ASIA VIOLENTATA al Faro

Fra Jesolo Lido e Jesolo-Cavallino c’è un faro.
Oggi, il luogo alle foci del fiume Sile, è una darsena attrezzata e pulita o meglio “ripulita”.
Allora era una spiaggia di dune e vegetazione arsa e selvaggia, bivacco di hippie globetrotters, di campeggiatori occasionali, di coppiette in cerca di intimità, che alla sera e a notte fonda diventava ancora più off limits per i possibili approdi di contrabbandieri di sigarette e retate della polizia.

Insomma uno scenario neorealistico di tutto rispetto, che sarebbe piaciuto a Pasolini, in un’Italia piena di contraddizioni, trasgressiva e puritana.
Film come “Il comune senso del pudore” infatti ne davano uno spaccato fedele, giocando sulla comicità dell’ipocrisia quando si erge a costume morale.
Fu in questo bel quadretto che un bel giorno con Mauro e Daniele decidemmo di piantare la tenda al faro, per un fine settimana indipendente e disinvolto.
C’erano ore della giornata e giorni in cui la mia femminilità taceva per ovvi motivi, seguendo una strategia di opportunismo sessuale che mi permetteva di condividere i soliti momenti, e quella volta, per un tacito accordo, tutti e tre avevamo sentito di dover seguire lo stesso codice, come ci conoscessimo solo attraverso il canone di un’ eterosessualità di tipo conviviale.

La giornata, calda al mattino, si annuvolò la sera, e impedì, quando arrivammo, di montare adeguatamente la tenda, così scaricammo solo i bagagli e qualche effetto personale in una piazzola che ci sembrava quella più idonea.
Intanto dai finestrini appannati di una Renault ci osservavano tre tizi maturi con fare morboso e minaccioso. Li per lì non vi facemmo caso: era tutto un via vai in fin dei conti e avere qualche sguardo puntato non voleva dire nulla.

Cominciavano a cadere alcune gocce d’acqua, ma il cielo teneva ancora e così decidemmo di montare la tenda.
Finite le operazioni Mauro e Daniele dissero che se fossi rimasta a controllare sarebbero andati a cambiare alcuni picchetti storti e a prendere delle pizze.
Mi sedetti accanto alla tenda su una seggiola da campeggio sfogliando una delle riviste porno che spesso portavamo con noi per farci scoppiare i pantaloni: nelle prime pagine due giovani in collegio sotto la doccia.

Dopo poco mi sentii osservata da vicino: “bello! Piacciono anche a te i giornalini porno eh?, “
Uno dei tre quello con la barba era sceso dall’auto e mi si era avvicinato più del dovuto.
“Si” risposi “Mi piacciono molto” avevo già capito dove voleva arrivare ma gli risposi seccamente e mi girai senza alcuna espressione.
Mi raggiunsero quasi subito i miei due amici e finimmo di sistemare le ultime cosette, quindi ci infilammo in tenda a mangiare i tranci di una margherita.

Anche quelli della Renault montarono la loro tenda a casetta e scaricarono.
La sera stanchi, la passammo a chiacchierare di ragazze e cosi ci addormentammo.
Al mattino rispuntò il sole e la giornata prometteva bene: verso le dieci ci spogliammo e andammo a fare un bagno. La spiaggia seminascosta dalle dune, già poco frequentata nei fine settimana era deserta e cosi io, che uscii dalla tenda con un bel foularino rosa schoking di mia madre, mi tolsi il costume e mi avviai nuda mettendo bene in risalto il culo e i segni del costume, noncurante degli sguardi fissi dei tre.

Qualche esposizione al sole dei giorni prima infatti mi aveva lasciato un bel contrasto colore: mi piaceva guardarmi spesso i glutei allo specchio e mentre correvo verso le onde ogni tanto buttavo l’occhio sul culetto, mi eccitava e me ne compiacevo. Anche Mauro e Daniele si denudarono. Giocammo a rincorrerci e a spruzzarci, li avevo entrambi attorno e i loro sessi semirigidi mi eccitavano.
Mi afferravano, mi spingevano sott’acqua, sentivo i loro cazzi sui fianchi, sulle natiche, sulle mani, li afferravo: “Adesso siete in mio potere” dissi “ e cominciai a tiraglieli delicatamente portandoli a me, a condurli tra le onde allentando e stringendo la presa, stringendo e allentando: le loro mani andavano a ritmo con il mio corpo bagnato e liscio posandosi sul di dietro molto spesso, la parte che i miei due amici prediligevano di me e che io regalavo a loro con immenso piacere.

