Cinema 03

Umberto si avvicinò a mia moglie fissandola con attenzione.
Scrutava il suo viso, da dove traspirava un evidente imbarazzo, e le forme del suo corpo.
Poi appoggiò delle scarpe a terra, davanti a lei.
Erano dei sandali neri completamente aperti con un vistoso tacco di 12 cm.
“Mettili”, le disse.
Mia moglie fece un passo avanti salendo non senza difficoltà su quei tacchi. Non era abituata a indossare scarpe così alte.

Per mantenere l’equilibrio dovette allargare le braccia con un gesto involontario, lasciando scoperti completamente il seno pieno, da cui spuntavano i capezzoli turgidi, e la peluria scura e arruffata del pube.
Immediatamente Paola si ricoprì con le braccia le parti intime, abbassando lo sguardo.

Uberto le passò dietro.
Appoggiò le mani sulle sue spalle, poi, facendole lentamente scorrere sui suoi avambracci, le impose di portare le braccia al corpo, lasciando alla mia vista e a quella di Giulio il suo corpo completamente esposto.

Poi la osservò riflessa nel grande specchio posto di fronte a lei.
“Meravigliosa!” esclamò “Al cinema non c’era abbastanza luce, ma qui… è tutta un’altra cosa”, disse rivolgendosi a Giulio.
Le passò le dita sulla pelle bianca dei fianchi risalendo lentamente sino alla base del seno, circoscrivendolo. Poi quelle dita che sembravano scrutare mia moglie giunsero fino al collo. Umberto le fece sollevare il mento.
“Guarda i suoi capezzoli…”, continuò, “la signora comincia ad eccitarsi…”.

In effetti, anche io potevo notare che i capezzoli di mia moglie stavano spuntando eretti in avanti.
Paola avvampò a quelle parole, perdendo a momenti l’equilibrio.
Evidentemente quella situazione, il fatto di stare nuda in una stanza davanti a due sconosciuti, le mani di Umberto che sfioravano il suo corpo, stava provocando in lei una involontaria reazione di turbamento, mista a un profondo imbarazzo.
“Metti questo. ”, le disse infine Umberto passandole uno striminzito vestitino color azzurrino.

Vidi mia moglie passarlo velocemente tra le mani, constatandone la stoffa elastica e poco consistente. Ma piuttosto che rimanere nuda, lo indossò immediatamente.
Era un vestito con le spalline che le arrivava a malapena a metà coscia e con una profonda scollatura sul davanti. Le andava piuttosto stretto e questo faceva sì che le sue forme venissero esaltate.
Era difficile da ammetterlo, ma la sua femminilità sembrava esplodere al di sotto quel vestito e su quei tacchi.

Le cosce, i fianchi, la pancia appena accentuata, il seno, erano compressi e fasciati in quel tessuto azzurro tanto da rendere il suo corpo estremamente lussurioso.
Umberto osservò il risultato soddisfatto, poi disse: “Possiamo uscire, adesso”.
“Ma… ma… non posso uscire vestita così!” protestò debolmente Paola guardandosi nello specchio.
“Certo che puoi”, la incoraggiò Umberto, “Non sei ancora come ti voglio… ma ci stiamo avvicinando…”
Poi le diede una pacca sul sedere, incurante del mio sguardo alterato.

Mia moglie accennò un piccolo passo, poi un altro e alla fine, mentre Umberto le apriva la porta, infilò il corridoio che portava nella sala del locale, voltandosi per guardarmi di sfuggita.
Umberto e Giulio la seguirono.

Io rimasi come paralizzato. L’eccitazione di quella situazione mi stava rendendo il respiro affannato. Era come se non mi arrivasse a sufficienza ossigeno al cervello. Le mie reazioni sembravano rallentate e del tutto inadeguate.

Avrei dovuto ribellarmi, aggredire verbalmente Umberto e portare via mia moglie.
Invece, l’unica cosa che riuscii a fare fu quella di alzarmi dal divanetto, raccogliere i vestiti di mia moglie per sistemarli in una busta e seguirli in sala.
Vidi Paola camminare nella sala, ondeggiando lascivamente le anche su quei tacchi, nello sforzo di mantenersi in equilibrio. Ad ogni passo, il suo sedere sfregava sulla stoffa stretta del vestito.
Umberto la face accomodare su un alto sgabello davanti al bancone.

Inutile dire lo sforzo di Paola per stirarsi giù l’orlo vestito, nel vano tentativo di non scoprire troppo le cosce. La cosa non servì a molto e mia moglie, suo malgrado, mise in mostra le sue belle gambe molto più del dovuto. La cosa, naturalmente non passò inosservata.
Un paio di signori oltre la cinquantina iniziarono a guardarla con insistenza. Avevano un che di subdolo. Uno in particolare, basso e con una pancia prominente, osservava Paola in modo sfacciato, con un mezzo sorrisetto piantato sul suo muso sudaticcio.

Evidentemente conosceva Umberto, perché scambiò due chiacchiere con lui.
Ma la cosa finì lì.
Alla fine, Umberto prese Paola per un braccio e seguito da Giulio si avvicinò a me.
“Usciamo. Prendi la tua macchina”, mi disse semplicemente.
Non sapevo cosa aveva in serbo per me e per Paola, ma in quel momento fui incapace di contraddirlo, e così pure mia moglie che rimase in silenzio con lo sguardo basso.

