fatto! Lei lo diceva che non valevi niente, che eri solo un cane da tenere alla catena.

Adesso vattene e non tornare mai più! >> A testa bassa raccolsi i miei indumenti e dopo pochi minuti ero già in strada a camminare senza una meta.

Il sabato successivo ero ancora là in via Torino. Aspettavo la chiusura del negozio con tra le mani un pacchetto che conteneva una splendida camicia da notte che mi era costata una fortuna. Luca uscì dal negozio e mi scorse salutarlo aldilà della strada, fece finta di nulla ma rimase fermo sul cordolo del marciapiede, come in attesa.

Tentai di attraversare, ma una grossa BMW nera accostò il marciapiede tagliandomi la strada. Vidi Luca salire sull'automobile guidata da un uomo, forse cinquantenne a cui il giovane mise immediatamente la lingua in bocca. Tutto fu chiaro in un istante. La mia “Duchessa” mi osservava dal finestrino mentre volutamente prolungava un bacio per nulla innocente a quello sconosciuto. Poi la macchina partì. Delle ragazzine punks con il volto pieno di spillette mi si fecero incontro: << Ciao! Paparino, se ci dai ventimila lire a testa ti facciamo passare un serata che non dimenticherai, qua vicino c'è una pensione, naturalmente quella la paghi tu eh, che ne pensi? >> Il demone mi diceva di andare, di sfondargli il culo anche a queste troie che non comprendevano il mio turbamento.

Invece non risposi, misi il pacchetto nelle mani di una di loro e alzatomi il bavero mi incamminai lungo la via trafficata.

Adesso sono un uomo anziano e vivo solo nella grande casa che fu dei miei genitori. Michelle è morta l'anno scorso, ma fino all'ultimo mi è stata vicina. Mia moglie chiese il divorzio pochi anni dopo i fatti sopra raccontati, stufa delle continue angherie a cui la sottoponevo. Ora della gente che frequentavo allora vedo ancora Marta.

Ogni sabato sera viene a casa mia in compagnia di giovani ragazzi e ragazze disponibili a tentare di soddisfare i suoi mitici appetiti. Io sono grato a Marta di permettermi di assistere, seppur incatenato al calorifero. Quanti bei piedi, mi permette di vedere, maschili e femminili. Tutti li, a pochi centimetri dal mio naso. Vorrei poterli leccare, baciare, togliere con la mia bocca lo sporco che si annida tra le pieghe delle dita, sotto alle unghie.

Perciò mi lamento, guaisco, imploro. Così Marta si avvicina e mi fa annusare il suo vecchio piede avvizzito, calloso e indurito. Io a volte tento di leccarlo, allora lei mi colpisce con il suo frustino di cuoio proprio sopra i testicoli. Io sono grato a Marta di essere il cane alla catena a cui è solo permesso di annusare i suoi piedi!
Dulcimer 2014.

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