Giocavamo un gioco erotico e antico come i flutti dell’Egeo, sembravamo i ragazzi di Taormina fotografati da Glouden alla fine dell’800, noti per la loro sensualità e sfrontatezza, inghirlandati d’amore e di fiori. Non c’eravamo accorti che da una duna i tre ci stavano spiando.
Finito di giocare a rincorrerci facemmo ritorno alla piazzola, con un accordo eloquente sulle labbra, sugli occhi: ci saremmo asciugati e avremmo fatto l’amore in tre, tre lingue, tre corpi vogliosi.

Ma al nostro ritorno alla tenda, voilà erano sparite due t-shirt i giornalini porno qualche pacchetto di Marlboro di Daniele, una catenina d’argento. E quel che fu più eclatante è che l’interno della tenda era macchiato di sperma!
Non perdemmo tempo e come sempre, io rimasi a guardia mentre loro andarono a denunciare la cosa: stettero via ore.
Appena videro allontanarsi i miei amici due degli uomini della Renault si avvicinarono come per chiedere se avessi bisogno di aiuto “Ti abbiamo visto cosi agitato, forse è successo qualcosa?”
“Abbiamo lasciato incustodito un attimo la tenda e sono entrati, ci hanno portato via…”; intanto che spiegavo il barbuto mi prende per un braccio per fare cenno di alzarmi e di andare a bere una coca cola fresca da loro, nell’attesa che arrivassero Mauro e Daniele.

Preso cosi di sorpresa non dissi né si né no, ma lo seguii come drogata.
Appena varcato l’entrata fui tirata a terra dal terzo rimasto dentro, completamente nudo, mi misero subito un bavaglio e mi legarono le mani gettandomi tra le sue braccia come una bambola.
Si spogliarono in fretta e mentre i polpastrelli di quello diteggiavano e vellicavano la mia bocca le mie gambe le mie palle piccole e depilate, il barbuto mi trasse a sé buttandomi sul telo.

Intanto il terzo mi teneva fermo: io mi agitavo gridavo ma invano avendo un fazzoletto in bocca. Mi agitavo e nell’agitazione ricevetti qualche pizzicotto sui capezzoli che mi fece sussultare dal dolore ma anche dalla sorpresa di sentirmi vinta. Il barbuto allora mi mise le mani a coppa sotto il culo portando il mio cazzo, che si stava inturgidendo contro voglia, alla bocca, mangiandomi palle buco del culo e palle ancora per risalire alla cappella che avvitava e svitava con la lingua fino a che non fu dura e paonazza.

“Ahhh alla troietta piace eh??? Ci hai fatto eccitare troia mentre giocavi a fare la puttanella con i tuoi amici, eh? Ti piace signorina la sborra?, perché te ne daremo tanta adesso gioia, fammi sentire che ti piace dai”!
Boffonchiai fino a che riuscii a liberarmi del fazzoletto, “No No, lasciatemi andare lasciatemi andare” ma intano gli altri due mi avevano già rigirata piegata ad ingozzarmi del cazzo di uno mentre l’altro mi palpava serrandomi le palle nella mano come per strizzarle.

Poi le rilasciava, persuaso dai miei mugolii-grida di dolore, ma anche di ruolo: mi sentivo una schiava nelle loro mani. Il barbuto si era umettato bene le dita e stava aprendomi la rosetta infilando ora indice e medio ora la lingua.
Posso dire di essere sempre stata una depravata: il mio culetto era sempre pulito, fuori e dentro, come se volessi darlo sempre o prevedessi di darlo prima o poi; e ogni giorno ogni ora anche la notte fonda ero pronta, avrei fatto sesso anche dopo aver fatto sesso: sesso a tutte le ore perché ero stata cresciuta per fare sesso, in una casa senza inibizioni, dove il sesso era cosa bella e aperta.