Una volta in macchina tutti e quattro, seguendo le sue indicazioni, ci dirigemmo a ridosso di un parco, in periferia.
C’era un contro vialetto che si snodava ai margini del parco con dei lampioni che illuminavano debolmente la strada.
“Scendi” disse Umberto rivolgendosi a mia moglie che era seduta nel sedile posteriore con Giulio “e cammina vicino ai lampioni. ”
“No.. non me la sento. Cosa ci facciamo qui?” disse Paola guardando fuori dal vetro.

In effetti la situazione era piuttosto ambigua. Era sera ed eravamo davanti a un parco chissà da chi frequentato a quell’ora. E il vestito di mia moglie poteva lasciare spazio a dei malintesi.
“Coraggio non c’è nessuno… devi solo camminare lungo la strada…”, insistette Umberto. Poi constatando la riluttanza di Paola, scese dall’auto le aprì lo sportello e prendendola per un braccio la fece scendere.
“Cammina lentamente fino al prossimo lampione e fermati lì” le disse.

Mia moglie rimase in piedi titubante davanti alla macchina, poi si incamminò dondolando lentamente le anche su quei tacchi.
Vidì Paola fermarsi davanti a quel lampione col suo vestito striminzito addosso e su quei tacchi alti. Era facile che venisse scambiata per una battona. Quella situazione mi suscitava imbarazzo e eccitamento allo stesso tempo e mi sorpresi nel constatare la potente erezione che mi premeva sui pantaloni.

Umberto mi guardò con un mezzo sorriso, quasi mi stesse leggendo nel pensiero.

Poi una macchina si accostò al marciapiede poco oltre il lampione dove stava ferma Paola.
Ne scese una donna molto appariscente. Bionda, sulla cinquantina.
Umberto e Giulio le andarono incontro, fermandosi proprio dove si trovava Paola.
Evidentemente si conoscevano e pensai che si erano dati appuntamento proprio lì, perché si salutarono cordialmente e si misero a parlare.
Seduto nella macchina osservavo la scena senza capire cosa si dicevano.

A un certo punto Umberto doveva aver presentato mia moglie a quella signora perché vidi un cenno di saluto tra le due.

Poi ebbi come la sensazione che il tema dell’argomento fosse proprio incentrato su mia moglie.
Vidi Umberto prendere per un braccio Paola e avvicinarla meglio al lampione. Poi le abbassò le spalline del vestito, fino a scoprirle il seno prosperoso.
Mentre Paola cercò di coprirsi le tette con le braccia, Umberto con disinvoltura le sollevò il bordo del vestito fino ai fianchi, scoprendola completamente.
La luce tenue del lampione illuminò il corpo candido e completamente scoperto di mia moglie.

Umberto sembrava che la stesse mostrando a quella signora come un articolo da regalo.
La fece voltare, mostrando il sedere di mia moglie, poi la rivoltò di nuovo davanti.
Le prese tra le mani le tette, strizzandole. Paola ebbe come un sussulto. Sembrava che Umberto ridesse, mentre parlava con quella donna.

Era troppo, non potevo lasciare che quell’uomo continuasse a trattare in quel modo mia moglie.
Scesi di shitto dall’auto e mi diressi deciso verso di loro.

“Adesso basta!, La smetta!”, disse avvicinandomi ad Umberto.
L’uomo non sembrò accusare le mie rimostranze.
“Su adesso si calmi”, intervenne Giulio. Il signor Umberto stava semplicemente mostrando a una sua cara amica, la signora Valeria, il corpo meraviglioso di sua moglie, non c’è motivo di arrabbiarsi.
“Il motivo c’è eccome!”, dissi io.
“Su venga, si calmi. ” , mi disse Giulio e così dicendo mi accompagnò su una panchina nel parco dietro una siepe.

“Si sieda. Faccia un bel respiro… su, è solamente un gioco”

Io mi sedetti senza rispondergli, mentre lui ritornava da loro.
Trassi dei profondi respiri, pensando mia moglie, a ciò che avevo visto, alle mie reazioni contrastanti, alla pericolosità di quel gioco.
Alla fine decisi di riprendermi Paola, così mi alzai e tornai verso di loro.
Ma quando arrivai nel vialetto, non c’era più nessuno.
La macchina di quella signora era sparita e insieme a lei anche mia moglie.

Non c’era traccia nemmeno di Umberto e Giulio.
Fui assalito da una sensazione di angoscia e disperazione.
Mi attaccai al telefono chiamando il cellulare di Paola.
Lo dava staccato.
Riprovai più volte, mentre camminavo nervosamente tra la mia macchina e il lampione dove avevo visto per l’ultima volta mia moglie.
Poi il mio cellulare emise un trillo illuminandosi. Era un messaggio da Paola.
“Aspettami al locale da dove siamo partiti.

Arrivo tra un’ora. ”
Non sapevo cosa stava succedendo, ne che cosa Paola stesse facendo.
Mi recai velocemente all’appuntamento, e attesi nervosamente in macchina nel parcheggio del locale.

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