Erano tre uomini forti e io esile da sempre non potevo tener loro testa in alcun modo. Mi strinsero da dietro la braccia come in una morsa abbassandomi di forza la testa sul glande abnorme di uno di loro da cui scendeva una goccia, che arrivava a lambirne le palle “lecca troia lecca, tira il filetto dai troia”: mi volevano annullare in quell’orgia di sapori di atti osceni di m*****ie. Dovetti obbedire e leccare leccare dalla punta alle palle traendo ogni tanto la lingua per dare a loro il piacere di vederla rincorrere il filetto di sperma che poi risucchiavo.

Mi stavano davvero facendo sentire una troia depravata. Ormai il mio culo leccato in tutte le maniere dagli altri due stava offrendo la sua rotondità a nuove intenzioni: presero un po’ d’olio d’oliva a portata di mano me lo versarono nel buchino aperto dalle dita e dalle lingue, poi il barbuto cominciò a spingere, ma con esperienza, con la sua cappella fuori misura: sentivo la mia giovane rosellina rilassarsi e sbocciare attorno a quella delizia calda, che mi reclamava egoisticamente, finché tutta l’asta superò il primo anello di godimento e varcò il secondo facendomi gemere.

A quel punto iniziò a incularmi saziando ogni parte di me in quell’uscire completamente per poi rientrare fino in fondo, in fondo ai miei respiri sempre più libidinosi.
Stavo gettando la maschera e da una prima giustificata paura passavo a una richiesta insistente di cazzo: “ ahhhh siiiiii lo vooogliooooo “ sporgendo indietro il più possibile il culo. Lo sentivo, sentivo quel cazzo in tutta la sua lunghezza: mi stordiva di piacere quando entrava e mi lasciava in attesa di goderlo ancora, di godere quel corpo nodoso e nudo che mi pretendeva.

Mi inondò presto, ubriacandomi di quella lama di calore mieloso che sentivo scendere lascivo.
L’uomo con la barba lasciò dunque il posto all’altro amico che nel frattempo gli stava leccando le palle. Il mio buchino aperto e lubrificato dal primo orgasmo che ricevetti, ormai, non poteva più opporre alcuna resistenza e accolse l’altro cazzo risucchiandolo: era cosi aperto che il movimento provocava esattamente il suono di un risucchio. La sborra precedente faceva schioccare i glutei che le mani forti di questi aprivano e chiudevano schiaffeggiandoli mentre affondava.

I suoi colpi mi aprivano mi facevano impazzire sussurravo-gridavo-gemevo: “Mi piace, mi piace, fatemi tutto ahhh sono troia, sono la vostra troia, mi piace amore mi piace amore ahhhh” e mentre mi inculava mi incitava “ Prendilo prendilo, ti piace lo vedi? puttanella, lo vedi come ti piace?”
Smise per girarmi in fretta e sborrarmi in bocca e vedermelo colare ai lati; intanto l’ultimo era già dentro e con una certa arte abbassava e alzava il cazzo mentre lo spingeva dandomi consapevolezza delle dimensioni: era il più grosso e se non fossi già stata ben sfondata da Mauro e Daniele avrei provato sicuro dolore.

Alla fine si soddisfarono tutti lasciandomi femmina piena di voglia ancora sul fondo della tenda.
Il caldo del sole ormai alto impediva di stare nelle tenda e cosi uno alla volta uscimmo.
Anch’io mi ricomposi, mi guardai : ero tutta, impiastricciata, dolorante ma mi sentivo porca, quell’ora e mezza di sesso e di sottomissione mi piacque immensamente.
Uscii ancora nuda, in una spiaggia deserta. Mi lavai in mare toccandomi il buchino ancora aperto mentre quasi mezzo bicchiere di sborra colava sulle cosce, istintivamente lo portai al viso, lo spalmai fiera di essere stata troia fra le loro braccia, poi chiusi gli occhi e attesi l’arrivo dell’onda.

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